Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11805 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. un., 12/05/2017, (ud. 07/02/2017, dep.12/05/2017),  n. 11805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. BIELLI Stefano – Presidente Sezione –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 359/2016 proposto da:

ICOM – IMMOBILI PER COMMERCIO S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE IZZO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALFREDO

GUALTIERI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI LAMEZIA TERME, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAMESENA 46, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO MIRENZI, rappresentato e difeso dagli

avvocati SALVATORE LEONE, CATERINA FLORA RESTUCCIA e FRANCESCO

CARNOVALE SCALZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 22/10/2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

uditi gli avvocati Raffaele IZZO, Alfredo GUALTIERI e Salvatore

LEONE;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

Francesco Mauro, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 4817/15 il Consiglio di Stato, annullando la pronuncia non definitiva di primo grado, rigettava la domanda della Icom – Immobili per il Commercio s.r.l. volta ad ottenere nei confronti del comune di Lamezia Terme il risarcimento del danno per violazione dell’interesse pretensivo alla realizzazione di un insediamento edilizio-produttivo di vaste dimensioni. Consolidata da giudicato esterno l’illegittimità del diniego di costruire, il danno lamentato dalla predetta società era risarcibile, osservava il Consiglio di Stato, solo allorchè il rilascio del permesso fosse stato frustrato da fatti sopravvenuti imputabili all’amministrazione comunale. Ciò, proseguiva la sentenza, coerentemente all’art. 30, comma 3, c.p.a., che esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti. Considerava, quindi, il giudice amministrativo che, annullato l’illegittimo diniego del permesso, nulla giustificava l’inerzia della Icom nel domandare la tutela in forma specifica. Per ottenere il provvedimento permissivo detta società avrebbe potuto sia notificare al comune un atto di diffida, sia agire per l’ottemperanza. Viceversa, essa non aveva promosso nessuna tutela per evitare il danno almeno fino al 2009, allorchè intavolò una trattativa con l’amministrazione comunale al fine di realizzare in altra sede l’insediamento produttivo. Quindi, osservava che l’esame degli atti portava ad escludere che alla P.A. potesse essere rimproverato il mancato esito della trattativa, che il Consiglio di Stato imputava alla pretesa della Icom d’imporre al comune di Lamezia Terme maggiori e non sostenibili oneri in termini di cessione di aree. Pertanto, era da ritenere contraria a buona fede, e quindi riprovevole ai fini in oggetto, la domanda della società Icom, la quale se si fosse diligentemente attivata avrebbe evitato il danno.

Contro tale sentenza la Icom propone ricorso ai sensi dell’art. 110 c.p.c., art. 362 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 8, affidato a un solo motivo.

Resiste con controricorso il comune di Lamezia Terme.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’unico motivo di ricorso denuncia sub specie di diniego di giurisdizione la violazione dell’art. 30, comma 3, c.p.a. Richiamata la giurisprudenza di queste S.U. sul principio di effettività della giurisdizione, sul diniego di giurisdizione come ipotesi simmetrica ed opposta all’eccesso di potere giurisdizionale e sulla possibilità, ai fini del sindacato sulla giurisdizione, di interpretare la norma attributiva della tutela per verificare se quest’ultima sia stata erogata concretamente, parte ricorrente lamenta l’interpretazione dell’art. 30, comma 3, c.p.a. fornita dal giudice amministrativo. Questi avrebbe introdotto surrettiziamente un nuovo presupposto alla tutela risarcitoria, costituito dal mancato ricorso al giudizio d’ottemperanza quale prova d’ordinaria diligenza intesa a evitare il danno. Applicando il principio desumibile dalla sentenza impugnata si avrebbe, secondo parte ricorrente, un sostanziale ripristino della c.d. pregiudiziale amministrativa.

2. – Il ricorso è inammissibile.

In tema di sindacato delle Sezioni Unite della Suprema Corte sulle decisioni del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di un radicale stravolgimento delle norme di rito che implichi un evidente diniego di giustizia, e non già nel caso di mero dissenso del ricorrente nell’interpretazione della legge (cfr. fra le tante, Cass. S.U. nn. 964 del 2017, 24468del 2013 e 15428/12).

Ciò in quanto l’attività interpretativa della legge, sia sostanziale che processuale, svolta dal giudice amministrativo rientra tout court nell’orbita dei limiti interni della giurisdizione amministrativa, nè essendo consentito invocare, sotto le spoglie del denunciato diniego, una diversa interpretazione del tessuto normativo applicabile, così impingendo nel merito della decisione (così, Cass. S.U. n. 20413/15). E dunque anche ipotetici errores in procedendo del giudice speciale non configurano la fattispecie dell’eccesso di potere giurisdizionale (cfr. Cass. S.U. n. 7292/16).

Come osservato da queste S.U., “(D’evoluzione del concetto di giurisdizione nel senso di strumento per la tutela effettiva delle parti non giustifica il ricorso avverso la sentenza del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 111 Cost., u.c., quando (…) non si verta in ipotesi di aprioristico diniego di giurisdizione, ma la tutela la si assuma negata dal giudice speciale in conseguenza di errori di giudizio che si prospettino dal medesimo commessi in relazione allo specifico caso sottoposto al suo esame” (Cass. S.U. n. 24742 del 2016).

2.1. – Il caso in esame non si sottrae all’applicazione dei principi appena richiamati, poichè la parte ricorrente lamenta proprio e solo l’erroneità dell’interpretazione dell’art. 30, comma 3, c.p.a., operata dal Consiglio di Stato, assumendo che essa si traduca in una sostanziale riedizione della c.d. pregiudiziale amministrativa. Ma così opinando, si pretende un controllo non più sui confini della giurisdizione, il solo ammesso dalla regola costituzionale, ma sull’applicazione della legge processuale amministrativa, attività, questa, istituzionalmente rimessa al giudice che tale giurisdizione è chiamato ad esercitare.

Nè ricorre un’ipotesi di stravolgimento radicale del senso e della portata della predetta norma, tale da provocare di riflesso una sostanziale derelizione del potere giurisdizionale e, dunque, un suo eccesso negativo. Premesso che la tutela giurisdizionale è effettiva non se accoglie la domanda, ma se esaudisce la mozione garantistica che ne legittima la proposizione, va osservato che nel caso in esame il giudice amministrativo ha operato una propria lettura della norma processuale in oggetto, tanto nei suoi termini generali, quanto nella sua concreta ricaduta sulla fattispecie, allorchè ha ritenuto che (1) l’art. 30, comma 3, c.p.a. escluda il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti, e che (2) la Icom almeno fino al 2009 non abbia adottato alcuna iniziativa (diffida od ottemperanza) volta ad ottenere quel provvedimento permissivo che le era stato illegittimamente negato. Entrambi i profili – quello propriamente interpretativo e quello applicativo – esprimono un dispendio effettivo dell’attività giurisdizionale, esulano dal controllo inerente ai limiti esterni della giurisdizione amministrativa e, infine, neppure indirettamente pongono in discussione l’assetto del riparto complessivo così come elaborato dalla giurisprudenza di queste Sezioni Unite.

3. – S’impone, pertanto, la declaratoria d’inammissibilità del ricorso e la conseguente condanna della parte ricorrente alle spese, liquidate come in dispositivo.

4. – Ricorrono le condizioni per il raddoppio, a carico di detta parte, del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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