Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11805 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. III, 05/05/2021, (ud. 14/12/2020, dep. 05/05/2021), n.11805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9039-2019 proposto da:

R.S., rappresentato e difeso dagli AVVOCATI GIORGIO

BALLESI, e con il medesimo elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BERNARDINO MINOZZI N 133, presso lo studio dell’avvocato LORENA

RAIMONDI, pec: avvgiorgioballesi.infpec.it –

lorenaraimondi.ordineavvocatiroma.org;

– ricorrente –

nonchè contro

M.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2580/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 21/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/12/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. M.C., con atto di citazione del 23/2/2002, convenne R.S. davanti al Tribunale di Macerata allegando che, in data (OMISSIS) quando era sedicenne ed attendeva il rientro a casa della madre perchè sprovvista delle chiavi di casa, fu avvicinata dal suo vicino, R.S. che la invitò ad entrare da lui e poi si approfittò di lei fisicamente. Ad un certo punto entrò in casa il figlio più grande del R. che, con la sua presenza, determinò l’interruzione della violenza. La M. profittò della circostanza per andare via rientrando nella propria abitazione, ma nel tempo risentì molto dell’evento, subendo cambiamenti comportamentali e soffrendo di paure e fobie. Entrata in cura per disturbi psichici e riferito quanto accaduto ai suoi genitori, questi sporsero denuncia – querela nei confronti del R., denuncia che determinò un procedimento concluso con patteggiamento per il reato di cui all’art. 609 bis c.p. Contestualmente agi in sede civile per sentir condannare il R. a risarcire tutti i danni di qualunque natura derivati in conseguenza dei fatti.

Il R., oltre a difendersi in sede penale, si costituì nel giudizio civile contestando tutto quanto ex adverso dedotto, ivi compresa la ricostruzione dei fatti prospettata in citazione, a suo avviso non rispondente al vero e contestò anche il quantum debeatur.

La causa fu istruita con prove testimoniali, interrogatorio formale dell’attrice e una CTU medico-legale alla quale furono apportate osservazioni critiche dal CTP di parte convenuta: all’esito il Tribunale adito dichiarò illecita la condotta del convenuto nell’occasione di cui è causa e lo condannò al risarcimento del danno nella misura di Euro 179.931,23 oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo, oltre che alle spese di lite.

Il R. propose appello contestando la rilevanza del procedimento di patteggiamento, a suo avviso ricollegabile all’interesse dell’imputato di evitare il clamore che sarebbe derivato dalla vicenda, contestò gli esiti della prova testimoniale e criticò anche la valutazione del quantum effettuata dal CTU.

Nel contraddittorio con la M., la Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 2580 del 21/11/2018, ha rigettato il gravame, ritenendo infondato il primo motivo di appello sulla rilevanza della sentenza di patteggiamento nel giudizio civile per il risarcimento dei danni, sulla base della più che consolidata giurisprudenza di questa Corte che considera la sentenza ex art. 444 c.p.p. un importante elemento di prova per il giudice del merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità e il giudice penale abbia prestato fece a tale ammissione (Cass., S.U. n. 17289 del 2006, Cass., S.U. n. 21591 del 2013). Dunque, pur esludendo l’efficacia di giudicato alla sentenza ex art. 444 c.p.p., il giudice ha correttamente ritenuto la sua vincolatività quanto all’accertamento dei fatti, presupposto, oltre che della responsabilità penale, anche di quella civile ed ha ritenuto, per l’effetto, dimostrata la responsabilità del convenuto per aver commesso gli atti sessuali in danno della M..

Sul punto il giudice ha altresì argomentato, con riguardo alle testimonianze de relato acquisite in giudizio, che pur non potendo alle stesse attribuirsi una apprezzabile rilevanza in quanto testimonianze relative al fatto della dichiarazione di una parte e non anche al fatto oggetto dell’accertamento, in ogni caso le stesse deposizioni non potevano essere menzionate al fine di evidenziare l’inattendibilità della persona offesa. Tra tutte, particolare rilievo il giudice ha attribuito alla testimonianza di R.M., figlio del convenuto, il quale riferì di aver avvicinato la M. “per avere spiegazioni”, la quale circostanza non può che deporre a sfavore del R.. Parimenti infondate sona state ritenute le censure mosse con il secondo motivo di appello relative alla CTU la quale è stata espletata e supportata da elementi inconfutabili.

Avverso la sentenza, che ha dunque confermato integralmente quella di primo grado, il R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

La causa è stata assegnata per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380-bis1 c.p.c. Parte resistente non ha svolto difese, il P.G. non ha depositato conclusioni scritte e le parti non hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., art. 116 c.p.c., comma 1 e artt. 444 e 445 c.p.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente lamenta che il giudice del merito abbia ritenuto provato Van della pretesa in base alla sola sussistenza della sentenza di patteggiamento.

1.1 Il motivo non è fondato. La sentenza impugnata, pur evocando una pronuncia a Sezioni Unite di questa Corte relativa ai limiti della sentenza di patteggiamento nel giudizio civile di risarcimento del danno, non si limita ad applicare puramente e semplicemente quel precedente ma valuta la sentenza di patteggiamento alla luce di tutti gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio. Come evidenzia in primo luogo la prima proposizione della pagina 5 e, quindi, il prosieguo fino al punto 2-B della pagina 7 – il giudice del merito procede ad una serie di considerazioni che mirano a comparare la pronuncia di patteggiamento con l’apprezzamento di altre risultanze probatorie, quali le testimonianze (non solo quelle de relato actoris, che vengono svalutate, ma anche altre non idonee a rendere inattendibile il racconto della vicenda da parte della M.: pag. 6 della sentenza) e soprattutto della testimonianza del figlio del ricorrente. Inoltre, solo all’esito di detta valutazione ed anche reputando non attendibile la giustificazione della scelta di patteggiare data dal ricorrente, la corte territoriale perviene alla conclusione di attribuire valore probatorio all’intervenuto patteggiamento.

Sicchè, nella sostanza, la corte ha applicato proprio il criterio che la giurisprudenza di questa Sezione ha individuato nella sentenza n. 20170 del 30/7/2018 (confermandolo nell’ord. n. 7014 dell’11/3/2020), secondo il quale la sentenza penale di patteggiamento, nel giudizio civile di risarcimento del danno e restituzione, non ha efficacia di vincolo nè di giudicato e neppure inverte l’onere della prova, costituendo, invece, un indizio utilizzabile solo insieme ad altri indizi se ricorrono i tre requisiti previsti dall’art. 2729 c.c., atteso che una sentenza penale può avere effetti preclusivi o vincolanti in sede civile solo se tali effetti siano previsti dalla legge, mentre nel caso della sentenza penale di patteggiamento esiste, al contrario, una norma espressa che ne proclama l’inefficacia agli effetti civili (art. 444 c.p.p.). Quindi la Corte territoriale ha tratto il convincimento della responsabilità del ricorrente non già sulla base del solo patteggiamento, bensì valutandolo come fatto al lume delle altre emergenze probatorie.

2. Con il secondo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., art. 116 c.p.c., comma 1 art. 444 c.p.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente assume che l’impugnata sentenza abbia fatto strame dei principi sulla prova presuntiva, essendo le testimonianze acquisite in giudizio solo de relato e dunque non costituenti la base di un ragionamento affidato ad elementi gravi, precisi e concordanti.

2.1 Il motivo è inammissibile per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, là dove evoca una serie di dichiarazioni testimoniali, che dice essere state rese de relato actoris, senza riprodurle tutte e senza localizzare, nel giudizio di legittimità, i verbali delle udienze di assunzione di tali prove. Il ricorrente, infatti, si astiene per un verso dal dirli prodotti in copia e per altro dal dire di voler fare riferimento alla loro presenza nel fascicolo d’ufficio del giudice di appello, come ammesso dalla giurisprudenza di questa Corte (come alternativa all’onere di produzione ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4: Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011).

Tanto rende inammissibile il motivo sia là dove, dalla pretesa caratterizzazione de relato actoris, desume la violazione dell’art. 2697 c.c., sia là dove – alludendo ad altre testimonianze – ne evidenzia contraddizioni con deduzioni della M. di atti processuali (citazione e memorie), riguardo ai quali incorre nella medesima violazione.

Peraltro, la violazione dell’art. 2697 c.c., postulando la valutazione delle riferite testimonianze, non è dedotta nel senso in cui l’ha ravvisata possibile Cass. Sez. Un., n. 16598 del 2015 (in motivazione non massimata), osservando che “La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni” (nello stesso senso Cass. (ord.) n. 26769 del 2018; vedi pure Cass. n. 17315 del 2020). Nella specie la sentenza non ha affatto affermato che l’onere della prova in ordine alla responsabilità fosse in negativo (cioè come insussistenza della stessa per essere stato pronunciato il patteggiamento) attribuibile al ricorrente.

Riguardo alla violazione dell’art. 116 c.p.c. essa neppure è dedotta nei sensi già indicati da Cass. n. 11896 del 2016, condivisi da Cass., Sez. Un., n. 16598 già citata e da consolidata giurisprudenza. Da ultimo Cass. S. U., n. 20687 del 2020.

In ordine alla deduzione della violazione dell’art. 2729 c.c., il motivo, pur evocando l’idea che essa postuli la deduzione dell’avvenuta elusione dei paradigmi della precisione, gravità e concordanza sempre commentando dichiarazioni testimoniali e soprattutto quella del figlio del ricorrente, omette tuttavia di spiegare in concreto, limitandosi ad una postulazione assertoria (vedi a pag. 23 prime quattro righe), in cosa siano consistiti gli elementi del ragionamento presuntivo.

In proposito si ricorda che Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018, in motivazione non massimata, si è così espressa sulla modalità di deduzione del vizio ai sensi dell’art. 2729 c.c.: “… la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 c.c. si può prospettare (come altrove venne sostenuto: Cass. n. 17457 del 2007; successivamente. Cass. n. 17535 del 2008; di recente: Cass. n. 19485 del 2017) sotto i seguenti aspetti: aa) il giudice di merito (ma è caso scolastico) contraddice il disposto dell’art. 2729 c.c., comma 1, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma; bb) il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 c.c. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacchè dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza. Con riferimento a tale secondo profilo, si rileva che, com’è noto, la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche lex artis), che esprime nient’altro – almeno secondo l’opinione preferibile – che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui – dato un fatto A noto – è probabile che si sia verificato il fatto B (non è condivisibile, invece, l’idea che vorrebbe sotteso alla “gravità” che l’inferenza presuntiva sia “certa”). La precisione esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non lasci spazio, sempre al livello della probabilità, ad un indirizzarsi in senso diverso, cioè anche verso un altro o altri fatti. La concordanza esprime – almeno secondo l’opinione preferibile – un requisito del ragionamento presuntivo (cioè di una applicazione “non falsa” dell’art. 2729 c.c.), che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sè considerato, come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori considerati, volendo esprimere l’idea che, in tanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi. Ebbene, quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, si deve senz’altro ritenere che il suo ragionamento sia censurabile alla stregua dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta. Essa può, pertanto, essere investita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso nel considerare grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi. La stessa cosa dicasi per il controllo della precisione e per quello della concordanza. In base alle considerazioni svolte la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi. Di contro la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicchè il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perchè quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729 c.c., comma 1 (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali). In questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e si pone su un terreno che non è quello dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti. Terreno che, come le Sezioni Unite, (Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8954 del 2014) hanno avuto modo di precisare, vigente l’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5 è percorribile solo qualora si denunci che “il giudice di merito abbia omesso l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria”.

Ebbene, nell’illustrazione del motivo, pur evocandosi in astratto i paradigmi dell’art. 2729 c.c., non si svolge in concreto un ragionamento diretto a dimostrare per le risultanze probatorie evocate e segnatamente per la testimonianza del figlio del ricorrente, la violazione dei detti paradigmi.

Se, dunque, non sussistesse la ragione di inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 6, il motivo presenterebbe le inidoneità che si sono segnalate.

3. Con il terzo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 157 c.p.c. e art. 2969 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente censura la sentenza là dove ha disatteso le critiche alla consulenza tecnica d’ufficio ritenute inammissibili perchè introdotte tardivamente.

3.1 Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza. Va considerato che, non sc lo non viene fornita l’indicazione specifica della relazione A. in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 sicchè questa Corte non è posta in condizioni di valutare la portata delle critiche alla CTU e la loro tempestività, ma comunque il motivo, nel denunciare l’erronea applicazione dell’art. 157 c.p.c., inerendo ad una violazione di norma del procedimento, avrebbe dovuto essere articolato rispettando l’art. 360-bis c.p.c., n. 2 e, dunque, (alla stregua di Cass. n. 22341 del 2017 e numerose conformi) avrebbe dovuto svolgere considerazioni sul contenuto del documento per evidenziarne la decisività al fine di ribaltare la valutazione tecnica di primo grado. Cosa che omette del tutto di fare, con ciò cadendo in un rilievo assorbente di inammissibilità.

4. Con il quarto motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 115116 c.p.c., artt. 2697 e 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente censura la sentenza in ordine al quantum, ponendo in evidenza vizi della consulenza relativi alla mancata idonea partecipazione della psichiatra che sarebbero riverberati in incongrue valutazioni sulle conseguenze dei danni.

Il quarto motivo denuncia la violazione delle norme evocate al di fuori dei limiti indicati già a proposito del secondo motivo, in realtà sollecitando una rivalutazione della quaestio facti e tra l’altro evocando risultanze istruttorie (c.t.u., c.t.p., testimonianze), riguardo alle quali non si osserva quanto alla localizzazione l’art. 366 c.p.c., n. 6.

Il motivo è dunque inammissibile.

5. Con il quinto motivo di ricorso, deducente violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116,232 c.p.c in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, il ricorrente censura la sentenza per non essersi attenuta all’apprezzamento della consolidata giurisprudenza di questa Corte in ordine al mancato espletamento dell’interrogatorio formale. Non essendosi la M. prestata all’interrogatorio formale il giudice non sarebbe stato affatto vincolato nell’apprezzamento dei fatti di causa ivi dedotti.

5.1 Il quinto motivo è inammissibile.

Si omette di trascrivere il contenuto dell’interrogatorio formale che invece si assume richiesto, si evcca l’ordinanza ammissiva dello stesso, vari provvedimenti di udienza in cui si sarebbe rinviato per l’incombente in ragione della mancata comparizione della M., ma si omette di fornirne l’indicazione specifica sia quanto alla riproduzione degli atti che quanto alla localizzazione e ciò anche nel modo alternativo in cui è detto a proposito del secondo motivo.

Non è possibile in tale modo apprezzare se la censura che si dice svolta con l’atto di appello in ordine all’affermazione da parte del primo giudice che “in ordine alla prova dei fatti, in questa sede non è stata ascoltata l’attrice (della quale il solo convenuto poteva richiedere l’interrogatorio formale)” sia fondata.

L’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6 riguarda anche la localizzazione della sentenza di primo grado.

6. Conclusivamente il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere sulle spese. Si dà, invece, atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del cd. “raddoppio” del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 14 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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