Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11814 del 09/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 09/06/2016, (ud. 13/04/2016, dep. 09/06/2016), n.11814

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 3391 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

LVM S.r.l., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore V.L. rappresentato e difeso,

giusta procura in calce al ricorso, dagli avvocati Ignazio Moroni

(C.F.: MRN GNZ 591328 H501Q e Raffaele Mario Vavalà (C.F.: VVL RFL

55D26 16393);

– ricorrente –

nei confronti di:

GALLERIE COMMERCIALI ITALIA S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), in

persona del procuratore generale Vo.Pa. rappresentata e

difesa, giusta procura in calce al controricorso, dagli avvocati

Marelli Fabio (C.F. dichiarato: MRL FML 63L11 A182F) e Paolo

Quattrocchi (C.F.: QTT PLA 57D14 H501L);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza pronunziata dalla Corte di Appello

di Venezia n. 610/2012, depositata in data 29 giugno 2012;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

13 aprile 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

l’avvocato Ignazio Moroni, per la società ricorrente;

l’avvocato Iolanda Boccia, per delega dell’avvocato Fabio Marelli

per la società controricorrente;

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale

dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per la dichiarazione di

inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366 c.p.c. (Cass.

SSUU n. 19255/2010 e n. 5698/2012), con condanna aggravata alle

spese.

Fatto

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Gallerie Commerciali Italia S.p.A. (in seguito, anche: GALLERIE) ottenne un decreto ingiuntivo (dell’importo di Euro 16.231,73) nei confronti di L.V.M. S.r.l. (in seguito, anche: LVM) per canoni insoluti relativi ad un contratto di affitto di azienda.

Con l’opposizione, l’ingiunta propose altresì domanda di pagamento di una fattura emessa per interventi eseguiti nell’immobile locato, opponendo il relativo credito in compensazione e, in subordine, previa dichiarazione di nullità del contratto di affitto, la condanna dell’opposta al pagamento dei suddetti lavori a titolo risarcitorio o di ingiustificato arricchimento; in ulteriore subordine, chiese la risoluzione del contratto di affitto per inadempimento della locatrice. L’opposizione e le domande subordinate dell’opponente furono rigettate dal Tribunale di Venezia.

La Corte di Appello di Venezia ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre L.V.M. S.r.l., sulla base di tre motivi.

Resiste Gallerie Commerciali Italia S.p.A. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1592 e 1593 c.c. per avere considerato, quali semplici migliorie o addizioni di un immobile concesso in locazione, i lavori le dotazioni di attrezzature e macchinari che nulla avevano a che vedere, anche solo logicamente, con l’immobile stesso, oltre che gli specifici impianti, attraverso i quali, con le attrezzature e i macchinari di cui sopra, LVM aveva costituito il nuovo esercizio di vendita al dettaglio di gelati confezionati e da asporto, nel locale, già condotto in locazione, con diversa destinazione di laboratorio artigianale di produzione e vendita di yogurt. Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per non avere motivato sul come e perchè le attrezzature apportate da LVM (macchinari, banconi, etc.) potevano considerarsi migliorie/addizioni, anzichè, come in effetti erano, beni ulteriori e diversi, rimborsabili, se dati per acquisiti, come avvenuto, anche alla luce del disposto dell’art. 13 del medesimo contratto di locazione”.

Il motivo si conclude con i seguenti “quesiti di diritto”:

“a) Dica la Corte che sono migliorie e/o addizioni solo quegli interventi, inerenti l’immobile locato, che il conduttore realizzi apportando allo stesso un aumento di valore, accrescendo in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività, senza presentare una propria individualità, ovvero quelle aggiunte o completamenti apportati all’immobile locato che, senza alterarne la configurazione o la funzione, incrementino quantitativamente l’immobile medesimo, mantenendo una loro individualità rispetto bene.

b) Dica pertanto l’Ecc.ma Corte adita che le Dotazioni Costitutive di cui è causa (banconi refrigerati, macchine di produzione gelato e panna, frigoriferi, ecc.), non possedendo alcun rapporto giuridicamente rilevante, ex artt. 1592 e 1593 c.c., con l’immobile locato ed essendosi con esse creata, accanto al laboratorio artigianale, la nuova e diversa attività commerciale dì vendita al dettaglio, con modificazione anche della destinazione dell’immobile, non sono migliorie o addizioni.

c) Dica l’Ecc.ma Corte adita che la Corte di Appello ha fornito un’errata motivazione insufficiente ed incoerente per non avere spiegato cosa la convincesse a ritenere le Dotazioni Costitutive di LVM mere addizioni e migliorie, quando dai documenti a sue mani emergeva come con le stesse LVM non fosse (solo) intervenuta sull’immobile, ma avesse soprattutto acquistato tutti i macchinari, tutte le attrezzature e tutti gli arredi della nuova e diversa attività commerciale di vendita al dettaglio di gelati confezionati”.

Il motivo è infondato.

La corte di merito ha ritenuto in fatto, con motivazione adeguata e come tale non sindacabile nella presente sede, che gli impianti e le attrezzature acquistate, nonchè i lavori eseguiti da LVM per trasformare il locale da yogurteria in gelateria, fossero rimasti acquisiti a GALLERIE in proprietà in base agli stessi accordi negoziali stipulati dalle parti, e ciò sia in virtù della espressa previsione di cui all’art. 11 del contratto di locazione originario (secondo la quale miglioramenti e addizioni apportati dalla conduttrice, anche se autorizzati, sarebbero rimasti acquisiti alla locatrice al termine della locazione), sia, più specificamente, in virtù della transazione stipulata nel 2005.

Le opere e i lavori di trasformazione del locale risultano infatti dettagliatamente descritti ed autorizzati nell’atto transattivo del 2005, sul presupposto che essi sarebbero rimasti acquisiti a GALLERIE al termine della locazione, in base alla suddetta clausola contrattuale.

In virtù di questa insindacabile premessa di fatto, va evidentemente esclusa, in diritto, qualunque violazione degli art. 1592 e 1593 c.c. (disposizioni certamente derogabili in base alla volontà delle parti: cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6158 del 20/06/1998, Rv.

516630; Sez. 3, Sentenza n. 192 del 11/01/1991, Rv. 470447) nella pronunzia impugnata, risultando in realtà la sorte dei beni di cui si discute stabilita in virtù di specifici accordi negoziali.

Del tutto inconferente in proposito deve poi ritenersi il richiamo all’art. 13 del contratto di locazione, che ha ad oggetto il privilegio di cui all’art. 2764 c.c. sui beni mobili del conduttore.

D’altronde – pare opportuno sottolineare, a fini di completezza espositiva – anche a voler considerare alcuni dei beni mobili acquistati da LVM asportabili senza nocumento per l’immobile locato, ovvero, di converso, alcune delle opere da essa realizzate come interventi strutturali che ne mutavano la funzione e la destinazione, e a voler escludere quindi (sia nel primo che nel secondo caso) l’applicabilità del regime previsto per i miglioramenti e le addizioni, non sarebbe con ciò dimostrato il diritto della conduttrice di ottenere dalla locatrice il pagamento del corrispondente valore, non risultando in alcun modo accordi tra le parti in tal senso, e tenuto altresì conto che gli interventi che mutano la funzione e la destinazione dell’immobile locato devono ritenersi addirittura vietati ai sensi dell’art. 1587 c.c., n. 1, (cfr. in proposito Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9744 del 08/11/1996, Rv. 500406).

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1454 c.c. per non avere la Corte dichiarato la risoluzione di diritto dell’accordo transattivo del 2005 e del collegato, allora vigente, contratto di locazione a seguito dell’inerzia di Gallerie rispetto alla diffida ad adempiere inviatale il 6/12/2006 dal LVM a causa del mancato rilascio dell’autorizzazione amministrativa di vendita. La conseguente impossibilità di continuare a fare applicazione dell’art. 11 del risoltosi contratto di locazione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1361 e ss. c.c. ed omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per avere, tra l’altro, imputato ad LVM il mancato compimento di un’attività (richiesta dell’autorizzazione), che ben aveva dimostrato di sapere poteva essere compiuta solo da Gallerie e per avere male interpretato l’accordo transattivo del 2005, affermando l’inesistenza di obbligazioni di Gallerie in merito al rilascio della nuova autorizzazione amministrativa di vendita”.

La ricorrente formula in proposito i seguenti quesiti di diritto:

“a) Dica l’Ecc.ma Corte adita che, a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., il mancato adempimento nel termine o comunque il mancato inizio dell’adempimento nel medesimo termine comporta la risoluzione di diritto del contratto.

b) Dica l’Ecc.ma Corte adita che, pertanto, nella specie la Corte di Appello di Venezia ha errato nel non dichiarare la risoluzione di diritto dell’accordo transattivo del 2005.

c) Dica l’Ecc.ma Corte adita che nell’economia dell’accordo transattivo del 2005 la richiesta di rilascio dell’autorizzazione amministrativa da parte di Gallerie costituiva adempimento essenziale per LVM e che, in suo difetto, l’accordo medesimo si è risolto per fatto e colpa di Gallerie.

d) Dica l’Ecc.ma Corte adita che tra l’accordo transattivo di cui sopra ed il contratto di locazione inter partes sussisteva un collegamento negoziale e, comunque, un rapporto di interdipendenza, per cui, alla risoluzione dell’accordo transattivo segue il venir meno del contratto di locazione.

e) Dica l’Ecc.ma Corte adita che la Corte di Appello ha errato nell’affermare prima che una certa attività potesse essere compiuta solo da Gallerie, per poi ritenere la medesima attività oggetto di un onere ad esclusivo carico di LVM”.

Il motivo è inammissibile, ancor prima che infondato.

La domanda di risoluzione della transazione stipulata dalle parti nel 2005 e, come diretta conseguenza di questa, del contratto di locazione del 2001, è stata dichiarata inammissibile in primo grado, in quanto proposta tardivamente e fondata su elementi di fatto del tutto nuovi e non dipendenti dalle difese di GALLERIE. La corte di appello (pur avendo esaminato alcune questioni relative agli accordi transattivi) non risulta avere espressamente riformato la pronunzia del tribunale sul punto, e non vi è specifica censura al riguardo, onde le questioni di merito sollevate dalla ricorrente con riguardo a tale domanda non possono trovare ingresso in questa sede.

La pronunzia impugnata risulta del resto adeguatamente motivata, in fatto, con riguardo alla ricostruzione dell’oggetto e del contenuto degli accordi transattivi stipulati tra le parti nel 2005 e con riguardo alla insussistenza di un inadempimento di GALLERIE a tali accordi, anche in relazione all’onere assunto dalla conduttrice di provvedere all’acquisizione delle autorizzazioni amministrative necessarie per la nuova attività, sottraendosi così anche alle dedotte censure di violazione dell’art. 1454 c.c. e delle norme sull’interpretazione dei contratti.

E’ in ogni caso assorbente la considerazione che alla eventuale risoluzione della transazione del 2005, del resto espressamente indicata dalle parti come priva di effetti novativi dell’anteriore contratto di locazione del 2001, non potrebbe mai conseguire la risoluzione di quest’ultimo, mancando tra i due accordi negoziali un nesso logico e giuridico tale da giustificare tale conclusione.

3.- Con il terzo motivo del ricorso, in via condizionata al mancato accoglimento del primo motivo di impugnazione, si denunzia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2555 c.c. in relazione anche all’art. 1362 c.c. e ss., nonchè alla L. n. 241 del 1990, art. 13, al D.M. n. 375 del 1988, art. 49 e successive modifiche ed alla L.R. Veneto n. 15 del 2004, art. 10 applicabili al rapporto controverso ratione temporis per non avere affermato la nullità del contratto con tutte le conseguenze di legge, di cui anche ai separati motivi”.

Anche questo motivo è inammissibile, ancor prima che infondato.

Nella pronunzia impugnata si afferma l’impossibilità di configurare una nullità del contratto di affitto di azienda, anche nell’ottica prospettata dalla ricorrente per cui alcune delle attrezzature contenute nel locale (o addirittura la stessa azienda in sè) fossero di sua proprietà (e pertanto non esistesse affatto una azienda di GALLERIE da affittare a LVM), dovendo al più, in tal caso, qualificarsi il contratto stipulato dalle parti come semplice locazione di immobile, ma senza la possibilità di ipotizzare alcuna nullità.

La suddetta ratio decidendi, certamente corretta, non è stata comunque oggetto di specifica impugnazione: essendo essa da sola in grado di sostenere il rigetto della domanda di dichiarazione di nullità del contratto di affitto di azienda, si è quindi determinato il passaggio in giudicato della pronunzia impugnata sul punto.

4.- Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente a pagare le spese del presente giudizio in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2016

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