Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1180 del 21/01/2020

Cassazione civile sez. un., 21/01/2020, (ud. 24/09/2019, dep. 21/01/2020), n.1180

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sez. –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30027/2017 proposto da:

M.F., N.M., S.M.T.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA

PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA MARIA

CIALDINI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

PREFETTURA – UFFSOCIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI ROMA, in persona

del Prefetto pro tempore, MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 5307/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata l’11/11/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/09/2019 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO Francesco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per M. e S., con l’affermazione della giurisdizione

del giudice ordinario; inammissibilità del ricorso per N.;

uditi gli avvocati Franco Fabio Francesco per delega orale

dell’avvocato Cristina Maria Cialdini e Gina Alberto per

l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

1. M.F. e S.M.T., ex dipendente della Polizia di Stato il primo, vedova di un dipendente la seconda, impugnavano davanti al T.A.R. del Lazio i decreti prefettizi con i quali era stato intimato loro il pagamento dei canoni arretrati per il godimento degli alloggi di servizio dei quali avevano per anni usufruito in virtù del rapporto di lavoro proprio o di un prossimo congiunto quale agente della polizia di Stato.

2. Riferivano che l’amministrazione originariamente tratteneva direttamente il canone di locazione dagli stipendi; che, una volta cessata la riscossione mediante le trattenute, l’amministrazione aveva omesso di comunicare le modalità di pagamento e l’ufficio al quale versare i canoni; che nel 2004 l’Agenzia del Demanio aveva comunicato che avrebbe provveduto a quantificare i canoni e che solo nel 2012 aveva richiesto il pagamento delle somme, con l’emissione dei decreti.

3. Il T.A.R. del Lazio, con sentenza n. 6876 del 2012, dichiarava l’inammissibilità delle domande, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, affermando che la controversia avente ad oggetto l’accertamento dei canoni dovuti dal pubblico dipendente per il godimento dell’alloggio di servizio in conseguenza del rapporto concessorio con l’Amministrazione di appartenenza rientra nella cognizione del giudice ordinario, ed in particolare del giudice del lavoro come giudice del rapporto di impiego.

4. Gli originari attori, ai quali si aggiungeva la signora N.M., anch’essa destinataria di ingiunzione quale occupante di altro alloggio in quanto vedova di un agente di polizia, riproponevano l’azione dinanzi al giudice civile, in particolare dinanzi al Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro, ed anche in quella sede l’amministrazione, come prima difesa, eccepiva il difetto di giurisdizione.

5. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 14018 del 2013, a sua volta dichiarava il difetto di giurisdizione, ritenendo la materia in esame ricompresa tra quelle di competenza esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4.

6. I ricorrenti impugnavano la statuizione dinanzi alla Corte d’appello di Roma, contestando il difetto di giurisdizione ordinaria.

7. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 5307 del 2016, qui impugnata, confermava la statuizione sul difetto di giurisdizione del giudice ordinario, affermando che:

– giudice della controversia è il giudice del rapporto di impiego;

– giudice del rapporto di impiego del personale militare e degli appartenenti alle forze di polizia di Stato è il giudice amministrativo;

– la presente controversia, afferendo ad un rapporto di lavoro del personale tuttora in regime di diritto pubblico, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3, appartiene alla giurisdizione esclusiva del G.A..

8. N.M., M.F., S.M.T. propongono ricorso per cassazione, notificato il 22 dicembre 2017, illustrato da memoria, nei confronti della Prefettura della Provincia di Roma e del Ministero dell’Interno per ottenere, ex art. 362 c.p.c., una pronuncia sulla giurisdizione in relazione alla sentenza n. 5307 del 2016, pubblicata l’11 novembre 2016, della Corte d’Appello di Roma, sezione lavoro.

9. Resistono con unico controricorso il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Roma.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso.

1. Preliminarmente, quanto all’ammissibilità del ricorso, i ricorrenti segnalano che si è in presenza di un conflitto reale negativo di giurisdizione che, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., può essere denunciato in ogni tempo con ricorso per cassazione, in quanto le pronunce dei giudici di merito, che abbiano statuito solo sulla giurisdizione, a differenza di quelle di cassazione non impongono al giudice del quale è stata dichiarata la giurisdizione di adeguarsi.

2. Nel merito, deducono che, tenuto conto sia della causa petendi che del petitum, la controversia in esame non ricade nell’ambito di operatività del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4 e quindi nella giurisdizione del G.A., ma piuttosto si colloca nell’ambito di operatività del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, che esclude dalla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, demandandone la conoscenza al G.O., a differenza delle vicende del rapporto che attengono invece strettamente agli interessi pubblici connessi anche alla individuazione dei soggetti aventi diritto all’assegnazione di alloggi pubblici. Assumono che, anche se si volesse considerare la controversia in materia di servizi pubblici, essa pur sempre rientrerebbe nella giurisdizione del g.o, tenuto conto della affermazione contenuta in Corte Cost. n. 204 del 2004, che ha indicato che rientrano nella giurisdizione del G.O. tutte le controversie in materia di canoni, indennità e corrispettivi.

Il controricorso.

3. I controricorrenti in primo luogo rilevano la manifesta inammissibilità del ricorso.

Quanto alla N.M. rilevano che, non essendo quest’ultima stata parte del giudizio dinanzi al Tar, non esiste nessuna pronuncia del G.A. declinatoria della giurisdizione nei suoi confronti, e quindi nessun conflitto negativo di giurisdizione può aver provocato la declinatoria di giurisdizione da parte del G.O..

Segnalano altresì che non sussiste in effetti alcun conflitto negativo di giurisdizione anche in relazione alla posizione degli altri due ricorrenti, in quanto entrambe le giurisdizioni hanno ritenuto che il giudizio andasse radicato presso il tribunale competente ad occuparsi del rapporto di servizio, e che il T.A.R., probabilmente errando, non sulla giurisdizione ma piuttosto sull’apprezzamento della situazione di fatto, ha ritenuto che il rapporto degli odierni ricorrenti o aventi causa, benchè appartenenti alla polizia di Stato, rientrasse nel pubblico impiego contrattualizzato.

4. Segnalano poi che i ricorrenti non hanno mai impugnato la sentenza del T.A.R., e neppure hanno riassunto il giudizio dinanzi al giudice ordinario nei termini di legge, così impedendo che la questione di giurisdizione potesse risolversi nell’ambito del giudizio medesimo (richiamano a questo proposito la L. n. 69 del 2009, art. 59, commi 2 e 3). Puntualizzano che in effetti sulla decisione del giudice amministrativo non si è formato il giudicato, perchè era una pronuncia solo sulla giurisdizione, ed il giudizio non è stato riassunto nei termini di cui all’art. 59. Evidenziano che in effetti il risultato che vorrebbero ottenere i ricorrenti è una decisione che ribalti l’esito della decisione di appello, per ottenere il quale avrebbero dovuto impugnare nei termini per motivi afferenti alla giurisdizione la sentenza di appello e non l’hanno fatto.

Sull’ammissibilità del ricorso.

5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile quanto alla posizione di N.M., mentre è ammissibile in riferimento alle posizioni dei ricorrenti M. e S..

Quanto alla posizione della N., non esiste una doppia decisione sulla giurisdizione, perchè la stessa non è stata parte del giudizio dinanzi al G.A. e quindi è inammissibile il proposto conflitto negativo di giurisdizione (avrebbe potuto essere proposto ordinario ricorso per cassazione contro la decisione della corte d’appello nei termini ordinari, ma il ricorso è stato proposto ben oltre il termine c.d. lungo semestrale, applicabile essendo il giudizio di primo grado iniziato nel 2012, anche a tener conto della sospensione feriale).

6. Per quanto riguarda gli altri due ricorrenti, quanto all’ammissibilità del ricorso valgono i principi enunciati da Cass. S.U. n. 8246 del 2017, che richiama Cass. S.U. n. 16883 del 2013: va rilevata l’ammissibilità del ricorso per conflitto negativo di giurisdizione nell’ipotesi in cui il giudice ordinario ed il giudice amministrativo abbiano entrambi negato con sentenza la propria giurisdizione sulla medesima controversia, pur senza sollevare essi stessi d’ufficio il conflitto, essendosi in presenza non di un conflitto virtuale di giurisdizione (risolvibile con istanza di regolamento preventivo, ex art. 41 c.p.c.), ma di un conflitto reale negativo di giurisdizione, denunciabile alle Sezioni unite della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 2, n. 1, in ogni tempo e, quindi, indipendentemente dalla circostanza che una o entrambe le pronunce in contrasto non siano più impugnabili (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 150 del 07/01/2013) e, dunque, anche in caso di passaggio in giudicato delle pronunce in contrasto (cfr. Cass. Sez. U. n. 13576/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 27401 del 13/12/2005).

L’esistenza di due pronunce contrastanti sulla giurisdizione a conoscere la medesima controversia, declinata da entrambe, radica di per sè nelle parti un interesse alla risoluzione del conflitto in considerazione della situazione di stallo processuale.

Come precisato da Cass. S.U. n. 16883 del 2013, non avendo la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, coperto l’intero arco delle situazioni processuali provocate da una dichiarazione di difetto di giurisdizione (tanto da non avere determinato l’abrogazione dell’art. 362 c.p.c.), nel caso in cui il giudice adito all’esito di una pronuncia declinatoria della giurisdizione dichiari, a sua volta, il proprio difetto di giurisdizione, mancando di sottoporre la relativa questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, resta ferma pertanto la possibilità di far valere, in ogni tempo, il conflitto reale negativo di giurisdizione ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 2, n. 1), a prescindere dalla circostanza che una delle due sentenze sia passata in giudicato.

Sulla giurisdizione.

7. – Nel merito, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario: identica questione è stata recentemente esaminata e decisa da queste Sezioni Unite con l’ordinanza n. 18664 del 2019, le cui considerazioni si condividono appieno.

I ricorrenti hanno rilevato che la fattispecie era riconducibile al D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, in base al quale sono devolute al G.A. le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite al Tribunale delle Acque e che la fattispecie aveva contenuto meramente patrimoniale e, dunque, era riconducibile alle controversie che l’art. 133 citato sottraeva alla cognizione del giudice amministrativo.

Deducono che la domanda non mirava a contestare il cattivo uso di un potere amministrativo, ma le modalità con cui si era attuata la pretesa dell’amministrazione di natura sostanzialmente privatistica.

Le osservazioni dei ricorrenti sono condivisibili.

Deve, in primo luogo, rilevarsi che il richiamo al D.Lgs. n. 165 del 2001, effettuato dal tribunale ordinario e poi dalla corte d’appello, non è pertinente.

La domanda dei ricorrenti, infatti, prescinde dal rapporto di lavoro pubblico che ha avuto rilievo solo per avere consentito loro di ottenere, a suo tempo, la disponibilità di immobili di proprietà del Ministero.

La fattispecie riguarda esclusivamente la determinazione del canone che i ricorrenti devono corrispondere per gli alloggi loro assegnati, anche con riferimento al periodo decorrente dalla loro messa in quiescenza in cui gli immobili restarono occupati senza titolo.

La norma applicabile è, dunque, l’art. 133 CPA secondo cui sono devolute al G.A. le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite al Tribunale delle Acque. Nella specie infatti, è in discussione solo l’entità della somma dovuta dai ricorrenti a titolo di canoni la cui misura, come determinata unilateralmente dal Ministero, è oggetto di contestazione. La controversia ha, pertanto, contenuto meramente patrimoniale ovvero relativo a presunti inadempimenti di natura contrattuale.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile quanto a N.M., mentre quanto a M. e S. la sentenza impugnata deve essere cassata, e va dichiarata la giurisdizione ordinaria del tribunale di Roma a decidere la causa, al quale la causa va rimessa anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto da N.M.; quanto alla controversia tra i ricorrenti S. e M. e i controricorrenti, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del Tribunale ordinario di Roma, al quale rimette la causa anche quanto alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020

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