Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 118 del 08/01/2021

Cassazione civile sez. I, 08/01/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 08/01/2021), n.118

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12279/2019 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Mazzini 8,

presso lo studio dell’Avvocato Salvatore Fachile, rappresentato e

difeso dall’Avvocato Giovanni Annaloro, giusta procura speciale

allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 119/2019 della Corte d’appello di

Caltanissetta, depositata il 21/2/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2020 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Caltanissetta, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c., del 30 luglio 2016, rigettava il ricorso proposto da A.S., di nazionalità (OMISSIS), avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonchè del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

2. la Corte d’appello di Caltanissetta, a seguito dell’impugnazione proposta dal richiedente asilo, rilevava – fra l’altro e per quanto qui di interesse – che il racconto del migrante (il quale aveva dichiarato di aver lasciato il proprio paese di origine dopo essere stato picchiato e minacciato da un gruppo di talebani per aver venduto loro carne di asino anzichè di manzo, poichè a seguito di questo episodio il fratello era stato preso in ostaggio dalla polizia per tre giorni e il suo negozio era stato incendiato) non era credibile, non essendo plausibile in una pluralità di punti e risultando in contrasto con le informazioni generali relative al paese di origine;

l’inattendibilità del racconto – a parere dei giudici distrettuali impediva di avere contezza delle ragioni di allontanamento dal paese di origine e, di conseguenza, non consentiva di apprezzare l’esistenza di una condizione di vulnerabilità in caso di rimpatrio;

3. per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello, pubblicata in data 21 febbraio 2019, ha proposto ricorso A.S. prospettando due motivi di doglianza;

il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c., al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. il primo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 35, in quanto la Corte territoriale non avrebbe provveduto a una valutazione della credibilità delle dichiarazioni sulla base dei riscontri oggettivi relativi alla situazione generale esistente in Pakistan, provenienti da allegazioni e produzioni di parte, nè avrebbe adeguatamente assolto il proprio dovere di cooperazione istruttoria al fine di acquisire informazioni precise e aggiornate sullo stato del paese di origine;

la situazione personale del ricorrente non sarebbe stata perciò valutata in maniera corretta ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, anche in ragione dell’incompleta istruttoria svolta dal primo giudice, che non aveva provveduto alla nomina di un interprete in lingua (OMISSIS) per procedere all’audizione del migrante e alla traduzione dei documenti allegati;

5. il motivo risulta nel suo complesso inammissibile;

5.1 quanto all’inadeguata valutazione delle fonti internazionali prodotte dal richiedente asilo, il ricorrente non può limitarsi a prospettare, in termini generici, l’esistenza di una situazione complessiva del paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali differenti da quelle utilizzate dal giudice ed espressamente indicate all’interno del provvedimento decisorio;

anche in questa materia il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare, nel novero della congerie disponibile, le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011);

l’apprezzamento del giudice di merito poteva essere contrastato evidenziando, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base era stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, erano state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (Cass. 4037/2020), ma non certo limitandosi a proporre una diversa lettura delle fonti disponibili in termini più favorevoli per il richiedente asilo;

5.2 non è possibile neppure sostenere che la Corte territoriale non si sia premurata di adempiere all’obbligo di cooperazione istruttoria a cui era chiamata dal disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 3;

i giudici distrettuali, infatti, hanno preso espressamente in esame, come previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), “a completamento del quadro probatorio” anche il contenuto di rapporti internazionali citati in sentenza sulla situazione esistente in Pakistan e ne hanno tratto la convinzione che il contenuto degli stessi, al pari della scarsa plausibilità delle dichiarazioni rese, deponesse per la non credibilità del narrato;

nel contempo, la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la questione relativa alla mancata nomina di un interprete in lingua (OMISSIS), dato che il Tribunale non aveva disposto l’audizione del migrante e questi aveva dichiarato di conoscere anche la lingua inglese;

la doglianza in esame, rispetto a queste questioni, non tiene in alcun conto il contenuto della decisione impugnata e se ne astrae;

ne deriva, giocoforza, la sua inammissibilità, poichè l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata;

queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (v. Cass. 6496/2017, Cass. 17330/2015, Cass. 359/2005);

6. il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in quanto la Corte distrettuale, nel negare il riconoscimento della protezione umanitaria, non avrebbe correttamente operato una comparazione tra la situazione di inserimento sociale e lavorativo del paese ospitante, la situazione oggettiva del paese di origine del richiedente, caratterizzata da instabilità sociale e dal diffondersi di fenomeni di matrice terroristica, e le condizioni soggettive del richiedente in tale contesto;

7. il motivo è inammissibile;

la Corte d’appello era senza dubbio chiamata a valutare, secondo il regime applicabile ratione temporis, la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, all’esito di una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass. 4455/2018);

la Corte di merito, però, ha registrato come la comparazione che si pretende omessa fra la situazione esistente nel paese di origine e quella di integrazione in Italia non fosse realizzabile, pur in presenza di un recente radicamento dell’appellante nel territorio nazionale, perchè l’inattendibilità del racconto impediva di avere adeguata contezza delle condizioni personali che avevano determinato la ragione della partenza; a fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza sollecitare una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

8. per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

la costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. e al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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