Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11812 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. II, 18/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 18/06/2020), n.11812

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22879/2016 proposto dalla:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE dello Stato

e domiciliata presso i cui uffici, in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

P.C., in proprio e quale legale rappresentante di

E.D. s.r.l., rappresentata e difesa dall’Avvocato BARBARA ACCETTURA,

ed elettivamente domiciliata, presso lo studio del Dott. Marco

Gardin, in ROMA, VIA L. MANTEGAZZA 24;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 241/2016 della CORTE d’APPELLO di LECCE,

depositata il 16/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/01/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

di ricorso, con assorbimento del secondo motivo e rigetto del terzo;

udita l’AVVOCATURA GENERALE dello STATO per la ricorrente e l’Avv.

BARBARA ACCETTURA per la controricorrente, che hanno concluso,

rispettivamente, come in atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato in data 4.10.2012 dinanzi al Tribunale di Lecce, P.C., in proprio e quale legale rappresentante di E.D. s.r.l., proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 68659, emessa dall’AGENZIA delle ENTRATE – DIREZIONE PROVINCIALE di LECCE in data 28.8.2012 e notificata il 5.9.2012, che le aveva comminato la sanzione di Euro 18.360,00 per violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, commi 9 e 11, per avere conferito un incarico retribuito ad una professoressa, pubblico dipendente della Università del Salento, senza la prevetiva autorizzazione dell’ente di appartenenza e per non avere comunicato nei termini i compensi corrisposti alla medesima.

L’opponente esponeva: a) che l’ordinanza ingiunzione era stata preceduta da verbale di contestazione della Guardia di Finanza notificato oltre il termine di 90 giorni dall’accertamento operato in danno della menzionata professoressa, con decadenza ed estinzione delle violazioni contestate, della L. n. 689 del 1981, ex art. 14, comma 6; b) che, in ogni caso, la professionista incaricata aveva ricevuto dal proprio datore di lavoro autorizzazione postuma, “ora per allora”, all’incarico; c) che la ricorrente non era a conoscenza del ruolo di pubblico dipendente della professionista, così ricorrendo l’ipotesi di incolpevole errore di fatto, della L. n. 689 del 1981, ex art. 3, comma 2. Ciò premesso, concludeva per l’accertamento della decadenza ed estinzione della violazione per mancata contestazione nel termine di 90 giorni; dell’invalidità dell’ordinanza ingiunzione per difetto dell’elemento soggettivo; dell’insussistenza del fatto lesivo per intervenuta autorizzazione.

Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate, la quale (sottolineando che “la Guardia di Finanza aveva accertato che il ricorrente aveva conferito alla professoressa un incarico, senza che questa avesse ottenuto la preventiva autorizzazione all’attività che esulava da quella istituzionale”) deduceva l’infondatezza dell’eccezione di decadenza; rilevava che negli illeciti amministrativi l’elemento soggettivo è presunto, ricorrendo la buona fede solo ove l’errore sulla liceità del fatto si fondi su un elemento estraneo all’agente e idoneo a determinarne il convincimento errato, laddove nel caso di specie il ricorrente non aveva fornito la prova di avere adottato tutte le cautele esigibili; lamentava che la condotta sanzionata fosse considerata come posta in violazione del principio di buon andamento dell’Amministrazione, a prescindere dalla concreta sussistenza di un danno, non essendo possibile ritenere che l’autorizzazione successiva della P.A. sani un comportamento illegittimo (tra l’altro, la sanzione era stata irrogata da Amministrazione diversa da quella di appartenenza del soggetto agente). Ciò premesso, concludeva per il rigetto dell’opposizione e la conferma dell’ordinanza ingiunzione impugnata.

Con sentenza n. 1786/2014 il Tribunale di Lecce accoglieva l’opposizione e annullava il provvedimento impugnato, riconoscendo l’effetto sanante della autorizzazione “ora per allora”, con compensazione delle spese di lite.

Contro detta sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate, sostenendo l’erroneità della stessa nella parte in cui riteneva equipollente all’autorizzazione preventiva quella postuma, nonchè il difetto di motivazione nella parte in cui era disposto l’annullamento della sanzione per la violazione dell’obbligo di comunicazione dei compensi all’Amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico. Concludeva, dunque, per la riforma della sentenza appellata.

Si costituiva P.C., che rilevava l’inammissibilità del gravame per passaggio in giudicato della sentenza, nonchè per violazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1 e proponeva appello incidentale avverso i capi della sentenza con i quali erano stati respinti il primo e il terzo motivo del ricorso in opposizione. La P., nella memoria conclusiva dava atto della sentenza n. 98/2015, con la quale la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’incostituzionalità del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 15, nella parte in cui prevedeva che “i soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9”, abrogando con effetto ex tunc uno dei due illeciti. Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione in parte qua.

Con sentenza n. 241/2016, depositata in data 6.4.2016, la Corte d’Appello di Lecce rigettava l’appello principale e accoglieva il secondo motivo di appello incidentale (assenza dell’elemento soggettivo), compensando le spese di lite, in considerazione della novità della questione e della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità di una delle norme poste a base dell’ordinanza ingiunzione.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di tre motivi; resiste P.C. con controricorso, illustrato da memoria.

All’esito della udienza pubblica del 26.10.2018, il Collegio (con ordinanza interlocutoria n. 2059 del 2019, depositata il 24 gennaio 2019) rinviava a nuovo ruolo la causa per acquisire relazione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo in ordine alla possibilità o meno di conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi (di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9), e quindi circa la sanzionabilità, o meno, della diversa condotta in ragione della ritenuta portata convalidante ex tunc dell’autorizzazione postuma allo svolgimento dell’incarico, pronunciata “ora per allora”.

Acquisita la relazione dell’Ufficio del Massimario (n. 36 del 18 marzo 2019), e depositate ulteriori memorie da entrambe le parti in prossimità della presente udienza, la difesa della controricorrente (ribadite le proprie conclusioni, come fatto anche dal Procuratore Generale e dalla ricorrente) ha richiesto l’oscuramento del nome del docente universitario, soggetto terzo della vicenda di causa, del D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 52 e successive modificazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, allo scopo di tutelare l’identità del docente universitario, quale soggetto terzo rispetto al presente giudizio, va accolta l’istanza depositata dalla controricorrente (proposta anche “a fini di riservatezza di dati/scelte aziendali della resistente ininfluenti ai fini del giudizio”) di oscuramento delle generalità del medesimo docente ai sensi e per gli effetti di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, commi 1-3, come modificato dal D.Lgs. n. 101 del 2018, art. 3, comma 2, lett. c), disponendosene l’attuazione come da dispositivo, se presenti.

2.1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, commi 7 e 9, in combinato disposto con gli artt. 97 e 98 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, là dove la sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado, riconoscendo efficacia sanante all’autorizzazione rilasciata con la formula “ora per allora”.

2.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”, in quanto la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere meritevole di accoglimento il motivo di opposizione fondato sull’insussistenza dell’illecito sanzionato, per assenza dell’elemento soggettivo, con applicazione dell’esimente dell’incolpevole errore sul fatto, pronunciando in contrasto con la ricostruzione giuridica dell’elemento soggettivo in materia di illeciti amministrativi, per i quali si presume la colpa in capo all’autore della violazione ed è fatto obbligo a costui di provare il contrario, ivi inclusa la buona fede, l’errore scusabile ovvero la mancanza di colpa del proprio comportamento, mediante atti o fatti oggettivi e pacifici, nella fattispecie insussistenti.

3.3. – Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, commi 11 e 15, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, poichè la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto che i motivi di appello riguardanti le violazioni di cui del cit. art. 53, commi 11 e 15, fossero ormai irrilevanti a causa della declaratoria di illegittimità costituzionale del comma 15 (Corte Cost. n. 98 del 2015); mentre avrebbe dovuto, in parte qua, rideterminare la misura della sanzione, conformemente alle statuizioni del Giudice delle Leggi e non già annullare l’ordinanza ingiunzione.

3. – Questo Collegio ritiene logicamente e giuridicamente pregudiziale l’esame del secondo motivo di ricorso.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – La sentenza impugnata si basa su una duplice, autonoma, ratio decidendi con cui la Corte di merito ha ritenuto di confermare l’annullamento della ordinanza ingiunzione opposta da parte del Tribunale in primo grado (oltre che per la esclusione della sussistenza della violazione dell’art. 53 citato, comma 9) anche per l’assenza dell’elemento soggettivo, per essere stata l’azione o l’omissione della conferente l’incarico non cosciente, nè volontaria.

La Corte ha infatti rilevato come – pur tenendosi conto dell’inversione dell’onere probatorio conseguente alla presunzione di colpa in capo all’opponente – non fosse emerso dagli atti alcun elemento (quale una frequentazione abituale, per ragioni personali o di lavoro, tale da indurre a ritenere la conoscenza dell’opponente, operante nel settore socio-sanitario, della attività di docente universitario svolta a tempo pieno) che avrebbe potuto o dovuto in concreto indurre la committente a ritenere di star conferendo un incarico ad un docente universitario a tempo pieno. Laddove, nella fattispecie in esame, una tale evenienza (quand’anche sospettata dalla conferente) sarebbe risultata smentita anche dalla eventuale verifica della iscrizione del docente nell’albo professionale, essendo la professoressa incaricata, all’epoca dei fatti, iscritta nell’elenco ordinario dell’albo degli avvocati e non in quello speciale (circostanza questa ritenuta dalla Corte pacifica, in quanto espressamente affermata dalla opponente e non contestata dalla controparte). Nè la medesima avrebbe potuto altrimenti accedere ad informazioni sul regime retributivo della professionista incaricata, non essendo queste accessibili ai terzi, trattandosi di dati sensibili coperti da riservatezza (sentenza impugnata, pagg. 8 e 9).

3.3. – La Corte distrettuale, attraverso una valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità, poichè congrua e coerente con i consolidati principi – secondo cui l’esimente della buona fede, applicabile anche all’illecito amministrativo disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa solo quando sussistano elementi positivi idonei a ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso (Cass. n. 13610 del 2007) -, ha affermato la configurabilità nella specie dell’esimente in questione.

L’applicazione che la Corte d’appello ha praticato della regola generale enunciata dalla L. n. 689 del 1981, art. 3, risulta, quindi, immune da vizi e conforme ai principi dettati da questa Corte in ordine alla configurabilità dell’elemento soggettivo in capo all’autore dell’illecito amministrativo. E’ consolidata infatti l’affermazione secondo cui (poichè per integrare l’elemento soggettivo delle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa è sufficiente la semplice colpa, che si presume a carico dell’autore del fatto vietato, riservando a questi l’onere di provare di aver agito senza: ex plurimis Cass. n. 33441 del 2019; Cass. n. 24081 del 2019; Cass. n. 9546 del 2018; Cass. n. 2406 del 2016) a concretizzare quella buona fede che esclude la responsabilità dell’autore dell’illecito non è sufficiente che al momento dell’infrazione costui si trovi in uno stato di mera ignoranza circa la concreta sussistenza dei presupposti ai quali l’ordinamento positivo riconduce il suo dovere (punito in caso di inosservanza con la detta sanzione) di tenere una determinata condotta; occorrendo, invece, che tale stato di ignoranza sia (come ritenuto nella specie) incolpevole (Cass. n. 14107 del 2003), non superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza (Cass. n. 13011 del 1997).

4. – Il rigetto delle censure mosse alla sentanza di appello, con il secondo motivo di ricorso, fa venir meno in capo alle ricorrenti (in considerazione della sopra evidenziata esistenza di altra autonoma ratio decidendi) qualsiasi interesse alla pronuncia del primo e del terzo motivo, che pertanto devono ritenersi assorbiti.

Qualora la decisione di merito si fondi (come nella specie) su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee, pur se in via conseguenziale, a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse alla ratio decidendi pregiudiziale rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività dell’altra, alla cassazione della decisione stessa (Cass. n. 9394 del 2019; Cass. n. 27056 del 2018; Cass. n. 11493 del 2018; ex plurimis, anche Cass. n. 2108 del 2012; Cass. n. 15399 del 2018).

5. – Va dunque rigettato il secondo motivo di ricorso, con assorbimento del primo e del terzo motivo. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Non va emessa la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre ad Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.

Accoglie l’istanza di oscuramento del nome del docente universitario (soggetto terzo estraneo al presente giudizio). Dispone che sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della sentenza, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, l’indicazione – se presente – delle generalità e di altri dati identificativi dell’interessato (nella specie non parte in causa) riportati nella sentenza. Dispone che la cancelleria provveda ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 3, come modificato dal D.Lgs. n. 101 del 2018, art. 3, comma 2, lett. c).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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