Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11813 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. I, 05/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 05/05/2021), n.11813

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25253/2015 proposto da:

G.C., G.G., Gi.Gi., elettivamente

domiciliati in Roma, in via Lucrino n. 14, presso lo studio

dell’avvocato Vasaturo Giulio, rappresentati e difesi dall’avvocato

Gurrieri Pietro, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

Contro

Comune di Canicattì, in persona del sindaco pro-tempore, elett.te

domiciliato presso l’Avvocatura comunale, rappresentato e difeso

dall’avvocato Vaccaro Loredana, con procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

I.A.c.p. di Agrigento, in persona del legale rappres. p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 716/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 18/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/01/2021 dal Cons. rel., Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con citazione notificata il 29.4.09, C., Gi. e G.G. convennero innanzi alla Corte d’appello di Palermo il Comune di Canicattì e lo IACP proponendo opposizione alla stima dell’indennità d’espropriazione e di occupazione del terreno di loro proprietà nel procedimento promosso dal Comune di Canicattì per la realizzazione di un centro sociale con fondi gestiti dallo stesso IACP, lamentando l’incongruità della determinazione di tali indennità, assumendo quale valore di riferimento la somma di Euro 200,00 al mq; si costituirono il Comune e lo IACP, resistendo alla domanda.

Disposta c.t.u., con sentenza emessa il 18.5.15, la Corte territoriale rigettò la domanda nei confronti dello IACP ed, in parziale accoglimento della domanda proposta nei confronti del Comune di Canicattì, determinò l’indennità d’espropriazione nella somma di Euro 152.760,00 e quella di occupazione nella somma di Euro 42.670,00, osservando che: era fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dello IACP, rilevato che il Comune era il soggetto espropriante e beneficiario del bene ablato, a nulla rilevando che i fondi utilizzati fossero stati gestiti dallo stesso IACP; il c.t.u. aveva determinato i suddetti valori attraverso l’esame di atti di compravendita d’immobili di tipologia analoga; i rilievi espressi dagli opponenti circa l’asserita natura edificabile del fondo occupato e i criteri seguiti dal c.t.u. nella stima erano infondati, in quanto, come evidenziato dal medesimo c.t.u. anche in replica ai c.t.p., la destinazione urbanistica IC3 comprendeva aree destinate a sedi di attività pubbliche o di interesse pubblico per le quali la realizzazione d’impianti ed edifici poteva anche essere affidata dal Comune in concessione ai privati, a differenza delle zone limitrofe, da ritenere edificabili, come confermato dal fatto che per la zona in questione lo strumento urbanistico non aveva previsto alcun indice edificatorio.

Gli opponenti originari ricorrono in cassazione con unico motivo.

Il Comune di Canicattì resiste con controricorso. Non si è costituito lo IACP.

Diritto

RITENUTO

CHE:

L’unico motivo denunzia violazione del D.P.R. n. 381 del 2001, art. 37 avendo la Corte d’appello erroneamente applicato gli artt. 27 e 58 delle NTA che, invece, avrebbero legittimato l’applicazione della suddetta norma, non ritenendo edificabili le aree espropriate ed omettendo di applicare il principio per cui nella zona destinata a spazi pubblici attrezzati, in cui sia consentito l’intervento dei privati in regime di concessione, non era da escludere l’edificabilità di tale zona. Pertanto, i ricorrenti lamentano che il c.t.u. avesse stimato il valore degli immobili espropriati facendo riferimento ad atti di vendita di beni inedificabili, anzichè valutare immobili, pur collocati in altre zone, ma omogenei.

Il motivo è infondato. La Corte territoriale, in adesione alla c.t.u., ha evidenziato che i terreni espropriati erano inclusi nell’ambito della destinazione urbanistica IC3, comprendente aree destinate a sedi di attività pubbliche o di interesse pubblico per le quali la realizzazione di impianti ed edifici poteva anche essere affidata in concessione a privati dal Comune. Ciò è incontestato tra le parti.

La Corte di merito ha altresì affermato che non sussisteva nella fattispecie la possibilità di edificare da parte di provati, ma di realizzare le strutture esclusivamente su concessione del Comune, a differenza delle altre zone limitrofe, da considerare edificabili a tutti gli effetti, in quanto lo strumento urbanistico consentiva direttamente ai privati, e su loro iniziativa, di realizzare impianti. Sulla base di tali rilievi la Corte territoriale ha ritenuto che la stima del valore degli immobili espropriati dovesse essere effettuate attraverso l’esame degli atti di compravendita relativi a terreni non agricoli, ma neppure edificabili, con indici di edificabilità minima, ovvero relativi ad aree artigianali o destinate alla realizzazione di attrezzature sportive, attraverso una media di siffatti valori.

I ricorrenti criticano tale motivazione, lamentando che la Corte territoriale erroneamente abbia escluso l’edificabilità dei terreni in questione, pronunciando in difformità della giurisprudenza di legittimità circa la natura edificabile dell’area ubicata in zona destinata a spazi pubblici attrezzati e sport in cui sia consentito l’intervento dei privati in concessione, atteso che detta destinazione urbanistica comporta non soltanto l’edificabilità in senso tecnico, ma anche che siffatta edificabilità, lungi dal risultare prerogativa dell’ente pubblico, sia rimessa all’intervento dei privati (cfr. Cass., n. 24930/07).

Nella fattispecie, contrariamente a quanto rilevato dai ricorrenti, per quanto sopra esposto, la Corte di merito non ha accertato la vocazione edificatoria dell’area espropriata quale espressione dello jus edificandi, bensì che tale area presenti una destinazione urbanistica – come desumibile dalla c.t.u., non contestata – afferente a sedi di attività pubbliche o di interesse pubblico, che consente direttamente ai privati, su loro iniziativa, di realizzare tali impianti pubblici. Ne consegue l’applicabilità del diverso indirizzo giurisprudenziale a tenore del quale, ai fini della determinazione dell’indennità espropriativa, nel sistema introdotto dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5bis (conv., con modif., dalla L. n. 359 del 1992), devono essere inclusi nella categoria dei terreni a vocazione edificatoria legale solo quelli in cui l’edificazione, benchè a tipologia vincolata, sia consentita all’iniziativa privata in base alla concreta disciplina e destinazione urbanistica attribuita all’area; qualora, invece, i limitati interventi consentiti non risultino espressione dello “ius aedificandi”, ma siano funzionali alla realizzazione dello scopo pubblicistico, l’area non può essere qualificata come edificabile (Cass., n. 19193/16; n. 4040/2010). E’ stato altresì precisato, al riguardo, che ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, la destinazione di un’area a parco urbano nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo e non espropriativo, ne determina il carattere non edificabile, pur quando la destinazione prevista sia realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata (Cass., n. 5247/16).

Invero, la Corte territoriale ha utilizzato quale parametro della stima atti di compravendita relativi a terreni non agricoli, ma neppure edificabili, con indici di edificabilità minimi compatibili, appunto, con la destinazione urbanistica del terreno in questione, effettuando dunque un apprezzamento di merito incensurabile in questa sede. Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 5400,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15 % quale rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

 

 

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