Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11801 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. II, 18/06/2020, (ud. 29/04/2019, dep. 18/06/2020), n.11801

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18598/2015 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DOMENICO

PETRACCA, rappresentato e difeso dall’avvocato DONATO PENNETTA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI QUINDICI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SICILIA 50, presso lo studio dell’avvocato

LUIGI NAPOLITANO, rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCO

MIANI, GIUSEPPE FERRARO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 19/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA Sez. Usi

Civici depositata il 04/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Rilevato:

che con ricorso depositato il 20.12.2005 il Comune di Quindici adiva il Commissario per il riordino degli usi civici di Napoli per sentir dichiarare la demanialità civica di alcuni fondi di sua proprietà, ubicati nel proprio territorio comunale;

che il suddetto Comune lamentava che tali fondi, pur essendo gravati da usi civici, avevano formato oggetto di un decreto di trasferimento alla Compagnia di Assicurazioni Tirrena emesso dal tribunale di Avellino in data 3 giugno 1972;

che nel giudizio interveniva il sig. R.G., chiedendo il rigetto della domanda del Comune;

che R.G. deduceva di essere proprietario dei suddetti fondi per averli ricevuti in donazione, con atto pubblico del 12.10.2005, dal proprio padre, Ru.Gi., il quale, a propria volta, li aveva acquistati per usucapione fin dal 1992, per averli posseduti uti dominus fin dal 1972, senza alcuna opposizione da parte della legittima proprietaria Tirrenia Ass.ni (nè da parte del Comune di Quindici);

che il Commissario per la liquidazione degli usi civici di Napoli accertava che i terreni oggetto di causa erano gravati da usi civici e, di conseguenza, dichiarava la nullità degli atti di disposizione avete ad oggetto i medesimi;

che il reclamo proposto dal sig. R. avverso la pronuncia del Commissario di liquidazione degli usi civici di Napoli veniva rigettato dalla corte di appello di Roma;

che avverso la pronuncia della corte capitolina il sig. R. ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di sei motivi;

che l’intimato Comune di Quindici ha presentato controricorso;

che la causa è stata chiamata all’adunanza di Camera di consiglio del 29 aprile 2019, per la quale non sono state depositate memorie;

che con il primo motivo di ricorso, riferito dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente censura l’impugnata sentenza per non aver riconosciuto l’intervenuta sdemanializzazione dei fondi per cui è causa, denunciando, per un verso, la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.c., come interpretato dalla giurisprudenza in materia di sdemanializzazione tacita, e per altro verso, l’omesso esame del fatto decisivo rappresentato dalla mancata opposizione del Comune di Quindici al decreto di trasferimento dei terreni alla Tirrenia Ass.ni ed al possesso esercitato su tali terreni da parte del ricorrente;

che con il secondo motivo di ricorso, riferito dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia, per un verso, la illogicità e contraddittorietà della motivazione e, per altro verso, la violazione e falsa applicazione della L. n. 1766 del 1927, art. 29, assumendo che la corte territoriale, negando l’intervenuta sdemanializzazione tacita dei fondi per cui è causa, avrebbe “errato nella valutazione dei fatti di causa seppure provati documentati”;

che con il terzo motivo ed il quarto motivo di ricorso, entrambi concernenti la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e riferiti, rispettivamente, al numero 5 ed al numero 3 dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si censura la statuizione con cui la corte d’appello ha ritenuto inammissibile il terzo motivo di reclamo, con cui l’odierno ricorrente aveva censurato le risultanze della c.t.u. svolta nel giudizio commissariale e la piena adesione a tali risultanze da parte del Commissario per gli usi civici;

che con il quinto motivo di ricorso, riferito dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione delle diposizioni di cui alla L. n. 1766 del 1927, art. 3, nonchè del R.D. n. 332 del 1928 (“approvazione del regolamento per la esecuzione della L. n. 1766”) in cui la corte territoriale sarebbe incorsa trascurando il fatto – dal quale, secondo l’argomentazione sviluppata nel mezzo di impugnazione, si sarebbe dovuto trarre la conclusione dell’inesistenza di usi civici sui terreni del Comune di Quindici – che detto Comune non aveva adempiuto alle formalità previste da tali disposizioni, nè aveva mai emanato alcun regolamento di uso civico;

che con il sesto motivo di ricorso, riferito dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione delle diposizioni di cui alla L. n. 1766 del 1927, art. 9, nonchè della L.R. n. 11 del 1981, art. 4, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo che il reclamante non potesse “utilmente invocare la buona fede circa la natura dei fondi…” (sent. impugnata, pag. 5); nel mezzo di gravame si sottolinea come il ricorrente avesse provveduto ad apportare sostanziali e permanenti migliori ai terreni de quibus e si lamenta che tale circostanza sia stata ritenuta non provata dalla corte di appello, pur non essendo mai stata contestata dal Comune;

che i primi due motivi, entrambi concernenti la statuizione di rigetto dell’assunto del R. secondo cui i terreni per cui è causa avrebbero formato oggetto di tacita sdemanializzazione, possono essere trattati congiuntamente, per la loro intima connessione;

che tali motivi vanno disattesi per un duplice ordine di considerazioni;

che, infatti, in primo luogo, la dedotta inerzia del Comune di Quindici rispetto all’impossessamento dei terreni in questione da parte del sig. Ru.Gi. non potrebbe nemmeno astrattamente determinare la tacita sdemanializzazione dei terreni medesimi, giacchè, secondo il costante insegnamento di questa Corte, la sdemanializzazione di un bene, in mancanza delle formalità previste dalla legge in materia, ricorre soltanto in presenza di atti univoci, concludenti e positivi della P.A., tali da presentarsi incompatibili con la volontà conservare al bene la sua destinazione pubblica (Cass. 3742/07, Cass. 12062/14);

che, sotto altro aspetto, va qui ribadito che la sdemanializzazione tacita è inammissibile in materia di usi civici, per i quali, come questa Corte ha avuto modo di precisare nella sentenza nn. 19792 del 2011 (p. 12.2 e segg.), la delicatezza e complessità degli accertamenti necessari per la sclassificazione, ma soprattutto la peculiare struttura dell’istituto, con il particolare ruolo dei singoli titolari dell’uso civico, escludono che questa possa avvenire in via di mero fatto: sui beni gravati da uso civico, infatti, sussiste la compresenza di un complesso di diritti soggettivi esercitabili uti singulus da ciascuno dei beneficiari di quello, sicchè le situazioni da accertare sono molte e complesse, nel contraddittorio, almeno potenziale, con i singoli compartecipi e, per loro o in loro figurativa rappresentanza, con l’ente pubblico territoriale di riferimento individuato dalla legge; soltanto la garanzia dei passaggi procedurali volti a verificare l’effettiva perdita, da parte del bene, delle sue attitudini ad essere destinato all’uso civico – relazioni di organi tecnici dotati di particolare competenza, ricerche comparative su documenti, esame di provvedimenti di sfruttamento del bene a fini diversi da quelli originari e così via, a seconda delle differenti legislazioni regionali – può allora garantire la collettività indistinta degli altri partecipanti a quest’ultima, in quanto tali contitolari del medesimo diritto, in ordine al venir meno di una situazione, almeno originariamente pacifica, di sussistenza di quell’uso civico;

che la conclusione di cui al precedente paragrafo, enunciata da questa Corte nel 2011, risulta corroborata dalla successiva L. 20 novembre 2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi), il cui art. 3 detta un’articolata disciplina dei beni collettivi;

che, per quanto qui interessa, la L. n. 168 del 2017, suddetto art. 3:

– nel comma 1, elenca i “beni collettivi”, includendovi anche, con il disposto di cui alla lettera d), “le terre di proprietà di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati”;

– nel comma 2, dispone che “il regime giuridico dei beni di cui al comma resta quello dell’inalienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale”;

– nel comma 6, stabilisce che, con l’imposizione del vincolo paesaggistico sulle zone gravate da usi civici di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, comma 1, lett. h), (codice dei beni culturali e del paesaggio), l’ordinamento giuridico garantisce l’interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio; che il disposto dell’art. 142, comma 1, lett. h), del codice dei beni culturali e del paesaggio – che, come sopra accennato, qualifica le zone gravate da usi civici come “comunque di interesse paesaggistico” – conferma un vincolo imposto già dalla L. n. 431 del 1985, c.d. legge Galasso, all’art. 1, comma 1, lett. h);

che il complesso delle suddette disposizioni induce a riconoscere all’interesse paesaggistico attribuito dalla legge alle zone gravate da usi civici un valore non restrittivo, bensì inclusivo non soltanto dell’ambiente, in sè riguardato, ma anche del modello di gestione collettiva dei patrimoni civici (cfr Cass. 24978/18);

che quindi, in definitiva, la statuizione con cui la corte territoriale ha escluso l’intervenuta sdemanializzazione tacita dei terreni de quibus va confermata, con conseguente rigetto dei primi due mezzi di ricorso;

che anche il terzo e il quarto motivo di ricorso – pur essi suscettibili di trattazione congiunta, per la loro intima connessione – vanno disattesi, perchè correttamente la Corte ha giudicato inammissibile il terzo mezzo del reclamo del sig. R.G., rilevando come esso non attingesse la ratio decidendi della sentenza del Commissario per gli usi civici, fondata sul rilievo che con decreto del 13.7.1938 del Real Commissario per la liquidazione degli usi civici di Napoli terreni in questione erano stati assegnati alla categoria “A”, in applicazione della L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 11, “perchè restino a bosco e pascolo permanenti per l’esercizio degli usi civici del pascolo e del legnare ai quali le dichiara soggette”;

che al riguardo va evidenziato che le risultanze di cui il sig. R. lamenta l’omesso esame, nel terzo e nel quarto motivo del ricorso per cassazione, sono anteriori al provvedimento del 1938; esse potevano quindi essere dedotte in sede di opposizione a quel provvedimento commissariale, ma sono irrilevanti ai fini dell’impugnazione della sentenza commissariale del 2013; quest’ultima – una volta accertato il dictum del decreto commissariale del 1938 – non poteva rimetterne in discussione l’accertamento, essendo la sua cognizione limitata alla verifica di eventuali cause di cessazione dell’uso civico sopravvenute successivamente al 1938 (sull’efficacia preclusiva del decreto commissariale non opposto, cfr. Cass. 792/95, in motivazione: “Ai sensi del collegato disposto degli artt. 30, 31 e 15 del Regolamento approvato con R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, per le operazioni di verifica e dell’art. 42 dello stesso Regolamento per l’accertamento, gli atti istruttori ed il “decreto” – con i quali il Commissario descrive i terreni gravati dagli usi civici – vengono comunicati al Comune ed alle associazioni agrarie ed affissi all’albo pretorio per trenta giorni consecutivi, entro il quale termine possono essere presentate opposizioni. Se opposizioni non si presentano, non ritenendosi possibile lasciare in stato di incertezza per un tempo indeterminato le situazioni giuridiche e di fatto, che formano oggetto delle verifiche e dell’accertamento, l’istruttoria compiuta ed il decreto divengono definitivi. Ciò significa che non può essere disconosciuta la qualitas soli, che è stata accertata e non impugnata”);

che il quinto motivo di ricorso va giudicato inammissibile, in quanto si limita a reiterare la doglianza svolta del quarto motivo di reclamo avverso la sentenza commissariale (ossia che l’accertamento dell’uso civico gravante sui terreni de quibus contrasterebbe col fatto che il Comune di Quindici avrebbe omesso tanto di effettuare le comunicazioni di cui alla L. n. 1766 del 1927, art. 3, comma 1, quanto di emanare un regolamento di uso civico ai sensi del R.D. n. 332 del 1928, art. 43) – senza attingere specificamente i due argomenti sulla cui base la corte capitolina ha rigettato tale motivo di reclamo, ossia che il reclamante non aveva censurato “la ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata, e cioè il provvedimento commissariale del 1938”, e che “l’inerzia del Comune di Quindici non ha attitudine a trasformare in allodiali i fondi per cui è causa” (pag. 5 della sentenza);

che il sesto motivo di ricorso va pur esso giudicato inammissibile, perchè riproduce la doglianza svolta in sede di reclamo in punto di accertamento della buona fede del sig. R., limitandosi a contrapporre alla valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla corte di appello (cfr. pag. 6 della sentenza: “il reclamante non ha fornito alcuna prova circa i presupposti di cui ai punti a) e b) della L. n. 1766 del 1927, art. 9”) quella ritenuta preferibile dal ricorrente; il ricorrente, peraltro, non censura specificamente gli argomenti dell’impugnata sentenza secondo cui:

– “chi si impossessa di terreni altrui non può essere considerato in buona fede perchè si impossessa di cose che non gli appartengono” e, quindi, “accetta il rischio della qualitas soli del fondo oggetto di occupazione abusiva” (pag. 5 della sentenza);

– “la buona fede non ha comunque attitudine sdemanializzante” (pag. 5 della sentenza);

– il provvedimento commissariale di rigetto, anche implicito, della domanda di legittimazione dell’occupazione di terre del demanio civico attiene ad una situazione non configurabile come diritto soggettivo e, pertanto, non è reclamabile davanti alla corte di appello, dovendo essere impugnato davanti al giudice amministrativo (pag. 6 della sentenza);

che in definitiva il ricorso va rigettato;

che le spese seguono la soccombenza;

che, avendo la causa ad oggetto usi civici, nulla va disposto in relazione al raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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