Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11795 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 12/05/2017, (ud. 11/04/2017, dep.12/05/2017),  n. 11795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4208-2015 proposto da:

MARINA MANAGEMENT SRL, in persona dei suoi legali rappresentanti pro

tempore P.L. e M.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VITO SINISI 71, presso lo studio

dell’avvocato AMERIGO CIANTI, rappresentata e difeso dagli avvocati

VITTORIO DONATO GESMUNDO, GIOVANNI CALUGI giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO

MAGNO 23/A, presso lo studio Rep. dell’avvocato MAURO PETRASSI, che

lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 230/2014 del TRIBUNALE di GROSSETO, depositata

il 27/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/04/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ALESSANDRO PEPE che ha concluso per l’accoglimento del 2 motivo,

rigetto degli altri;

udito l’Avvocato GIOVANNI CALUGI;

udito l’Avvocato SILVESTRI per delega non scritta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale Ordinario di Grosseto con sentenza 27.2.2014 n. 230 ha accolto la domanda proposta da L.M. nei confronti di Marina Management s.r.l. e di TORO Assicurazioni s.p.a. che assicurava la responsabilità civile della predetta società, condannando in solido i convenuti al risarcimento dei danni subiti dal L. in occasione del danneggiamento dello yacht “(OMISSIS)” di cui era proprietario in conseguenza dell’urto verificatosi con un gommone condotto dagli ormeggiatori di Marina Management s.r.l. dei quali era stata accertata la esclusiva responsabilità nella causazione del sinistro. Il Giudice di merito aderiva alle conclusioni raggiunte dal CTU in esito alla indagine tecnica liquidando la somma di Euro 90.000,00 quale costo stimato per le riparazioni definitive della imbarcazione oltre ad Euro 42.000,00 per il deprezzamento commerciale del bene, somma dalla quale doveva essere detratto l’importo di Euro 33.000,00 ricevuto dal L. a titolo di “acconto” dalla propria assicurazione REALE Mutua s.p.a..

L’appello proposto da Marina Management s.r.l. veniva dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello di Firenze con ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. in data 3.12.2014 con la quale i Giudici territoriali ravvisavano la infondatezza dei motivi di gravame con i quali veniva eccepita la estinzione della obbligazione risarcitoria e comunque il difetto di titolarità del credito in capo al danneggiato, essendo inopponibile da parte del responsabile civile, la quietanza rilasciata dal L. alla propria compagnia assicurativa in quanto concernente la “polizza riguardante i danni propri”; del pari infondata era la denuncia di ultrapetizione, avendo inteso il Tribunale liquidare soltanto la “svalutazione commerciale del natante” e non anche ulteriori danni non richiesti dall’attore; alcuna censura inoltre risultava efficacemente mossa dall’appellante alle indagini peritali svolte dal CTU.

Marina Management s.r.l. ha impugnato per cassazione ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c. la sentenza di primo grado e per quanto occorra la ordinanza della Corte d’appello, deducendo quattro motivi.

Resiste con controricorso L.M..

Le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 luglio 2005, n. 171, artt. 40 e 41; del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 149; degli artt. 1965, 1201, 1203 e 2702 c.c.; art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la ricorrente impugna la sentenza di prime cure nella parte in cui non ha riconosciuto la efficacia probatoria prevista dall’art. 149, comma 4 Codice delle Assicurazioni Private, alla quietanza liberatoria rilasciata in data 30.7.2009 dal L. alla propria Compagnia assicurativa Reale Mutua s.p.a. dietro il versamento della somma di Euro 33.000,00 a titolo di indennizzo, atteso il carattere onnicomprensivo dei danni soddisfatti mediante tale importo, e la corrispondente surrogazione della impresa assicurativa nel credito risarcitorio verso l’autore del danno Marina Management s.r.l. assicurata per la responsabilità civile con TORO Assicurazioni s.p.a..

Il motivo è inammissibile oltre che infondato.

L’assunto difensivo è interamente incentrato sul presupposto implicito che la “polizza assicurativa (OMISSIS)” stipulata dal L. con la propria assicurazione, non fosse altro che la polizza assicurativa obbligatoria per la RCA cui sono assoggettati i natanti da diporto, ai sensi dell’art. 123, comma 1 Codice Ass. Priv., cui rinvia il D.Lgs. 18 luglio 2005, n. 171, art. 41, comma 1, (Codice della nautica da Diporto), che estende l’applicazione della disciplina della assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore e dei natanti alle “unità da diporto” (definite dall’art. 3, comma 1, lett. a) medesimo D.Lgs. come “ogni costruzione di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto” con esclusione soltanto delle unità a remi od a vela non dotate di motore ausiliario).

L’assunto è del tutto indimostrato e la mancata trascrizione del contenuto della predetta polizza (che non figura neppure tra i documenti in elenco allegati al ricorso per cassazione), in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non consente a questa Corte di verificare l’asserita erroneità della statuizione del primo giudice che ha affermato la irrilevanza di detta quietanza, in quanto relativa a rapporto assicurativo al quale Marina Management s.r.l. era da ritenersi estranea, avendo ad oggetto detta polizza l’indennizzo assicurativo per “danni propri” (come evidenziato anche dal Giudice di appello nella ordinanza ex art. 348 bis c.p.c.) e dunque avendo esercitato il L. un proprio diritto contrattuale derivante dal diverso rapporto di “assicurazione danni” (avente ad oggetto la copertura del rischio dei danni materiali arrecati al natante) e non i diritti nascenti dalla polizza di “assicurazione obbligatoria della responsabilità civile”, in relazione ai quali soltanto opera il meccanismo (con i relativi effetti legali) della procedura di risarcimento diretto per danni al veicolo (natante) ed alle cose trasportate di proprietà dell’assicurato o del conducente, previsto dall’art. 149 Codice Ass.ni Private e dal regolamento di attuazione approvato con D.P.R. 18 luglio 2006, n. 254.

E’ infatti del tutto evidente come la quietanza sottoscritta da L. (nella specie rilasciata anche in via di transazione di ogni risarcimento del danno sofferto con espressa rinuncia ad ulteriori pretese), e non disconosciuta in giudizio, in quanto atto unilaterale ricettizio con il quale il creditore ammette il fatto del ricevuto pagamento e rende confessione stragiudiziale alla parte, con piena efficacia probatoria, ai sensi degli artt. 2733 e 2735 c.c. (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 26325 de/ 31/10/2008; id. Sez. 2, Sentenza n. 4196 de/ 21/02/2014), non può essere valutata nel suo contenuto negoziale in assoluto, ma deve essere riferita specificamente al rapporto obbligatorio cui inerisce, sicchè, salvo diversa manifestazione di volontà risultante dalla dichiarazione del creditore (ma in tal caso la interpretazione della volontà negoziale espressa nell’atto, che è riservata in via esclusiva al Giudice di merito e costituisce giudizio di fatto, avrebbe dovuto essere censurata nei limiti consentiti dall’errore di fatto di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ovvero in relazione alla errata applicazione dei criteri ermeneutici degli atti negoziali), l’affermazione satisfattiva ha per oggetto la prestazione dovuta in base al titolo, e costituisce ammissione della esattezza dell’adempimento della obbligazione prevista in contratto, dovendo analogamente essere delimitata l’ulteriore rinuncia a far valere future pretese nei confronti della società assicurativa, ai diritti derivanti da quella polizza di assicurazione danni (denominata “polizza (OMISSIS)” che – secondo quanto riferisce il resistente -limitava l’indennizzo alle sole “spese di riparazione di primo intervento”).

Indimostrato il presupposto di fatto, viene meno anche la fondatezza della critica alla sentenza di merito, non risultando comprovato che Reale Mutua Ass.ni s.p.a., corrispondendo l’indennizzo, abbia agito “per conto della impresa di assicurazione del veicolo (natante) responsabile”, secondo lo schema delegatorio ex lege previsto dall’art. 149, comma 3 Codice Ass. Priv., con effetti direttamente riverberanti nella sfera giuridica del responsabile del sinistro e della sua impresa di assicurazione, ai sensi del comma 4 medesimo articolo di legge.

Con il secondo motivo la ricorrente si duole del vizio di extrapetizione della pronuncia del Tribunale di Grosseto (violazione dell’art. 112 c.p.c.), in quanto il Giudice di prime cure aveva condannato la società al risarcimento del danno patrimoniale, corrispondente al costo necessario per la esecuzione degli interventi di riparazione – liquidato in complessivi Euro 90.000,00 da cui doveva essere detratto l’importo di Euro 33.000,00 già corrisposto da Reale Mutua Ass.ni s.p.a. – oltre a quello corrispondente al deprezzamento commerciale del natante riparato – liquidato in Euro 42.000,00 -, sebbene l’attore nell’atto introduttivo avesse chiesto, oltre al danno da svalutazione commerciale, altri danni (importo franchigia ed aumento del premio sopportato dall’assicurato in relazione alla polizza (OMISSIS); mancato utilizzo posto barca e pagamento canoni leasing, per i giorni di immobilizzo del natante necessari alle riparazioni), ritenuti infondati dal Tribunale per mancanza di prova, ma non anche il ristoro dei danni patrimoniali concernenti i maggiori costi di riparazione definitiva. Inoltre il L., nell’atto di citazione ed in sede di precisazioni delle conclusioni, aveva quantificato la pretesa nell’importo di Euro 35.000,00 e dunque il Tribunale non avrebbe comunque potuto liquidare in ultrapetizione una somma maggiore a quella richiesta.

Il motivo è da ritenere infondato, quanto al secondo rilievo, atteso che nell’atto di citazione il L. aveva indicato il “quantum” per svalutazione commerciale, “equitativamente e non in base ai preventivi, stimato in Euro 35.000,00” ed aveva concluso instando per la condanna al risarcimento dei danni complessivamente determinati in Euro 54.036,18 ma con la clausola di riserva – cui non può riconoscersi natura di clausola meramente di stile – con la quale veniva richiesta, comunque, “la diversa somma che risultasse di giustizia” e che lungi dall’avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all’ammontare della somma determinata che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni specifiche (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1324 del 24/01/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 2641 del 08/02/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 6350 del 16/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 12724 del 21/06/2016).

Il motivo deve ritenersi invece fondato, quanto al dedotto vizio di extrapetizione, avendo pronunciato il Tribunale la condanna della società all’integrale risarcimento dei danni patrimoniali, consistenti nei costi di riparazione definitiva del natante, che non erano stati richiesti nell’atto di citazione – al quale ha diretto accesso la Corte avuto riguardo al tipo di vizio processuale denunciato, e – dalla lettura del quale emerge in modo inequivoco il dettagli delle specifiche voci di danno per le quali è stato richiesto il risarcimento, elencate nelle lett. da A ad E: franchigia ed aumento del premio relativi alla polizza assicurativa (OMISSIS), rimasti a carico del danneggiato assicurato; canoni per affitto posto barca e canoni per leasing, corrisposti in mancanza di utilizzo del natante ferma in riparazione; danno da svalutazione commerciale del natante residuato anche dopo le riparazioni.

L’affermazione della Corte d’appello secondo cui il Giudice di prime cure aveva inteso liquidare soltanto la svalutazione del natante, deducendo l’acconto ricevuto, è frutto di errata lettura della sentenza di primo grado laddove il Tribunale, dopo aver richiamato l’elaborato peritale, nel quale il danno iniziale alla imbarcazione (ante riparazioni) era stato determinato in Euro 90.000,00 e quindi il deprezzamento commerciale era stato stimato in Euro 140.000,00 con le sole riparazioni temporanee, ed invece in Euro 42.000,00/56.000,00 con la esecuzione delle riparazioni definitive a regola d’arte (il CTU ha, infatti, indicato sia il minore importo del danno da deprezzamento liquidato sul presupposto di fatto – nella specie inesistente – della avvenuta riparazione definitiva della imbarcazione, che il maggiore importo da svalutazione commerciale liquidato sul diverso presupposto di fatto – corrispondente alla concreta fattispecie – della mancata riparazione definitiva del natante), ha poi liquidato il danno richiesto in domanda sommando l’importo relativo al costo delle riparazioni definitive a regola d’arte (90.000,00) con quello relativo al deprezzamento commerciale minimo (42.000,00), con ciò esorbitando dai limiti oggettivi del “petitum”, circoscritti esclusivamente alla liquidazione della svalutazione commerciale e non anche del costo delle riparazioni definitive.

La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata in parte qua, dovendo rimettersi la causa al Giudice d’appello affinchè provveda alla liquidazione del solo danno da svalutazione commerciale del natante alla stregua delle risultanze istruttorie già acquisite al giudizio di merito.

Il terzo motivo (violazione art. 111 Cost., comma 6; art. 276 c.p.c., nullità della sentenza) è infondato.

Sostiene la ricorrente che la motivazione “per relationem” del Tribunale alle risultanze peritale integri motivazione apparente in quanto non viene dato conto dei criteri adottati per la liquidazione del danno.

Il motivo, in difetto di integrale trascrizione della consulenza tecnica, è inammissibile per difetto di specificità. Le risultanze della c.t.u., cui rimanda la motivazione della sentenza del Tribunale, contengono dati inerenti il valore della imbarcazione, desunti dalle modalità costruttive di particolare pregio in composito di legno con fasce incrociate incollate tra loro con resine epossidiche (cfr c.t.u. riportata in stralcio a pag. 19 controricorso), la tipologia della riparazione provvisoria (“toppa con apposizione di legno lamellare sulla zona avente dimensioni limitate allo sfondamento”: ibidem pag. 18), le modalità necessarie per la esecuzione di un intervento di riparazione definitivo a regola d’arte (ibidem pag. 19), la stima dei danni calcolati in riferimento ai costi di riparazione (riparazioni in legno dello scafo, pitturazione completa dello stesso, smontaggio e rimontaggio delle parti accessorie: cfr. ricorso pag. 17), nonchè il diverso deprezzamento commerciale della imbarcazione secondo che gli interventi di riparazione vengano limitati a quelli provvisori ovvero si estendano a quelli definitivi.

Il rinvio a tali risultanze assolve al requisito minimo costituzionale prescritto dall’art. 111 Cost., comma 6, per la validità dei provvedimenti giurisdizionali, sia per quanto concerne la esistenza dell’elemento materiale della parte grafica motiva della sentenza, sia sotto il profilo della indicazione degli elementi di fatto e dell’apparato argomentativo che giustificano il decisum.

La ricorrente – peraltro – neppure allega nella esposizione del motivo di ricorso di aver formulato contestazioni alle indagini svolte dal CTU in relazione alla errata rilevazione dei fatti constatati o dei criteri di valutazione applicati e desunti dalle prassi valutative proprie del settore della mediazione marittima, critiche che in tal caso avrebbero imposto al Giudice di motivare puntualmente nella sentenza ove l’ausiliario non avesse fornito risposta ai rilievi critici di parte (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 1975 del 22/02/2000; id. Sez. 1 – Sentenza n. 23637 del 21/11/2016), non potendo in conseguenza essere fatti valere per la prima volta in sede di legittimità – attraverso il vizio di nullità processuale – asseriti errori o lacune delle indagini peritali la cui contestazione avrebbe dovuto essere oggetto di discussione nella sede del contraddittorio tecnico in primo grado.

Il quarto motivo è volto a richiedere un chiarimento sulla statuizione di condanna della sentenza di primo grado, peraltro pacifica ed incontestata nel suo dictum (liquidato l’importo risarcitorio in Euro 132.000,00, su tale somma vanno applicati gli interessi compensativi e svalutazione monetaria dalla data del sinistro fino alla data del pagamento dell’acconto di Euro 33.000,00 detratto il quale gli accessori continueranno a maturare sul residuo importo fino al saldo): difettando gli elementi richiesti ai sensi dell’art. 366 c.p.c. per la formulazione dei motivi di ricorso per cassazione, la Corte è assolta dall’obbligo di pronuncia.

In conclusione il ricorso trova accoglimento quanto al secondo motivo, inammissibili gli altri motivi; la sentenza impugnata deve essere cassata in parte qua e la causa rinviata ex art. 383 c.p.c., u.c. ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze perchè provveda a liquidare il danno da svalutazione commerciale del natante, nonchè le spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibile il primo, terzo e quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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