Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1181 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 18/09/2020, dep. 21/01/2021), n.1181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3700/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) Srl, in persona del curatore, elettivamente

domiciliato in Latina, viale Picasso n. 30, presso lo studio

dell’Avv. Monica Mennella che lo rappresenta e difende giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1084/39/2010 della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, depositata in data 13 dicembre 2010;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2020 dal Consigliere Dott.ssa Corradini Grazia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Srl (OMISSIS) (dichiarata fallita con sentenza n. 133 del 29.9.2005) impugnò gli avvisi di accertamento emessi induttivamente a seguito di verifica fiscale nei suoi confronti, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, dalla Agenzia delle Entrate Ufficio di Latina, ai fini delle imposte sui redditi, IRAP ed IVA per gli anni 2003 e 2004, sulla base del rilievo che, per l’anno 2003, erano state omesse le dichiarazioni annuali dei redditi ed IVA e, per entrambe le annualità, la società aveva omesso di esibire, in sede di verifica, le scritture contabili obbligatorie, mentre era rimasta riscontrata la stipulazione, negli anni 2002 – 2004 per i quali era stata eseguita la verifica fiscale, di complessivi 59 contratti di locazione di suites mai dichiarati nè fatturati, per l’imponibile di Euro 527.291,00 per il 2003 e di Euro 188.682,00 per il 2004 e, per il 2004, era emersa altresì una plusvalenza non dichiarata, il che aveva indotto l’Ufficio finanziario ad applicare la redditività media del 30% sui ricavi accertati, anche ai fini IVA, considerata la omessa fatturazione dei ricavi e la impossibilità di accertare la veridicità e l’inerenza dei costi in assenza della documentazione giustificativa.

Con i ricorsi iniziali il fallimento della Srl (OMISSIS) eccepì la carenza assoluta di motivazione degli accertamenti del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42 e chiese nel merito alla Commissione Tributaria Provinciale di procedere ad una valutazione della reddittività aziendale idonea a valorizzare gli ammortamenti e le immobilizzazioni materiali ed immateriali, così da renderli deducibili dal reddito di impresa.

Con sentenze n. 323/8/2007 e 324/8/2007 la Commissione Tributaria Provinciale di Latina respinse i ricorsi ritenendo, in primo luogo, che gli accertamenti fossero motivati sulla base della sintetizzazione del processo verbale di constatazione già notificato alla parte e della indicazione delle ragioni giuridiche e fiscali degli addebiti nonchè della chiara ed autonoma argomentazione dell’Ufficio impositore in merito alla determinazione del reddito del contribuente in relazione agli elementi di fatto certi emersi in sede di verifica e, in secondo luogo, che la omessa presentazione delle dichiarazioni annuali per il 2003 e la totale inattendibilità della contabilità per entrambe le annualità, giustificasse l’accertamento induttivo che aveva indotto l’Ufficio ad escludere le voci di costo non dimostrate e ad applicare sui ricavi la percentuale di reddittività media nel settore alberghiero della zona.

Contro le due sentenze il fallimento propose due separati appelli depositati in data 22.10.2008 e riuniti in tale giudizio, lamentando la nullità degli accertamenti a causa delle incertezze in essi contenute e del metodo di calcolo dei ricavi e delle relative imposte, nonchè per l’illegittimo utilizzo delle presunzioni e chiedendo la riforma integrale delle sentenze di primo grado e, in via subordinata, la massima riduzione dell’imponibile presuntivamente sottratto all’imposta.

Con sentenza n. 1084/39/2010, depositata in data 13 dicembre 2010, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio – Sezione Distaccata di Latina, accolse gli appelli del contribuente e compensò fra le parti le spese di lite ritenendo che gli accertamenti fossero inficiati da una serie di errori commessi dall’Ufficio poichè aveva applicato la percentuale di redditività media prevista per il settore alberghiero anche alla locazione pluriennale delle camere di albergo, il che non rispondeva nè alla realtà di mercato nè alle metodologie della pratica professionale ed aveva determinato induttivamente pure i ricavi ai fini dell’IVA per la quale le dichiarazioni erano state presentate, recuperando quindi a tassazione anche l’IVA regolarmente dichiarata e che gli accertamenti fossero altresì nulli per carenza di motivazione e perchè viziati da una serie di anomalie e difformità che avevano inciso in maniera determinante ai fini della rettifica; in particolare con riguardo ai contratti di locazione che erano stati indicati in 59 ai fini IVA e in 28 ai fini IRPEG, ma che avevano portato allo stesso imponibile. Ritenne altresì che l’Ufficio non avesse dato alcuna risposta al contribuente in ordine alla determinazione dei ricavi ed al disconoscimento dei costi, pur a fronte di fondati rilievi in ordine alla sconfessione delle presunzioni utilizzate dall’Ufficio, alla detraibilità dell’IVA regolarmente assolta sugli acquisti ed all’ipotizzato trasferimento di azienda con riguardo alla cessione dell’immobile adibito ad albergo.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con atto notificato in data 30.1.2012, affidato a cinque motivi, cui resiste il fallimento (OMISSIS) SrI con controricorso notificato alla controparte il 4 – 9 luglio 2019 e successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.La Agenzia ricorrente – premessa la sintesi delle argomentazioni poste dalla sentenza impugnata a base della sentenza di appello con riguardo: alla nullità dell’accertamento per carenza di argomentazioni; ai vizi dello stesso atto a causa di una serie di anomalie e difformità che avevano inciso in maniera determinante sui risultati della rettifica, alla utilizzazione di una percentuale di redditività media non aderente alla realtà, alla tassazione IVA anche con riferimento alle imposte regolarmente dichiarate ed infine alla mancata risposta dell’Ufficio sulla determinazione dei ricavi e sul disconoscimento dei costi ed alla “sconfessione” delle presunzioni in ordine alla detraibilità dell’IVA ed alla cessione dell’immobile adibito ad albergo, che si propone di scardinare singolarmente e globalmente con il ricorso per cassazione lamenta, con il primo motivo, la omessa motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con riguardo al profilo della nullità degli avvisi di accertamento per carenza di motivazione, affermata del tutto apoditticamente dalla sentenza impugnata, in assenza di qualsiasi specificazione a sostegno della pretesa carenza, pur risultando per tabulas, sulla base dei ricorsi introduttivi e degli avvisi di accertamento ad essi allegati, che la motivazione era tutt’altro che inesistente o carente considerato che veniva esplicitata in numerose pagine che riportavano fra l’altro pure i risultati del verbale di constatazione già notificato alla parte e che davano conto delle attività non dichiarate (locazioni di suites e la plusvalenza generata nell’ottobre del 2004 dalla rivendita dell’immobile adibito ad albergo, che era stato acquistato nel 2002 e che costituiva un bene strumentale appartenente al patrimonio dell’impresa, riportato in bilancio fra le immobilizzazioni materiali), della mancata giustificazione dei costi, in assenza della presentazione di qualsiasi documentazione contabile e del criterio utilizzato per la determinazione dei ricavi e dell’IVA dovuta.

2. Con il secondo motivo si duole di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 dl 1972, art. 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata ritenuto la nullità degli accertamenti per vizi di ricostruzione dei ricavi con riguardo al numero dei contratti di locazione di suites stipulati e non contabilizzati, pur prevedendo le norme indicate la nullità degli accertamenti solo nel caso della mancata indicazione del presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che li avevano determinati e non anche nel caso di eventuali errori – fra l’altro inesistenti – o imprecisioni nella indicazione di alcuni dati che avrebbero dovuto indurre il giudice di appello a correggere eventuali errori di fatto ed a determinare la imposta effettivamente dovuta e non invece ad annullare l’accertamento.

3.Con il terzo motivo deduce, sempre con riguardo all’annullamento degli accertamenti per pretese anomalie e difformità sul numero dei contratti, insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè la sentenza di appello – laddove aveva annullato gli accertamento in base alla pretesa difformità fra i 59 contratti stipulati a fini IVA ed i 28 contratti a fini IRPEG – era frutto di un erroneo, incomprensibile ed immotivato apprezzamento dei fatti controversi, riportati correttamente nell’accertamento, laddove i contratti erano indicati nel numero complessivo di “59” per il periodo 2002/2004, oggetto di verifica, mentre 17 era il numero dei contratti stipulati nel 2002, 28 il numero dei contratti stipulati nel 2003 e 14 quello dei contratti stipulati nel 2004.

4. Con il quarto motivo la Agenzia ricorrente si duole ancora, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 e art. 41, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata, pur confermando che la società aveva conseguito ricavi in evasione di imposta e pur trattandosi di dichiarazioni annuali omesse per il 2003 e di omessa esibizione delle scritture contabili per gli anni 2003 e 2004 in sede di verifica fiscale, annullato gli avvisi di accertamento “perchè la percentuale di redditività era generica ed eccessiva”, in contrasto con la normativa in materia, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, per cui, a fronte di ricavi non dichiarati e non fatturati, l’Ufficio era autorizzato a ricostruire il reddito anche sulla base di presunzioni semplici o addirittura supersemplici, il che giustificava l’utilizzo della media del settore e ciò anche ai fini del recupero dell’IVA portata in detrazione, in mancanza delle scritture contabili obbligatorie ed in assenza della prova, che non era stata fornita dal contribuente, in ordine alla legittimità della detrazione operata.

5. Infine, con il quinto ed ultimo motivo, lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la sentenza impugnata ritenuto che l’Ufficio avesse ipotizzato redditi e ricavi mai realizzati e non avesse fornito risposta alle richieste del contribuente sulla detraibilità dell’IVA assolta sugli acquisti e sull’ipotizzato trasferimento di azienda in relazione alla cessione dell’immobile adibito ad albergo, senza però enunciare il giudizio nel quale consisteva la sua valutazione e descrivere il processo cognitivo attraverso il quale era passata dalla situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, così riducendo la motivazione ad una serie di enunciati privi della indicazione dell’iter logico seguito per pervenire al convincimento.

6. La contribuente, con il controricorso tardivo, ha eccepito preliminarmente la invalidità del ricorso per cassazione della Agenzia delle Entrate poichè notificato solo alla parte personalmente, in persona del curatore del fallimento e non invece nel domicilio eletto ed ha quindi opposto la inammissibilità o comunque la infondatezza dello stesso per avere le incongruenze degli accertamenti e la carenza di motivazione condotto correttamente all’annullamento. Ha altresì portato a conoscenza di questa Corte che, nelle more del presente giudizio, con sentenze definitive della Corte di Appello di Firenze (la n. 216 del 2015 e la n. 641 del 2009, quest’ultima divenuta definitiva a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n. 20822 del 2015), era stata dichiarata la simulazione del contratto di compravendita dell’albergo del 6.10.2004 perchè stipulato in frode ai creditori, per cui la eventuale tassazione della plusvalenza dell’operazione sarebbe ora illegittima ed ingiustificata per lesione degli interessi dei creditori.

6.1. La questione di invalidità del ricorso per omessa notificazione, che deve essere esaminata d’ufficio, è infondata poichè – a parte il rilievo che lo stesso controricorrente dà atto della sanatoria della nullità per effetto della sua costituzione in giudizio, sia pure tardiva, notificata alla controparte – dai documenti versati in atti risulta che la notificazione del ricorso per cassazione è stata eseguita non solo al fallimento (OMISSIS) Srl in persona del curatore presso il suo studio professionale in Latina, ma anche nel domicilio eletto nel giudizio di merito presso il difensore Dott. R.R., in (OMISSIS), dove l’atto è stato ricevuto il 2.1.2012 da persona incaricata e successiva raccomandata informativa spedita nella stessa data (v. relata di notifica in calce al ricorso, foglio di accettazione delle raccomandate firmato dall’impiegato postale il 30.1.2012 e avviso di ricevimento della raccomandata).

6.2. Anche i rilievi di inammissibilità del ricorso sono infondati e saranno esaminati unitamente ai motivi di ricorso, mentre, quanto alla pretesa illegittimità sopravvenuta dell’accertamento per il 2004, per la parte relativa al recupero della plusvalenza fondata sui documenti allegati al controricorso dichiaratamente tardivo, pur essendo principio acquisito quello per cui “nel procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., la produzione di documenti, ex art. 372 c.p.c., effettuata dalla parte che abbia depositato tardivamente il controricorso, al quale i predetti documenti siano stati allegati, è valida ed efficace, a condizione che la parte medesima si avvalga della facoltà di presentare memorie in vista dell’adunanza camerale” -come avvenuto nella specie – (v. Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1076 del 17/01/2019 Rv. 652610 – 01; v. ancora Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 1534 del 22/01/2018 Rv. 647079 – 01 secondo cui dopo la riforma recata dal D.L. n. 168 del 2016, conv., con modif., dalla L. n. 197 del 2016, in caso di inammissibilità del controricorso perchè tardivo, deve comunque ritenersi consentito il deposito della memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2, risultando ora l’unica altra attività difensiva permessa nel procedimento a struttura camerale e, quindi, equiparata o sostitutiva della partecipazione alla pubblica udienza, che è sempre stata, invece, pacificamente ammessa pur in presenza di ricorso inammissibile), è altrettanto consolidato il principio per cui nel giudizio per cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395 c.p.c., n. 3 (v. Cass. Sez. L -, Ordinanza n. 18464 del 12/07/2018 Rv. 649870 – 01).

6.3.Orbene, nella specie la controricorrente assume trattarsi della produzione della prova del giudicato esterno sulla simulazione del contratto di vendita sulla cui base è stata recuperata dall’Ufficio impositore la plusvalenza, peraltro la questione della illegittimità della tassazione perchè collegata ad un contratto simulato non risulta essere mai stata dedotta nel giudizio di merito ed è quindi una questioò – del tutto nuova e come tale inammissibile nel giudizio tributario in quanto non proposta con il ricorso introduttivo. Infatti nel giudizio tributario è inammissibile la deduzione, addirittura nella memoria del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32 in primo grado, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la “causa petendi” entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2 (v. per tutte Sez. 5 -, Ordinanza n. 19616 del 24/07/2018 Rv. 649827 – 01). Si tratta poi di questione di fatto proponibile solo nel primo grado.

7. Ciò posto, il ricorso della Agenzia delle Entrate è invece fondato.

8. Il primo motivo di ricorso, che è preliminare rispetto ai successivi, investe, con riferimento alla mancante o insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi, la statuizione della sentenza impugnata con cui è stata affermata apoditticamente la nullità degli accertamenti per mancanza di motivazione.

8.1. Occorre precisare che nella specie viene in considerazione la formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 precedente alla modifica di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134, la quale prevedeva, ratione temporis, essendo stata la sentenza di appello pubblicata il 13 dicembre 2010, “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

8.2. E’ vero che il vizio di motivazione deve riguardare un fatto decisivo per il giudizio, nel senso di un fatto inteso in senso storico – naturalistico e deve consistere in motivazione inesistente o quanto meno obiettivamente carente in ordine all’iter” logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata. Nella specie però viene dedotto proprio un vizio di tale tipo considerata la affermazione apodittica, da parte della sentenza impugnata, della mancanza di motivazione degli accertamenti, non supportata da alcuna precisazione e smentita invece dalla trascrizione, da parte dell’Agenzia, nel ricorso per cassazione della parte degli accertamenti che indicava con precisione i fatti e le risposte offerte dagli accertamenti e dalla produzione, in allegato al ricorso per cassazione, degli accertamenti, del processo verbale di constatazione recepito dagli accertamenti e degli iniziali ricorsi della contribuente che avevano a loro volta in parte trascritto gli accertamenti, così dando atto dei fatti storici accertati dai verificatori.

8.3. Sussiste quindi il vizio dedotto con il primo motivo di ricorso, mentre spetterà al giudice del rinvio, quale giudice del merito, la valutazione della completezza della motivazione.

9. Per le stesse considerazioni sono fondati anche i motivi 3 e 5 che investono, sempre con riferimento alla mancante o insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi, le ulteriori statuizioni della sentenza impugnata contenenti erronei apprezzamenti in ordine al numero dei contratti, riportato correttamente negli accertamenti, sulla affermata incongruenza della percentuale di ricarico applicata e sulla pretesa mancata risposta da parte degli accertamenti alle richieste del contribuente. Infatti la sentenze impugnata si è limitata a sostenere la erroneità degli accertamenti senza esplicitare il giudizio nel quale consisteva la sua valutazione, così riducendo la motivazione ad una serie di enunciati, fra l’altro erronei, privi di indicazione dell’iter logico seguito per pervenire al proprio convincimento.

10. Sono infine fondati anche il secondo ed il quarto motivo, entrambi posti sotto il profilo della violazione di legge ed in particolare della violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, artt. 41 e 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 55 e 56 e art. 2697 c.c., i quali aggrediscono sostanzialmente le due principali ragioni giustificatrici della sentenza di appello che, in riforma di quella di quella di primo grado e pur dando per presupposto la esistenza di ricavi realizzati dalla società “in evasione di imposta”, ha, in sostanza, annullato gli accertamenti per pretesa mancanza di motivazione e per pretesi vizi ed anomalie di ricostruzione dei ricavi in relazione al numero dei contratti di locazione di suites stipulati e non contabilizzati e “perchè la percentuale di redditività era generica ed eccessiva”.

10.1. E’ pacifico che gli accertamenti sono stati basati su un processo verbale di constatazione emesso a seguito di una verifica fiscale nei confronti della società (OMISSIS) SrI, nel frattempo fallita, attraverso la quale era emerso che la società non aveva presentato per il 2003 le dichiarazioni fiscali annuali neppure ai fini IVA (aveva invece presentato, limitatamente al 2003, quelle periodiche), ma soprattutto non aveva presentato, senza alcuna giustificazione, la documentazione contabile e fiscale obbligatoria, per cui l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto ad emettere gli accertamenti con metodo induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, sulla base dei ricavi ricostruiti nel corso della verifica fiscale, sui quali era stata applicata la redditività media del 30% e ciò anche ai fini IVA considerata la omessa fatturazione dei ricavi e la impossibilità di accertare la veridicità e l’inerenza dei costi in assenza della documentazione giustificativa.

10.2. La sentenza di appello ha ritenuto con le principali statuizioni che gli accertamenti fossero nulli, nonostante la tipologia di accertamento scelta dall’Ufficio, per errori, vizi ed anomalie nella determinazione dei ricavi non contabilizzati e nella determinazione della percentuale di ricarico applicata sui ricavi in quanto relativa al settore alberghiero mentre non sarebbe stata adeguata alla locazione annuale o pluriennale di suites comprese in alberghi. Tale decisione non è però conforme ai principi derivanti del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 comma 2 e art. 41 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, così come interpretati dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai quali si ritiene di dovere dare continuità in questa sede, per cui, in primo luogo, “il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte” (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19750 del 19/09/2014 Rv. 632465 – 01: Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva annullato l’avviso di accertamento per l’errata determinazione del “valore normale” dei beni ceduti dalla contribuente, senza provvedere alla nuova determinazione dei ricavi della contribuente secondo il criterio ritenuto legittimo). Infatti il giudizio tributario non si connota come un giudizio di “impugnazione-annullamento”, bensì come un giudizio di “impugnazione-merito”, in quanto non è finalizzato soltanto ad eliminare l’atto impugnato, ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, previa quantificazione della pretesa erariale, peraltro entro i limiti posti da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e, dall’altro lato, dagli specifici motivi dedotti nel ricorso introduttivo del contribuente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21759 del 20/10/2011 Rv. 619743 – 01; e precedenti e successive tutte conformi); con la conseguenza che, ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento, nella specie relativo ad imposta sui redditi, I.R.A.P. ed I.V.A., per motivi non formali, deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13034 del 24/07/2012 Rv. 623395 – 01).

10.3. Inoltre, nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente e nei casi assimilati di sottrazione o di omessa tenuta della documentazione o ancora di gravi incongruenze nella sua tenuta (ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. c) e d) vigente ratione temporis), la legge abilita l’Ufficio delle imposte a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo, utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici ed addirittura quelle cosiddette “supersemplici”, prive dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, le quali comportano una inversione dell’onere della prova, per cui incombe sul contribuente l’onere della prova contraria (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 7258 del 22/03/2017 Rv. 643469 – 01) e cioè la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15027 del 02/07/2014 Rv. 631522 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 16108 del 22/07/2011 Rv. 618894 – 01).

10.4. Nella specie, come correttamente rilevato dalla ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale non poteva perciò annullare gli accertamenti, bensì, in presenza di ritenute anomalie o difformità nella determinazione dei ricavi e nella determinazione della percentuale di ricarico fra quelle previste per i singoli settori operativi, avrebbe dovuto provvedere alla loro ricostruzione eliminando gli eventuali errori, trattandosi di accertamenti conseguenti ad una verifica fiscale che aveva accertato, fra l’altro, la mancanza della documentazione contabile e anche delle dichiarazioni fiscali annuali per la annualità 2003.

10.5. Le considerazioni che precedono inducono a ritenere che la CTR, decidendo nei termini di cui in sentenza – e cioè annullando gli accertamenti senza prendere in esame l’emersione di ricavi “in evasione di imposta” – abbia fatto malgoverno del quadro normativo di riferimento. La controricorrente non prospetta d’altronde argomenti nuovi che possano indurre a disattendere l’orientamento sopra indicato, al quale va data continuità.

10.6. La sentenza impugnata ha infatti completamente trascurato la regola iuris applicabile nel caso in esame, con riguardo alla tipologia di accertamento prescelto dalla Amministrazione Finanziaria, in virtù della quale gravava sul contribuente l’onere di offrire la prova contraria.

10.7. E’ opportuno aggiungere che appare in proposito corretta la deduzione del vizio per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè, in tema di ricorso per cassazione, tale vizio consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017 Rv. 646811 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010 Rv. 614588 -01), come avvenuto nella specie, considerato che i motivi di ricorso pongono proprio una questione di erronea ricognizione della fattispecie normativa astratta, relativa alla applicazione, appunto in astratto, della metodologia di accertamento di cui si tratta e della interpretazione della regola che ne disciplina la prova, ancor prima ed indipendentemente dalla ricostruzione della fattispecie concreta che spetta esclusivamente al giudice di merito e su cui comunque la Agenzia ricorrente si è soffermata solo ai fini della ricognizione dei fatti della causa strumentali rispetto alle doglianze relative alla erroneità dei principi giuridici applicati dalla sentenza impugnata, in assenza, quindi, della mediazione derivante dalla valutazione delle risultanze di causa.

10.8. E’ sul punto, invece, infondata la questione posta della controricorrente per cui i motivi di ricorso, in quanto intestati come violazione o falsa applicazione di legge, sarebbero contraddittori ed inammissibili trattandosi di due fattispecie diverse, poichè – pur essendo vero che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricomprende tanto quello di violazione di legge, ossia l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, quanto quello di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione, per cui si tratta di due vizi che rispondono ad una diversa ratio -, peraltro, al di là del titoletto del motivi di ricorso n. 2 e n. 4 che riportano la completa previsione normativa alternativa, viene poi correttamente dedotta, nella esplicitazione dei motivi, la sola violazione di legge.

11. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto e, dovendosi esaminare nel merito la congruità della motivazione, nonchè la correttezza dei recuperi in contestazione, in relazione alla tipologia di accertamento operato dalla Agenzia delle Entrate, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice a quo il quale si atterrà ai principi di diritto sopra indicati, provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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