Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11818 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. I, 05/05/2021, (ud. 26/02/2021, dep. 05/05/2021), n.11818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16558/2016 proposto da:

C.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato M.M., giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Garante per la Protezione dei Dati Personali, in persona del legale

rappresentante pro tempore, Ministero della Giustizia, in persona

del Ministro pro tempore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n.

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

E contro

P.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 9228/2016 del TRIBUNALE di ROMA, pubblicata il

05/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/02/2021 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il sig. C.A., nato a (OMISSIS), aveva presentato ricorso in opposizione D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10 innanzi al Tribunale di Roma avverso il provvedimento dirigenziale 9 luglio 2015, prot. (OMISSIS), con il quale il Garante per la protezione dei dati personali aveva disposto l’archiviazione di un suo reclamo presentato ex art. 142 e ss. del Codice di Protezione dei dati personali.

Il sig. C. aveva lamentato un trattamento illecito dei propri dati personali ad opera del Ministero della Giustizia e del Tribunale di Napoli esponendo che, intendendo far valere davanti all’INPS la pretesa volta ad ottenere il riconoscimento dell’assegno di invalidità civile di cui alla L. n. 118 del 1971, aveva proposto istanza di accertamento tecnico preventivo “obbligatorio”, ai sensi dell’art. 445 c.p.c., innanzi al predetto Tribunale, tuttavia, rigettata con ordinanza del 28/01/2013, sul rilievo che lo stesso, a dire del giudicante, aveva per la medesima prestazione previdenziale presentato precedente istanza per la quale era intervenuta la sentenza di quello stesso Tribunale, n. 5090 del 16 febbraio 2012 nel procedimento RG 18754, e stante il divieto normativamente previsto dalla L. n. 69 del 2009, art. 56 e L. n. 224 del 1984, art. 11 di presentazione all’INPS di nuove domande di prestazioni assistenziali, senza il previo passaggio in giudicato di precedenti pendenze.

In realtà, la sentenza n. 5090/12 era intervenuta in un procedimento in cui l’odierno ricorrente era estraneo, pur riguardando identica questione, essendo stata proposta da un suo “omonimo”, e riportava in epigrafe solo il nome-cognome e la data di nascita di quel richiedente (ma non anche il luogo di nascita, effettivamente differente, essendo l’omonimo nato a (OMISSIS) ed il ricorrente a (OMISSIS)).

Il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda del C. sul rilievo che l’errore materiale in cui era incorso il giudice di Napoli, essendo contenuto in un provvedimento giurisdizionale, poteva essere risolto esclusivamente con gli strumenti tipici ed esclusivi previsti dal codice di procedura civile.

Nè poteva disporsi a carico dell’Amministrazione Giudiziaria e neppure nei confronti del giudice persona fisica, a sua volta, citato personalmente in giudizio – alcuna misura, in forza della legge sul trattamento dei dati personali.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.A., affidandolo a sette motivi.

Il Garante per la Protezione dei dati personali (d’ora in poi “il Garante”) e il Ministero della Giustizia resistono con controricorso.

Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per l’omessa pronuncia di rito della cessazione della materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse alla prosecuzione del giudizio e ad una pronuncia di merito.

Espone il ricorrente che dopo la notifica del ricorso giudiziario al titolare della Banca Dati Giustizia e all’Autorità Indipendente, a seguito del provvedimento del Presidente della Sezione Lavoro del Tribunale di Napoli dell’1.3.16, era cessata la materia del contendere, come del resto, aveva dato atto anche nel giudizio di primo (seppur in via subordinata) l’Avvocatura dello Stato: “in ogni caso, ed anche a voler prescindere da tutto quanto sopra, la materia del contendere è ormai cessata posto che – con provvedimento – i dati del ricorrenti sono stati integrati in senso per lui del tutto sattisfattorio”.

In particolare, il provvedimento del 1.3.16 era del seguente tenore:

“Il Presidente Coordinatore, rilevato che in seguito alla nota del Presidente del Tribunale n. 6464/2015 e dalle conseguenti ricerche nei registri informatici, è emerso che nel procedimento RG 18754/2011 proposto da C.A., nato a (OMISSIS) è omesso nel SICID il codice fiscale e tale omissione ha determinato che il soggetto è stato ritenuto la stessa persona di C.A. nato a (OMISSIS), (OMISSIS), dispone che a cura della cancelleria sia inserito il codice fiscale di C.A. nato a (OMISSIS), (OMISSIS), nel procedimento definito RG 18754/2011”.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Roma, anzichè pronunciare la cessazione della materia del contendere (avendo lo stesso ottenuto le misure richieste negli archivi telematici del Ministero della Giustizia), aveva inopinatamente rigettato la domanda, pervenendo ad una pronuncia di merito.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa, inesatta e comunque incompleta trascrizione delle conclusioni e per motivazione apparente, con violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 3, art. 429 c.p.c., comma 1, art. 112 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. per difetto dell’esposizione dei fatti rilevanti di causa.

Lamenta il ricorrente che il giudice di merito, oltre a non avere riportato le misure dallo stesso richieste nei confronti del titolare del trattamento dei dati personali, non le ha neppure esaminate, con ulteriore profilo di mancata pronuncia ex art. 112 c.p.c. sulle domande proposte.

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta il ricorrente che la propria domanda, in assenza del fatto sopravvenuto dell’adempimento spontaneo da parte del titolare del trattamento dei dati personali in ambito giudiziario, avrebbe dovuto essere accolta.

Il giudice di merito non avrebbe valutato il fatto decisivo del provvedimento del Presidente coordinatore della sezione lavoro del Tribunale di Napoli del 1.3.2016, da cui era emerso che, da ricerche presso i registri informatici dello stesso Tribunale, era stato omesso il codice fiscale dell’omonimo dell’odierno ricorrente e che tale omissione aveva determinato lo scambio di persona.

In sostanza, il giudice di merito avrebbe omesso di valutare tale fatto decisivo, avente oggetto un evento sopravvenuto che aveva fatto venir meno la materia del contendere tra le parti.

4. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa pronuncia sulle domande attoree in violazione dell’art. 112 c.p.c. e del combinato disposto del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10, comma 6 sul rilievo che il giudice di merito non si era pronunciato sull’articolato petitum dell’attore.

5. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per vizio di ultrapetizione in relazione agli artt. 112 c.p.c. e ss. sul rilievo – oltre alla già evidenziata mancata trascrizione delle conclusioni in sentenza – che nessuna misura era mai stata richiesta nei confronti del giudice di Napoli, se non per assicurare il necessario contraddittorio quale titolare del trattamento dei dati in ambito giudiziario, nè era stata, peraltro, proposta un’azione risarcitoria nei confronti del Ministero di Giustizia.

6. Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al combinato disposto del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 160 e art. 143, lett. b) e c) sul rilievo che erroneamente il Tribunale di Roma avrebbe ritenuto non applicabile al thema decidendum la materia della protezione dei dati personali, la quale trova, invece applicazione per il trattamento dei dati in ambito extraprocessuale, ove il codice di procedura civile abbia cessato di svolgere la funzione di modalità di attuazione del diritto di difesa.

Rileva che la sua richiesta di rettifica dei dati personali era pienamente fondata dal momento che tali dati erano custoditi negli archivi informatici del Ministero della Giustizia, dalla cui consultazione era stato erroneamente ritenuto che il ricorrente fosse quel tal C.A. nato a (OMISSIS), essendo stato omesso l’inserimento – nel sistema informatico SICID – del codice fiscale del suo omonimo.

Assume, inoltre, il ricorrente di rivestire la qualità di soggetto “interessato” a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4 come è stato interpretato da questa Corte con la sentenza n. 14390/2005, la cui fattispecie esaminata sarebbe sovrapponibile a quella di cui al presente procedimento.

7. Con il settimo motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 100 e 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10 nella parte in cui non prevede, in relazione alla sopravvenuta carenza di interesse ed immutabilità della domanda in sede giurisdizionale civile, l’estensione applicativa espressa nel rito civile della norma processual-amministrativa dell’art. 34 comma 5 codice di procedura amministrativa (D.Lgs. n. 104 del 2010) ove si prevede la cessazione della materia del contendere nel caso in cui la pretesa del ricorrente risulti interamente soddisfatta.

Tutti i motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta correlazione delle questioni trattate, presentano profili di infondatezza ed inammissibilità.

In primo luogo, va osservato che a seguito del provvedimento del Presidente coordinatore della Sezione Lavoro del Tribunale di Napoli dell’1.3.16, con cui è stato disposto l’inserimento, a cura della cancelleria, del codice fiscale “di C.A., nato a (OMISSIS), (OMISSIS), nel procedimento definito RG 18754/2011”, non è affatto venuta meno la materia del contendere.

Infatti, il ricorrente, nell’opporsi al provvedimento di rigetto dell’istanza presentata al Garante, non si era limitato a richiedere al Ministero della Giustizia, titolare del trattamento dei dati, le misure ritenute opportune e necessarie per rendere tale trattamento conforme alle disposizioni di legge, al fine di prevenire eventuali futuri errori di persona tra lo stesso ed il suo omonimo per nome-cognome e data di nascita, nato a Napoli, parte processuale della sentenza n. 5090/2012. Il Giorgianni aveva, altresì, richiesto, al punto B) del ricorso proposto nel giudizio di primo grado, “… Previamente accertare e dichiarare l’illegittimità, la non correttezza, la non lealtà, la non esattezza, la non pertinenza e l’incompletezza dei dati personali del ricorrente nel trattamento che ha originato il diniego di accesso all’ATPO con RG 16762/12 del 28/1/2013 presso il Tribunale di Napoli, sezione Lavoro, e l’utilizzazione in termini non compatibili con gli scopi determinati ed espliciti di raccolta e registrazione dei dati relativi al procedimenti giurisdizionali civili presenti nell’Archivio informatico e cartaceo del Ministero della Giustizia ed eccedenti le finalità di raccolta e di successivo trattamento e comunque accertare la non conformità del trattamento dei suoi dati personali in ambito giudiziario a tutti i precetti alle modalità di cui all’art. 11 Codice (D.Lgs. n. 196 del 2003)….

Orbene, sul punto, il Tribunale di Napoli, nel rigettare l’istanza di ATPO, ex art. 445 c.p.c., non risulta in alcun modo aver trattato illegittimamente o in modo non corretto, inesatto o incompleto i dati personali dell’odierno ricorrente. Vi è stato esclusivamente un errore, contenuto in un provvedimento giurisdizionale, dovuto al fatto l’odierno ricorrente è stato confuso con altro soggetto avente lo stesso nome-cognome e, finanche, la data di nascita, la cui posizione era stata trattata in altro procedimento già definito con la sentenza n. 5090/12, nella quale non era stata indicata nè la data di nascita nè il codice fiscale del soggetto colà ricorrente, pure dal nome C.A..

Peraltro, il fraintendimento all’origine del rigetto dell’istanza di ATPO avrebbe potuto essere comunque evitato, consultando quantomeno il SICID (archivio informativo) del Tribunale di Napoli, nel quale, se è pur vero che era stato omesso l’inserimento del codice fiscale dell’omonimo del ricorrente, tuttavia, era comunque presente un dato idoneo a differenziare i due richiedenti: la diversa località di nascita ((OMISSIS) anzichè (OMISSIS)).

Tale particolare non era certo irrilevante, avendo lo stesso ricorrente, a pag. 5 del proprio ricorso, evidenziato che dal differente luogo di nascita “si sarebbe potuto agevolmente cogliere con tutta evidenza la diversità dei soggetti pur assistiti dal medesimo ente pubblico previdenziale”.

Non a caso, l’unica misura adottata dal Presidente coordinatore della sezione Lavoro del Tribunale di Napoli, al fine di integrare i dati dell’omonimo richiedente nel SICID – che, anche secondo il ricorrente, ha determinato la completa soddisfazione del suo interesse – è stata proprio quella di disporre l’inserimento del solo codice fiscale del soggetto omonimo del ricorrente, essendo il luogo di nascita ((OMISSIS)) già stato indicato.

Dunque, si era trattato di errore agevolmente accertabile sulla base delle risultanze del SICID (in relazione al diverso luogo di nascita dell’omonimo), e che avrebbe potuto essere tempestivamente fatto valere dallo stesso ricorrente con l’impugnazione dell’ordinanza del 28/01/2013 attraverso il mezzo del reclamo ex art. 669 quaterdecies c.p.c.. In proposito, nel 2013 era già intervenuta la sentenza della Consulta n. 144/2008 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 669 quaterdecies e 695 c.p.c., nella parte in cui non prevedono la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell’istanza per l’assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 e 696 cit. codice.

In conclusione, l’errore in cui è incorso il Giudice del Lavoro del Tribunale di Napoli, nel provvedimento di rigetto dell’istanza ATPO, non riguardava, in primo luogo, propriamente il trattamento dei dati personali del ricorrente ed avrebbe comunque potuto essere tempestivamente fatto valere con i normali mezzi di impugnazione giurisdizionale, come emerge dai provvedimenti sia dell’Autorità Garante che del Tribunale di Roma.

In ogni caso, anche ammettendo che l’errore avesse riguardato il trattamento dei dati personali del ricorrente, essendo comunque contenuto in un provvedimento giurisdizionale, lo stesso non avrebbe mai potuto essere eliminato ricorrendo all’Autorità Garante, bensì allo stesso giudice ordinario, e ciò in base al disposto del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 160, comma 6 allora vigente, secondo cui “La validità, l’efficacia e l’utilizzabilità di atti, documenti e provvedimenti nel procedimento giudiziario basati sul trattamento di dati personali non conforme a disposizioni di legge o di regolamento restano disciplinate dalle pertinenti disposizioni processuali nella materia civile e penale”.

Il Tribunale di Roma ha quindi correttamente rilevato che l’errore in cui è incorso il giudice di Napoli avrebbe potuto essere risolto esclusivamente con gli strumenti processuali tipici ed esclusivi del codice di procedura civile.

In conclusione, in relazione alle sopra illustrate osservazioni, con riferimento alle conclusioni sub B) del Giorgianni nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, non era cessata la materia del contendere per effetto del provvedimento del Presidente coordinatore della Sezione Lavoro del Tribunale di Napoli, con conseguente infondatezza del primo, del terzo e del settimo motivo, in relazione al quale la sollevata questione di legittimità costituzionale difetta del requisito della rilevanza.

Il secondo ed il quarto motivo sono parimenti infondati.

In particolare, in primo luogo, è infondata l’eccezione di parte ricorrente in ordine all’omessa trascrizione delle conclusioni, essendo giurisprudenza consolidata di questa Corte (Vedi Cass. n. 18609 del 22/09/2015), che la mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una mera irregolarità formale, irrilevante ai fini della sua validità, salvo che abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, traducendosi in tal caso in vizio con effetti invalidanti della sentenza stessa, per omessa pronuncia sulle domande o eccezioni delle parti, oppure per difetto di motivazione in ordine ai punti decisivi prospettati dalle parti.

Nel caso di specie, il Tribunale di Roma non è incorso nel vizio di omessa pronuncia sulle domande, avendo fatto espressamente riferimento, nella sentenza impugnata alle misure richieste nelle conclusioni (che aveva quindi ben presenti), ma ha ritenuto che non potessero essere imposte nè nei confronti del giudice che è incorso nell’errore, nè nei confronti dell’Amministrazione Giudiziaria, essendo l’errore nel trattamento dei dati personali eventualmente solo emendabile in sede giurisdizionale.

Infondato, è altresì il quinto motivo, in cui è stato lamentato il vizio di ultrapetizione, non avendo il Tribunale di Roma fatto alcun riferimento ad una eventuale responsabilità risarcitoria del giudice di Napoli o dell’Amministrazione Giudiziaria e alla eventuale insussistenza dei presupposti per poterla dichiarare, occupandosi di tali soggetti solo quali destinatari della misure richieste nelle conclusioni.

Infine, il sesto motivo è inammissibile per difetto di interesse ad agire.

Va preliminarmente osservato che è orientamento consolidato, sia in giurisprudenza che in dottrina, che l’interesse ad agire deve essere concreto, cioè effettivo ed attuale e deve essere quindi esistente fino al momento della decisione. Nel caso di specie, deve rilevarsi la carenza dell’interesse ex art. 100 c.p.c. atteso che lo stesso ricorrente ne invoca uno alla correzione dei dati presenti nell’archivio informatico del Tribunale di Napoli in base alla mera, supposta eventualità (situazione quindi non attuale) che anche in futuro possa verificarsi uno scambio di persona, come avvenuto per effetto del provvedimento della sezione lavoro del Tribunale di Napoli di cui è causa.

Peraltro, come sopra già evidenziato, la richiesta correzione dei dati contenuti nel predetto archivio informatico non era in alcun modo essenziale (neppure prima che intervenisse il decreto del Presidente della Sezione Lavoro del Tribunale di Napoli), atteso che il fraintendimento all’origine del rigetto dell’istanza di ATPO avrebbe potuto essere comunque evitato consultando lo stesso SICID (archivio informativo) del Tribunale di Napoli, nel quale, se è pur vero che era stato omesso l’inserimento del codice fiscale dell’omonimo del ricorrente, tuttavia, era comunque presente la diversa località di nascita ((OMISSIS) anzichè (OMISSIS)).

Come detto, tale particolare non era certo irrilevante, avendo lo stesso ricorrente dato atto che il differente luogo di nascita consentiva di “agevolmente cogliere con tutta evidenza la diversità dei soggetti pur assistiti dal medesimo ente pubblico previdenziale”.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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