Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11808 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. I, 05/05/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 05/05/2021), n.11808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1961/2017 proposto da:

PMS s.r.l. in liquidazione e amministrazione straordinaria, in

persona del commissario straordinario pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via Tevere 48, presso lo studio dell’avvocato

Colomba De Simone e rappresentata e difesa dall’avvocato Luca

Caravella, in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Axa Assicurazioni Spa, C.A., e C.L., quali

eredi di C.D., Ci.Si.Do., D.M.,

G.P., S.M.;

– intimati –

nonchè contro

C.A., e C.L., quali eredi di C.D.,

G.P., S.M., elettivamente domiciliati in Roma

Via della Giuliana n. 44 presso lo studio dell’avvocato Marco De

Fazi, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Claudio

Cesare Alfredo Marco Ceriani, in forza di procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrenti –

nonchè contro

D.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Cavour 305

presso lo studio dell’avvocato Benilde Balzi, che lo rappresenta e

difende in forza di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente ricorrente incidentale –

contro

Axa Assicurazioni Spa, C.A. e C.L. quali eredi

di C.D., G.P., S.M.,

Ci.Si.Do., PMS s.r.l. in liquidazione e amministrazione

straordinaria;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1615/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 19/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 22/7/2010 la P.M.S. s.r.l. in liquidazione e amministrazione straordinaria ex D.Lgs. n. 270 del 1999 (di seguito, semplicemente PMS) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Novara gli ex liquidatori D.M., e Ce.Si.Do., gli ex sindaci C.D., G.P. e S.M., la Cerfin s.r.l., la IGT s.r.l. e ce.lo. per ivi sentirli in solido condannare al risarcimento dei danni cagionati alla società; a tal fine ha sostenuto che i dottori D. e Ci., liquidatori nel periodo antecedente l’ammissione della società alla procedura di amministrazione straordinaria, dal 23/11/2004 al 28/11/2005, non avevano adempiuto ai doveri imposti dalla carica rivestita, ponendo in essere varie iniziative negoziali pregiudizievoli, tra cui la sottoscrizione con IGT s.r.l. della vendita di un capannone a prezzo vile, la vendita dei beni mobili della società a Itex s.l., con incasso di un ingente acconto senza poi trasferire i beni venduti, e la liquidazione illegittima dei loro compensi e di quelli del collegio sindacale, che avevano aggravato il dissesto; lamentava altresì la condotta di IGT, Cerfin e del loro dominus Dott. ce. e il mancato controllo da parte del collegio sindacale a tutela del patrimonio sociale.

I convenuti si sono costituiti contestando la responsabilità.

E’ stata chiamata in causa da parte dei sindaci la loro compagnia assicuratrice Axa Assicurazioni s.p.a., che ha evidenziato l’esistenza di un massimale assicurativo di Euro 500.963,29.

Con sentenza del 15/7/2013 il Tribunale di Novara ha respinto tutte le domande, condannando la parte attrice alla rifusione delle spese.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello la PMS nei soli confronti dei liquidatori D. e Ci., dei sindaci C., G. e S. e della Axa s.p.a., a cui hanno resistito gli appellati.

Previa interruzione, il processo è stato riassunto nei confronti degli eredi del sindaco C., nel frattempo deceduto, ossia L. e C.A..

La Corte di appello di Torino con sentenza del 19/9/2016 ha parzialmente accolto il gravame, confermando nel resto l’impugnata sentenza, e ha condannato D.M. e Ce.Si.Do., in solido fra loro, a restituire alla PMS i compensi autoliquidati per Euro 151.001,53, con interessi legali dalla domanda al saldo; quanto alle spese, ha compensato per un quinto il loro importo, condannando l’appellante a rifondere alle parti appellate i residui 4/5 per entrambi i gradi di giudizio.

3. Avverso la predetta sentenza del 19/9/2016, non notificata, con atto notificato il 20/1/2017 ha proposto ricorso per cassazione la PMS, svolgendo tre motivi.

Con atto notificato il 3/3/2017 ha proposto controricorso e ricorso incidentale D.M., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di sei motivi, per la cassazione della sentenza di secondo grado.

Con controricorso consegnato in notifica il 7/3/2017 hanno resistito G.P., S.M. e gli eredi C., chiedendo il rigetto del ricorso principale.

La ricorrente principale ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi due motivi sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.

1.1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 4, 3 e 5, la ricorrente PMS denuncia nullità della sentenza, violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 116 c.p.c., artt. 1226,2489,2491,2697,2729 e 2752 c.c. nonchè omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

La ricorrente osserva che la Corte territoriale aveva omesso di pronunciare sulla sua domanda di condanna solidale dei liquidatori e dei componenti del collegio sindacale anche relativamente ai compensi illegittimamente liquidati a favore dei componenti del collegio sindacale. In subordine, la ricorrente ravvisa una violazione di legge quanto all’illegittima esclusione dei compensi liquidati ai sindaci o l’omesso esame della circostanza relativa.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3, la ricorrente denuncia nullità della sentenza e, in via subordinata, violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1176,2403,2407,2409 bis c.c.

La ricorrente lamenta che la Corte torinese abbia omesso di pronunciare sulla responsabilità solidale dei sindaci, pur essa invocata dalla PMS e in subordine si duole della violazione delle norme che regolano la responsabilità contrattuale dei sindaci verso la società.

1.3. La ricorrente in tal modo con i due motivi viene a dolersi che sia stata ignorata la sua domanda di condanna, che sarebbe stata rivolta non solo nei confronti dei liquidatori ma anche nei confronti dei sindaci quanto alle somme illegittimamente erogate a favore dei liquidatori e sarebbe stata comunque diretta contro liquidatori e sindaci anche relativamente alle somme illegittimamente erogate a favore dei sindaci.

1.4. La lamentata omissione non si è verificata, come è agevole riscontrare, ove si legga attentamente quanto affermato dalla Corte subalpina al secondo capoverso di pagina 15 (non numerata) della sentenza impugnata.

In tale passaggio la Corte di appello ha precisato che la procedura aveva chiesto (solamente) di accertare e dichiarare l’inadempimento contrattuale dei dottori D. e Ci. agli obblighi derivanti dalle loro funzioni di liquidatori e per l’effetto di condannarli alla restituzione degli ingenti importi autoliquidati e ne ha tratto la conseguenza che la condanna andava limitata ai (soli) liquidatori e al (solo) importo da essi percepito, così implicitamente, ma inequivocabilmente, escludendo sia la condanna dei sindaci a restituire alcunchè, sia la condanna dei liquidatori al rimborso di quanto indebitamente percepito dai sindaci.

La motivazione è assai sintetica, ma non per questo meno chiara: la Corte di appello ha in sostanza affermato che non vi era domanda dell’appellante PMS relativamente alla ripetizione dei compensi dei sindaci e nei loro confronti, quanto al compenso dei liquidatori.

Non vi è quindi omissione di pronuncia, nè violazione di legge, ma semplicemente interpretazione della domanda giudiziale.

1.5. L’interpretazione così condotta dalla Corte territoriale appare comunque corretta, come osservato dai controricorrenti.

Nella domanda n. 2) delle conclusioni di cui all’atto di appello la PMS si era limitata a richiedere la condanna dei liquidatori alla restituzione dei compensi autoliquidatisi, così circoscrivendo oggettivamente e soggettivamente la pretesa.

Non convince il tentativo della ricorrente di ricondurre la richiesta dei compensi dei sindaci e verso i sindaci nella domanda risarcitoria indeterminata di cui al punto 1) delle conclusioni dell’atto di appello (“accertata e dichiarata la responsabilità solidale degli ex liquidatori…nonchè dei membri del collegio sindacale per le ragioni, i titoli e le causali di cui in narrativa e per l’effetto condannare gli stessi, per quanto di specifica competenza, al ristoro dei danni subiti e subendi dalla società, che verranno quantificati in corso di causa ovvero della diversa somma ritenuta di giustizia…”).

Infatti, così ragionando, non avrebbe avuto senso in tale prospettiva interpretativa l’ulteriore richiesta di cui al punto 2), peraltro, come sopra ricordato, oggettivamente e soggettivamente limitata, se la richiesta risarcitoria di cui al punto 1) avesse appunto incluso anche il pregiudizio provocato dalla corresponsione dei compensi: altrimenti il pagamento del compenso dei liquidatori sarebbe stato chiesto due volte, dapprima al punto 1) e poi al punto 2).

1.6. Il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonchè dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (Sez. 3, n. 13602 del 21/05/2019, Rv. 653921 – 01; Sez. 1, n. 29609 del 16/11/2018, Rv. 651655 – 02).

2. Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1219 c.c., comma 2, n. 1 e art. 1224 c.c., comma 2, nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

La ricorrente lamenta la mancata attribuzione della richiesta rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulla somma progressivamente rivalutata, trattandosi di debito di valore.

E’ opportuno per le ragioni che si spiegheranno più oltre posticipare l’analisi del motivo all’esame del ricorso incidentale.

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente incidentale Dott. D. denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., poichè l’azione di responsabilità era stata promossa da PMS sulla base non già sulla autoliquidazione dei compensi in assenza di deliberazione assembleare ma per la cattiva attività liquidatoria, con il conseguente vizio di extrapetizione.

Il motivo è palesemente infondato perchè dalla stessa esposizione dello svolgimento processuale contenuto nel controricorso con ricorso incidentale risulta chiaramente che la PMS aveva chiesto già con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale di Novara sub 2) la restituzione dei compensi che i liquidatori D. e Ci. si sarebbero “autoliquidati”, domanda poi accolta dalla Corte torinese alla stregua dell’interpretazione della domanda riferita nel precedente p. 1.

Quanto alla causa petendi i fatti costitutivi erano stati allegati e la Corte di appello ne ha solo prospettato la configurazione giuridica.

4. I successivi tre motivi sono strettamente connessi e possono essere affrontati congiuntamente.

4.1. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente incidentale denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., poichè la Corte di appello aveva fatto discendere la propria decisione dalla inesistenza della delibera autorizzativa ai compensi in questione, mentre era pacifico ed incontestato in causa ed ammesso dalla stessa PMS sin dall’atto introduttivo che la delibera era stata emanata dall’assemblea dei soci in data 30/6/2005 e mai impugnata.

4.3. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, ossia l’esistenza della predetta Delib. 30 giugno 2005, il suo contenuto e la sua vigenza.

4.4. Con il quarto motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente incidentale denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., poichè la delibera autorizzativa del 30/6/2005 fissava anche l’entità dei compensi in questione.

4.5. Il secondo motivo ed il quarto, che ne costituisce il corollario, sono fondati, con il conseguente assorbimento del terzo che mira, con diversa prospettazione giuridica del mezzo, allo stesso obiettivo.

4.5.1. La Corte di appello ha accolto la domanda restitutoria sub 2) delle conclusioni di PMS, superando la difesa dei convenuti secondo la quale i compensi de quibus erano stati legittimamente percepiti in forza di valide deliberazioni assembleari non tempestivamente impugnate (pag. 14, penultimo capoverso) affermando testualmente “peccato, però, che tali delibere non siano mai state prodotte e mai neppure specificamente indicate per cui è da ritenere che non siano mai state validamente emanate”.

La Corte territoriale ha quindi ravvisato un chiaro inadempimento del precetto dell’art. 2489 c.c. nella liquidazione di un compenso in difetto di specifica deliberazione assembleare.

4.5.2. L’onere di contestazione tempestiva deriva da tutto il sistema processuale, come si evince dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena, dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, così come previsto dall’art. 111 Cost. Conseguentemente, ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio (Sez. 1, 27/02/2008, n. 5191).

La riforma del processo civile introdotta dalla L. n. 69 del 2009, applicabile ratione temporis alla presente controversia iniziata nel 2010, ha codificato ed ulteriormente rafforzato e generalizzato l’approdo interpretativo a cui già era pervenuta questa Corte (Sez. 2, 20/11/2008, n. 27596; Sez. 3, 27/2/2008 n. 5191; Sez. 3, 21/3/2008 n. 7697; Sez. 3, 25/5/2007, n. 12231; Sez.5, 24/1/2007 n. 1540; Sez.lav. 2/5/2007 n. 100098; Sez.lav.3/5/2007 n. 10181; Sez. 2, 6/2/2004, n. 2299; Sez. un. 17/6/2004 n. 11353; Sez.un., 23/1/2002, n. 761), proclamando nel nuovo testo dell’art. 115 c.p.c., comma 1, che il giudice deve porre a fondamento della decisione, oltre alle prove proposte dalle parti e dal pubblico ministero, i “fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”.

La collocazione della norma nell’ambito della disciplina generale in materia di prove permette di assegnare al principio di non contestazione una valenza tendenzialmente generale, a prescindere dalla posizione delle parti nel processo e di esigere quindi, per esempio, analoga attenzione nella contestazione specifica dei fatti ex adverso dedotti anche da parte dell’attore, non solo con riferimento alla domanda riconvenzionale eventualmente proposta dal convenuto, ma anche, ad esempio, con riferimento alle eccezioni proposte dal convenuto in comparsa di risposta.

Il testo dell’art. 115, comma 1 e la formula normativa “il giudice deve porre a fondamento della decisione” escludono ogni margine di discrezionalità in capo al giudice.

La ratio della regola va colta nelle esigenze di rapidità ed economia processuale, perseguite anche attraverso la responsabilizzazione, sempre più incisiva e penetrante, delle parti nell’allegazione dei fatti di causa e nella delimitazione del tema della controversia.

4.5.3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in virtù del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione – tale da espungere il fatto dall’ambito del controverso e da escludere il bisogno di prova ex art. 115 c.p.c. – non può prescindere dalla trascrizione degli atti processuali che ne integrerebbero i presupposti, perchè l’onere di specifica contestazione, a opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova (Sez.3, 05/03/2019, n. 6303).

E ciò tanto nel caso in cui il ricorrente lamenti l’erronea qualificazione da parte del giudice del merito di un fatto come non contestato, o perchè effettivamente e specificamente contestato da parte sua, o perchè non allegato in modo specifico dalla controparte, quanto nel caso, che ricorre nella presente fattispecie, in cui il ricorrente lamenti la mancata qualificazione del fatto come non contestato da parte del giudice del merito, benchè fosse stato specificamente allegato e la controparte non lo avesse specificamente contestato.

4.5.4. A tale onere di specificità il ricorrente incidentale non si è sottratto, riferendo con estrema chiarezza sia le proprie deduzioni processuali, sia le controdeduzioni della controparte.

Il che dimostra che nella fattispecie non solo PMS non aveva contestato le deduzioni dei liquidatori ma addirittura, come del resto sottolinea puntualmente il ricorrente incidentale, le aveva ammesse, ponendole a fondamento delle proprie difese ed eccezioni.

4.5.5. La non contestazione infatti si concretizza in un comportamento processuale omissivo, ossia nel silenzio serbato dalla parte costituita nelle proprie difese successive alla formulazione di una specifica deduzione di un fatto, primario o secondario, della controparte, a cui la legge nella struttura dialettica del processo ricollega l’effetto di rendere il fatto non controverso e non bisognoso di prova.

L’ammissione è invece un quid pluris che si concretizza in un comportamento processuale attivo, ossia nell’esplicito riconoscimento nelle proprie difese di quel fatto, primario o secondario, dedotto dalla controparte, eventualmente accompagnata da ulteriori deduzioni dirette a escluderne o delimitarne rilevanza ed efficacia.

A sua volta dall’ammissione si distingue la confessione giudiziale per la sua provenienza soggettiva dalla parte e non dal suo difensore.

4.5.6. Nell’atto di citazione di PMS del 22/7/2010, pagg.22-23 la ricorrente aveva contestato la validità dei “contratti” stipulati tra la PMS s.r.l. e il D. aventi ad oggetto la sua nomina a liquidatore della società (23/11/2004) e la determinazione del suo compenso (30/5/2005) perchè posti in essere “in evidente conflitto di interessi con la PMS essendo il D. al tempo stesso liquidatore anche della FdG, presente in assemblea, e soggetto nominato quale liquidatore della PMS” e aveva aggiunto “Sicchè…. lo stesso D., rappresentante della FdG, manifestando il voto “determinante” in occasione delle due “valide” assemblee sociali, si è autoliquidato un corrispettivo lordo di Euro 310.000,00 a dir poco stratosferico, a tutela del proprio interesse economico, senza alcun dubbio incompatibile con quello della PMS e, altresì, lesivo del patrimonio sociale”.

Di qui PMS aveva tratto argomento per sostenere l’annullabilità ex art. 1395 c.c. per conflitto di interessi o la loro revocabilità ex art. 2901 c.c., contrastata da parte del D. che aveva eccepito la decadenza dall’impugnativa delle predette delibere per decorso dei termini.

Era stata quindi la stessa PMS a dedurre l’esistenza di una deliberazione assembleare del 30/6/2005 relativa al compenso del Dott. D. e a riferirne il contenuto, anche quantitativo, sia pur etichettandola come un contratto, ma con deduzioni che si riferivano inequivocabilmente a una manifestazione di volontà assembleare, e senza smentire la controparte che ne aveva puntualizzato la natura e aveva sottolineato la mancata impugnazione nei termini.

Esistenza e contenuto della deliberazione assembleare erano dunque pacifici tra le parti e PMS ne aveva messo in discussione solo la validità, senza tuttavia impugnarla in giudizio e comunque senza che essa fosse stata impugnata nei termini.

4.5.7. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione al secondo e quarto motivo di ricorso incidentale, poichè l’esistenza della Delib. assembleare 30 giugno 2005 di liquidazione del compenso ai liquidatori era un fatto pacifico e non controverso le parti, che l’avevano posto a fondamento delle rispettive difese.

5. Resta assorbito il terzo motivo di ricorso incidentale.

Resta assorbito anche il quinto motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, con cui si denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1223,2489,2476,2392,2393,2394,2697 c.c. e si lamenta che la Corte di appello abbia liquidato il danno, ritenendolo in re ipsa mentre era necessario accertare il nesso causale tra il comportamento illegittimo e un danno provato nella sua ontologica esistenza.

Resta assorbito anche il sesto motivo (consequenziale) di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, con cui si denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 91 c.p.c. e si invoca il favore delle spese in conseguenza della propugnata soccombenza di PMS.

Resta infine assorbito anche il terzo motivo di ricorso principale, il cui esame è stato in precedenza differito, che attiene al quantum e in particolare agli accessori di un credito inficiato nell’an debeatur dalla cassazione della sentenza impugnata.

6. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE

rigetta il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo, accoglie il secondo e il quarto motivo del ricorso incidentale, respinto il primo e assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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