Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11808 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 12/05/2017, (ud. 27/10/2016, dep.12/05/2017),  n. 11808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

UNIBEN s.r.l, a socio unico in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

Flaminia n. 135, presso lo Studio legale e tributario CBA,

rappresentata e difesa dall’avv. Giorgio Iacobone, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia n. 28/10/08, depositata il 6 maggio 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

ottobre 2016 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;

uditi l’avv. Alessandro Voglino (per delega) per la ricorrente e

l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

ZENO Immacolata, il quale ha concluso per l’inammissibilità o, in

subordine, il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La UNIBEN s.r.l., a socio unico in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia indicata in epigrafe, con la quale è stato rigettato l’appello della contribuente e confermata la legittimità di tre avvisi di accertamento ad essa notificati per il recupero a tassazione, a titolo di IRPEG, oltre interessi e sanzioni, di reddito imponibile (anche a fronte di perdite dichiarate) per gli anni 1998, 1999 e 2000, in applicazione della disciplina di cui alla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30 sulle cosiddette società non operative o di comodo.

Il giudice d’appello ha affermato in sintesi che: a) risulta certo e inconfutabile in atti che l’attività esercitata dalla società è quella di locazione di beni immobili propri e di sublocazione, oltre quella finanziaria, e che essa è proprietaria di un immobile da adibire a casa di cura denominata (OMISSIS), i cui lavori di costruzione sono stati ultimati nel 1997; b) la società dal 1 gennaio 1998 era in periodo di normale svolgimento dell’attività contemplata nell’oggetto sociale, mentre non aveva, nè poteva avere, in carenza dei presupposti di legge (essendo stata la relativa autorizzazione richiesta solo nel 2001), la gestione di immobili per l’attività sanitaria in proprio, non prevista nell’oggetto sociale; c) è infondata l’eccezione di nullità degli avvisi di accertamento per la violazione del termine di sessanta giorni previsto dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4 ai fini della risposta alla richiesta di chiarimenti, perchè la nullità è stabilita per l’ipotesi di omessa richiesta e non anche per l’assegnazione di un termine inferiore e perchè in ogni caso gli avvisi sono stati notificati oltre il termine medesimo; d) la società ha operato una precisa scelta di non utilizzazione dell’immobile per l’esercizio di attività economiche contemplate dallo scopo sociale.

2. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

3. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4, e formula il quesito se abbia errato la CTR nel negare la nullità degli avvisi di accertamento “adottati senza rispettare il termine minimo di sessanta giorni che deve essere preventivamente riservato al contribuente per fornire i chiarimenti oggetto dell’obbligatorio contraddittorio anticipato ivi previsto”.

La norma citata prevede (nel testo vigente ratione temporis), per quanto qui interessa, che “l’accertamento è effettuato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente, anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro sessanta giorni dalla data di ricezione della richiesta”: ciò premesso, il motivo è inammissibile perchè il quesito, prescritto dall’art. 366-bis c.p.c. (applicabile in relazione alla data di deposito della sentenza), così come formulato si rivela inconferente, essendo pacifico che gli avvisi sono stati emessi oltre il termine di sessanta giorni dalla ricezione del questionario.

2. Il secondo motivo, col quale è denunciata l’insufficienza della motivazione sul fatto controverso e decisivo riguardante, nuovamente, l’omessa formulazione della preventiva richiesta di chiarimenti secondo le modalità e i termini stabiliti dal citato L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4, è inammissibile, in quanto prospetta in realtà una quaestio iuris, rispetto alla quale non può essere dedotto un vizio di motivazione, che può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche (Cass., sez. un., n. 28054 del 2008).

3. Col terzo motivo è denunciata la violazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1; il motivo si conclude con il quesito se sia errata la sentenza che “manchi di decretare l’illegittimità o comunque l’infondatezza degli avvisi di accertamento induttivo adottati a norma dello stesso art. 30 nei confronti di una società a responsabilità limitata che nel periodo oggetto di verifica non si sia trovata in un periodo di normale svolgimento dell’attività ovvero abbia comunque fornito la prova contraria alla presunzione di non operatività prevista dalla detta disposizione, secondo circostanze processualmente acquisite e sostenute da riferimenti a oggettive situazioni di carattere straordinario tali da rendere impossibile il conseguimento di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi nella misura ipotizzata dal medesimo L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1”.

Il motivo è inammissibile per inidoneità del riportato quesito di diritto, il quale si rivela generico e tautologico, basandosi su un presupposto di fatto smentito dalla sentenza impugnata.

4. La quarta censura attiene alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e si conclude con il quesito se incorra nel vizio di omessa pronuncia la sentenza che “manchi totalmente di pronunciarsi sulla specifica richiesta di annullamento degli accertamenti impugnati ritualmente avanzata dalla parte contribuente in considerazione della loro arbitraria valorizzazione di elementi e motivi nuovi e diversi rispetto a quelli indicati nell’obbligatoria richiesta preventiva di chiarimenti prevista dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4”.

Il quinto motivo ripropone la questione sotto il profilo del vizio di motivazione.

Anche queste doglianze sono inammissibili: la prima per la genericità del quesito, la seconda perchè concerne una questione di diritto.

5. Alle medesime conclusioni deve pervenirsi in relazione al sesto e al settimo motivo, con i quali, rispettivamente, è denunciata l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione in ordine alla questione concernente l’applicazione della percentuale forfettaria (pari al 3%) per la determinazione del reddito, stabilita dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 3: premesso che è inammissibile la prospettazione di un vizio di motivazione su una quaestio iuris, il quesito sull’omessa pronuncia si rivela anche in questo caso inidoneo per genericità (se sia errata la sentenza che “manchi totalmente di pronunciarsi sulla specifica richiesta di invalidazione degli accertamenti impugnati ritualmente avanzata dalla parte contribuente in considerazione dell’erronea applicazione della percentuale forfetaria per la determinazione del reddito presunto di cui alla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 3, lett. b)”).

Non può non rilevarsi, ad abundantiam, che la detta questione deve intendersi implicitamente rigettata dal giudice a quo, una volta accertato che la contribuente era in periodo di normale svolgimento dell’attività e che la inutilizzazione dell’immobile ((OMISSIS)) per lo scopo sociale era stata frutto di libera scelta da essa operata.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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