Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11799 del 14/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 14/05/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 14/05/2010), n.11799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18745-2005 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA LUDOVISI

35, presso lo studio dell’avvocato COZZI ARIELLA, rappresentato e

difeso dall’avvocato BALDASSINI ROCCO, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BROCCOSTELLA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 210/2004 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 24/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del 2^ motivo.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Frosinone P.S. proponeva opposizione avverso l’avviso di liquidazione, ai fini dell’ICI per l’anno 1994, che il Comune di Broccostella le aveva fatto notificare per diversi fabbricati e un terreno, di cui una parte costituiva area edificabile, tutti siti in quel territorio. Esponeva che l’imposta pretesa era carente dei presupposti, atteso che si trattava di terreno agricolo, e che le costruzioni costituivano pertinenze, le quali perciò erano da considerare soltanto ai fini del reddito dominicale del fondo.

Instauratosi il contraddittorio, l’ente territoriale resistente contestava la fondatezza dell’atto introduttivo, dal momento che non si trattava di Comune montano, ed inoltre la ricorrente non rivestiva la qualità di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo.

Quella commissione rigettava il ricorso con sentenza n. 620 del 2002.

Avverso la relativa decisione la contribuente proponeva appello, cui l’appellato resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale del Lazio, sez. stacc. di Latina, la quale, con sentenza n. 210 del 28.4.2004, rigettava il gravame, osservando che i presupposti dell’esenzione sono carenti.

Contro questa pronuncia P. ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi, ed ha depositato memoria.

Il Comune di Broccostella non si è costituito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col terzo motivo, che viene esaminato prima, stante il suo carattere preliminare, la ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 poichè il giudice di secondo grado non avrebbe considerato che ormai l’ente locale era decaduto dalla facoltà di emettere l’avviso di liquidazione per l’anno 1993, posto che il relativo termine, scaduto a dicembre 1995, non sarebbe stato mai prorogato quando esso era stato notificato a dicembre 2000.

La doglianza è nuova, dal momento che non era stata mai sollevata nei gradi di merito, e perciò è inammissibile, anche perchè si tratta di anno differente rispetto a quello in contestazione, che è il 1994, e comunque a tutto concedere, è infondata.

Infatti – si tratta solo di un’osservazione “ad abundantiam” – in materia di ICI, a norma del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2, il Comune di Broccostella ben poteva provvedere alla rettifica delle dichiarazioni e delle denunce, nel caso di infedeltà, incompletezza od inesattezza, notificando l’avviso di accertamento, motivato con la liquidazione dell’imposta o maggiore imposta dovuta e delle relative sanzioni ed interessi, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia.

Per l’anno 1994, relativamente al quale la dichiarazione doveva essere presentata nel 1995, il termine di decadenza per la notifica dell’avviso di accertamento era fissato originariamente al 31 dicembre 1997; tale scadenza era prorogata di un anno dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 59, e, quindi, al 31 dicembre 1998. Per quanto riguarda gli anni 1995, 1996 e 1997, i rispettivi termini di decadenza erano fissati al 31 dicembre 1998, 31 dicembre 1999 e 31 dicembre 2000. Con riferimento alla situazione relativa all’anno 1993, invece, il termine di decadenza doveva considerarsi fissato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, e della L. n. 146 del 1998, art. 3, comma 1, al quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione e, quindi, al 31 dicembre 1998. Per gli anni 1993, 1994, 1995, il termine di decadenza, già fissato al 31 dicembre 1998, era stato prorogato al 31 dicembre 1999 dalla L. n. 448 del 1998, art. 31, comma 6, e, successivamente al 31 dicembre 2000 dalla L. n. 448 del 1999, art. 30, comma 10, che ha coinvolto nella proroga anche il termine relativo all’anno 1996 (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 13342 del 10/06/2009, n. 3393 del 2008).

2)Col primo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 395 c.p.c., n. 5, in quanto la decisione impugnata si pone in netto contrasto con l’altra avente il n. 352, emessa da altra sezione della stessa commissione tributaria regionale, passata in giudicato il 27.12.2004, ed avente ad oggetto gli stessi beni e la medesima imposta, e pronunciata nei confronti di tale Q.B., che era comproprietaria dei cespiti in questione al 50% assieme alla contribuente odierna.

Il motivo appare redatto in modo generico, in quanto vi è stato enunciato che la suindicata pronuncia riguarda gli stessi beni e il medesimo tipo di imposta per diverse annualità, tra cui quella in questione, anche se riguardante altro soggetto, comproprietario dei cespiti. Tuttavia la censura non contiene tutti gli elementi necessari a fare ritenere sussistente la completezza dei dati per la loro esatta valutazione, senza la necessità di andare ad esaminare quella sentenza direttamente nel fascicolo d’ufficio, e pertanto essa è inammissibile.

Ciò premesso, anche se per la verità tale argomentazione è assorbente, comunque si rileva solo “ad abundantiam” che la censura è infondata.

Invero, posto che il principio secondo il quale, qualora due giudizi abbiano riferimento ad uno stesso rapporto giuridico ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento, così compiuto, in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, in tema di giudicato, preclude il riesame dello stesso punto, tuttavia esso non trova applicazione allorchè tra i due giudizi non vi sia identità di parti, come nella specie. Infatti l’efficacia soggettiva del giudicato è circoscritta solamente ai soggetti posti in condizione di intervenire nel processo, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ., e pertanto la decisione invocata non può fare stato anche nei riguardi dell’attuale ricorrente, atteso che ella era rimasta estranea a quel processo, ed inoltre la comproprietaria Q. poteva anche avere una situazione soggettiva differente da quella propria della prima (Cfr. anche Cass. SU n. 13916 del 16/06/2006, Sentenza n. 2786 del 08/02/2006).

3) Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7 oltre che omessa, e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, giacchè il giudice di appello non considerava che i fabbricati erano di carattere rurale, tanto che lo stesso Comune impositore li aveva classificati con la relativa sigla propria; quindi si trattava di beni esenti dalla tipologia di imposta in questione, senza che invece si potesse fare confusione con la previsione di cui all’art. 9 dello stesso testo legislativo, per la cui agevolazione inerente all’imposta ridotta occorre certo la qualità di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo del titolare dell’inerente diritto reale. Inoltre il terreno dell’appellante non ricadeva nella zona edificabile (OMISSIS) nemmeno in parte, sicchè la CTR cadeva in erro-re, scambiandolo con altro diverso fondo.

Il motivo non ha pregio.

A parte il fatto che sostanzialmente con la seconda argomentazione la ricorrente si duole di un errore revocatorio, non denunziabile col ricorso per cassazione, in ordine alla prima doglianza va osservato che il giudice di seconda istanza ha messo in evidenza come nel caso in esame difettassero i presupposti perchè i fabbricati potessero considerarsi rurali: diretta coltivazione del fondo da parte del titolare del diritto reale; reddito non superiore ad un certo importo, che nella specie era stato superato; i fabbricati devono servire per l’abitazione dello stesso suindicato soggetto.

Gli assunti sono esatti.

Invero il D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis (convertito in L. 26 febbraio 1994, n. 133), introdotto dal D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139, art. 2 nel riconoscere il carattere rurale a tutte le costruzioni strumentali alle attività agricole di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 29 pur richiamando anch’esso le attività connesse di manipolazione, trasformazione ed alienazione di prodotti agricoli, che rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura, costituisce norma a carattere innovativo e non interpretativo, priva di efficacia retroattiva, e trova applicazione agli anni d’imposta successivi alla sua entrata in vigore (V. pure Cass. Sentenza n. 18853 del 27/09/2005).

Ciò posto, va rilevato che nel caso in esame P. non aveva fornito prova alcuna che i fabbricati di che trattasi fossero adibiti alla coltivazione dei terreni, nè che la porzione di fondo ricadente in zona edificabile non appartenesse a lei, bensì a terzi, o comunque che la relativa particella non fosse inclusa nell’area (OMISSIS).

Ne deriva che il ricorso va rigettato.

Quanto alle spese di questo giudizio, non va emessa alcuna pronuncia, stante la mancata costituzione dell’intimato.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2010

 

 

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