Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11806 del 14/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 14/05/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 14/05/2010), n.11806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27771-2008 proposto da:

B.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI

43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato TIBERTI CLAUDIO, giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1924/2 008 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 29/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIBERTI CLAUDIO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. B.R. propone ricorso per revocazione avverso la sentenza con la quale questa Corte ha rigettato il ricorso proposto dal predetto contribuente avverso la sentenza d’appello, di conferma della sentenza di primo grado che, in materia di impugnazione di avviso di accertamento emesso per recuperare a tassazione un reddito di capitale a seguito di accertamento a carico della Gestione Franchising s.r.l. della quale il B. era socio, aveva rigettato il ricorso del contribuente. L’Agenzia delle Entrate non si è costituita.

2. Prima dell’esame del ricorso è necessario premettere che, a norma dell’art. 391 bis c.p.c. (nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 16), sul ricorso per revocazione la Corte decide in camera di consiglio nell’osservanza delle disposizioni di cui all’art. 380 bis c.p.c., pronunciando ordinanza in caso di declaratoria di inammissibilità ovvero, negli altri casi, rinviando alla pubblica udienza, ed è pertanto da ritenersi che il ricorso per revocazione, alla stregua della disciplina sopra richiamata, debba (almeno nella fase iniziale) essere trattato col rito camerale, salvo il rinvio alla pubblica udienza nell’ipotesi in cui non si ritenga di emettere una declaratoria di inammissibilità.

Tanto premesso, è da rilevare che, ai sensi del citato D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27 la disposizione in esame è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore de decreto suddetto, e perciò, coordinando tale disposizione con la possibilità, prevista dal citato art. 391 bis c.p.c., di ricorso in cassazione anche per revocazione deve ritenersi che le novità introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 siano applicabili (non solo ai ricorsi per cassazione ma più in generale) ai ricorsi proposti dinanzi alla Corte di cassazione avverso sentenze che, come nella specie, siano state pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto suddetto, con la conseguenza che il presente ricorso doveva essere trattato (almeno nella fase iniziale) col rito camerale.

E’ tuttavia da ritenersi che l’avvenuta trattazione in udienza pubblica – anzichè, come prescritto dall’art. 391 bis c.p.c., in camera di consiglio – sia pienamente legittima, in quanto non determina alcun pregiudizio ai diritti di azione e difesa delle parti, considerato che l’udienza pubblica rappresenta, anche nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, lo strumento di massima garanzia di tali diritti, consentendo ai titolari di questi di esporre compiutamente i propri assunti, (v. tra le altre S.U. n. 10841 del 2003).

E’ infine da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, una eventuale declaratoria di inammissibilità del ricorso (alla quale deve ritenersi equiparata la declaratoria di improcedibilità, determinando anch’essa la non riproponibilità del ricorso medesimo), se adottata all’esito di un’udienza pubblica, deve essere assunta non con ordinanza, bensì con sentenza, le cui forme debbono ritenersi prescritte (salvo le deroghe che risultino espressamente stabilite dalla legge) tutte le volte che, all’esito di una pubblica udienza di discussione, si adotti un provvedimento collegiale che comporti la definizione del giudizio dinanzi al giudice adito (v. tra le altre S.U. n. 10841 del 2003 cit. nonchè S.U. n. 6407 del 2004).

3. Con un unico motivo il ricorrente deduce l’invalidità e illegittimità della sentenza impugnata ex art. 395 c.p.c., n. 4 nella parte in cui i giudici d’appello hanno escluso la nullità dell’avviso di accertamento privo dell’indicazione delle aliquote Irpef concretamente applicate sull’erroneo presupposto di fatto che l’avviso contenesse un richiamo “alla tabella delle aliquote allegata a testo normativo” e chiede che questa Corte, revocata la sentenza impugnata, voglia accogliere il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della C.T.R. Veneto, dichiarando la nullità dell’avviso opposto per omessa indicazione di tutte le aliquote in concreto applicate.

Il ricorso è improcedibile.

Dagli atti non risulta depositato unitamente al ricorso l’avviso di accertamento de quo (ossia l’atto dal quale emergerebbe il fatto affermato nel motivo in esame e posto a base della censura, perciò l’atto “sul quale il ricorso si fonda”), come previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., n. 4. E’ da precisare che non rileva in contrario il deposito (unitamente al ricorso) della richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, posto che tale richiesta risponde ad esigenze diverse ed e appositamente prevista nell’ultima parte del medesimo art. 369 c.p.c., perciò in aggiunta e indipendentemente dal deposito di cui al n. 4 dell’articolo predetto, la cui previsione e, tra l’altro, intesa a consentire alla Corte, già al momento del deposito del ricorso (e perciò senza attendere l’invio del fascicolo di cui alla richiesta) l’organizzazione delle sopravvenienze e l’avvio dei ricorsi all’udienza pubblica o al rito camerale.

E’ inoltre da aggiungere che neppure col deposito (in ipotesi unitamente al ricorso) del fascicolo d’ufficio (o del fascicolo di parte) contenente gli atti e documenti su cui il ricorso è fondato potrebbe ritenersi che si sia adempiuto all’onere imposto dall’art. 369 c.p.c., cit. n. 4 se all’atto del deposito vi sia generica indicazione del suddetto fascicolo senza specifica menzione degli atti e documenti (in esso contenuti) su cui il ricorso è fondato (v.

in proposito, tra le altre, Ord. S.U. n. 21747 del 2009, nonchè Cass. n. 24940 del 2009 e n. 303 del 2010), posto che la norma in esame contempla il deposito di specifici atti e documenti e va letta in rapporto alla previsione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 a norma del quale il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda (v. tra le altre S.U. n. 28547 del 2008, secondo la quale a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la specifica indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto.

Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità”).

E’ infine appena il caso di rilevare che l’estensione al ricorso per revocazione dinanzi alla cassazione della disciplina di cui all’art. 365 ss. c.p.c. era già contenuta nel testo dell’art. 391 bis c.p.c. anteriore alla modifica introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ed inoltre che anche la previsione del deposito, unitamente al ricorso, degli atti e documenti sui quali esso si fonda (sia pure ampliata e potenziata nel testo attualmente in vigore dell’art. 369 c.p.c., n. 4) era già presente nel testo anteriore alla citata riforma, tant’è che neppure la giurisprudenza di questo giudice di legittimità formatasi anteriormente alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006 ha mai avuto dubbi sul fatto che “nel procedimento di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, stante l’applicabilità dell’art. 369 cod. proc. civ., opera la sanzione processuale della improcedibilità nel caso di mancato deposito, nel termine ivi stabilito, insieme con il ricorso, degli atti e dei documenti sui quali esso si fonda e diretti ad attestare la presenza, nella sentenza impugnata, dell’errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4” (v. in termini Cass. Ord. n. 4384 del 2003).

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato improcedibile.

In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara improcedibile il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2010

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