Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11794 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 12/05/2017, (ud. 11/04/2017, dep.12/05/2017),  n. 11794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3907-2015 proposto da:

IMMOBILIARE SAN LORENZO SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, B.F.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANNA DONDI giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO

18, presso lo studio dell’avvocato MARIA ELENA RIBALDONE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALERIO GIUSEPPE

FERRARI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

GA.LU., G.E., Z.F., ITALIANA

ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2353/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 10/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/04/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato MARIA ELENA RIBALDONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Torino, con sentenza 10.12.2013 n. 2154, ha rigettato l’appello proposto da Immobiliare San Lorenzo s.r.l. e confermato la decisione di prime cure che aveva condannato la società al risarcimento dei danni subiti dai proprietari dell’immobile confinante ( G.L., G.E., G.M., Ga.Lu., C.F., C.E. e Z.F.) a causa dei lavori di ristrutturazione eseguiti sul complesso immobiliare (ex mercato coperto) di proprietà della predetta società.

La Corte territoriale riteneva inammissibili in quanto tardive – come già dichiarato dal primo giudice – le nuove deduzioni svolte in grado di appello dalla Immobiliare San Lorenzo s.r.l. in relazione alla sua posizione di mera committente e di unico responsabile del danno indicato nell’appaltatore; confermava la correttezza delle indagini svolte dall’ausiliario nel corso del primo grado di giudizio in merito alla eziologia del danno da fessurazione del muro dell’edificio preesistente, individuata esclusivamente nei lavori di sbancamento, nonchè dell’accertamento dei costi di ripristino stimati dal CTU; riteneva infondata per difetto di prova la domanda riconvenzionale proposta dalla società in relazione al minor valore commerciale dell’opera realizzata in dipendenza dello stato di degrado dell’immobile di proprietà degli appellati.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione da Immobiliare San Lorenzo s.r.l. con quattro motivi.

Resistono i proprietari dell’immobile confinante con controricorso e memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo è inammissibile e comunque palesemente infondato.

Sostiene la ricorrente che il Giudice di appello avrebbe violato l’art. 2697 c.c. ritenendo il committente tenuto a rispondere dei danni cagionati a terzi dall’appaltatore, errando nel ritenere che la eccezione era stata proposta dalla società senza indicare il progettista o l’appaltatore, atteso che era, invece, circostanza nota agli attori – che avevano avuto accesso, come riferito nell’atto di citazione, agli atti depositati presso il Comune di Alessandria per il rilascio della concessione edilizia – che la redazione del progetto era stata eseguita dall’Ing. B., mentre i lavori erano stati eseguiti dalla impresa GEO-SET s.n.c..

La ricorrente non si avvede, tuttavia, che la Corte d’appello:

a) ha in via principale ritenuto inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c. la deduzione del fatto nuovo concernente la eccepita distinzione delle responsabilità del committente e dell’appaltatore, in ordine alla quale già il primo giudice aveva dichiarato decaduta la società convenuta, essendo stata la eccezione formulata tardivamente;

b) ha aggiunto inoltre che la eccezione della società di difetto di titolarità della posizione passiva del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio (sul presupposto della esclusiva responsabilità del progettista o della impresa appaltatrice dei lavori), era comunque da ritenersi inammissibile, in quanto neppure supportata dalla allegazione degli elementi fattuali necessari alla dimostrazione dell’assunto difensivo, non essendo a ciò sufficiente la mera allegazione della qualità di committente, specificando che nella specie la società era stata convenuta in giudizio nella qualità di “proprietaria” dell’immobile dal quale era derivato il danno all’immobile di proprietà degli attori, e che “la circostanza della proprietà dell’immobile dal quale sono promanati i danni, costituisce certamente presupposto sufficiente per rispondere, sotto il profilo aquiliano, dei risultati…” della relativa ristrutturazione (cfr. sentenza appello, in motiv. pag. 5).

Tanto premesso osserva il Collegio che la ricorrente:

a) non ha censurato la statuizione (indipendentemente dalla correttezza o meno della stessa) che ha dichiarato inammissibile la eccezione di esonero da responsabilità fondata sulla qualità di committente;

b) non ha censurato la statuizione secondo cui la qualità di “proprietaria” dell’immobile ristrutturato, era condizione sufficiente ad accertare la responsabilità di Immobiliare San Lorenzo s.r.l., una volta dimostrato il nesso eziologico tra la ristrutturazione della “res” in custodia ed il danno cagionato dall’immobile ristrutturato all’edificio confinante.

Quanto al rilievo sub lett. b) occorre considerare che, se le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016), e se dunque – in astratto – la difesa della società ricorrente, volta a far valere la responsabilità del progettista e dell’appaltatore, non avrebbe incontrato ostacoli ove proposta in grado di appello, tuttavia occorre rilevare che, anche qualora risultasse tempestiva la introduzione nel giudizio di merito dei fatti dimostrativi della committenza della progettazione e dei lavori a professionista (Ing. B.) e ditta (GEO-set s.n.c.) del tutto autonomi nello svolgimento delle rispettive competenze sul piano organizzativo e delle scelte tecniche progettuali ed esecutive e dunque non assoggettati a poteri di iniziativa, direzione e controllo da parte di Immobiliare San Lorenzo s.r.l. (circostanza che graverebbe in tal caso i danneggiati dell’onere della prova contraria della diretta ingerenza o della culpa “in eligendo” del committente: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 13131 del 01/06/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 1234 del 25/01/2016), permarrebbe egualmente intatta la relazione di custodia tra la società proprietaria e l’immobile interessato dai lavori di ristrutturazione, tale da configurare la responsabilità ex art. 2051 c.c. per danni arrecati ai terzi da cosa in custodia, che è esclusa solo dal caso fortuito, il quale non attiene ad un comportamento dello stesso custode ma al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, che può consistere anche nel fatto di un terzo, con la conseguenza che, in caso di “affidamento dei lavori in appalto”, non occorre verificare, al fine di escludere la responsabilità del custode committente, se questi sia incorso in una “culpa in eligendo” nell’individuazione dell’appaltatore, del progettista o del direttore dei lavori, ovvero se lo stesso abbia lasciato loro piena autonomia, ma è necessario invece accertare se l’esecuzione dei lavori commissionati a terzi presenti quei caratteri di eccezionalità, imprevedibilità e autonoma incidenza causale rispetto all’evento dannoso, tali da integrare il caso fortuito (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 20619 del 30/09/2014).

Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza di appello per errata valutazione della c.t.u. e per violazione dell’art. 116 c.p.c..

Sostiene la ricorrente che l’onere di motivazione avrebbe dovuto essere considerato più esteso, avuto riguardo alle critiche che erano state mosse alla c.t.u.

Il motivo è inammissibile.

Il giudizio di legittimità è ad oggetto limitato e il vizio di motivazione (tale è la censura rivolta a contestare le risultanze peritali cui aderisce o cui attinge il Giudice di merito nel fondare il supporto logico della decisione: la violazione dell’art. 116 c.p.c. non introduce pertanto un vizio per errore di diritto, ma rileva esclusivamente in quanto vizio di errore di fatto: Corte cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 24434 del 30/11/2016) non costituisce veicolo di rinnovazione dell’esame delle questioni di merito affrontate dalla Corte territoriale, essendo del tutto estranea al mezzo di impugnazione ex art. 360 c.p.c. una verifica dei fatti.

Il controllo demandato in sede di legittimità sulla motivazione della sentenza impugnata, è circoscritto esclusivamente alla ipotesi di omessa considerazione di un fatto storico, principale o secondario, che sia stato accertato nel corso della verifica probatoria e che risulti “decisivo” al fine di pervenire con certezza ad una soluzione giuridica diversa della fattispecie controversa. Al di fuori di tale ipotesi residua soltanto la insanabile invalidità del provvedimento giurisdizionale in quanto privo del requisito essenziale di validità costituito della motivazione, intesa quale elemento materiale di scrittura che va a comporre le parti di cui deve essere composto il documento “sentenza” (art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) ovvero quale elemento logico idoneo ad evidenziare all’esterno l’indispensabile argomento giustificativo che presiede alla relazione istituita tra la premessa accertativa e qualificatoria dei fatti e la regola di diritto ad essi applicata diretta alla produzione della realtà giuridica, in ciò consistendo il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, intesa nel suo contenuto minimo costituzionale ex art. 111 Cost., comma 6, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014).

Ne segue che la formulazione del motivo di ricorso volta a censurare le risultanze peritali, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per essere ammissibile:

a) deve individuare specificamente le statuizioni della sentenza impugnata che trovano fondamento in tali risultanze, e non deve invece riprodurre puramente e semplicemente tutti i rilievi eventualmente svolti nei confronti degli accertamenti od indagini dell’ausiliario che non abbiano costituito elemento decisivo della motivazione;

b) in particolare la censura mossa con il motivo di ricorso non deve limitarsi alla reiterazione di divergenti valutazioni tecniche od ipotesi teoriche alternative, ma deve individuare l’errore di rilevazione da parte dell’ausiliario del “fatto” oggettivamente considerato posto a base della decisione del Giudice, od ancora l’errore sulla concludenza fenomenica tra i fatti accertati fondato sulla applicazione del criterio di causalità materiale, applicabile ai fenomeni fisici- in cui è incorso il CTU ove tale conclusione sia stata assunta nella motivazione della sentenza.

E’ appena il caso di osservare come il motivo di ricorso in esame non risponda ad alcuno degli indicati requisiti: avendo riprodotto il ricorrente le medesime critiche già svolte dal proprio consulente nel corso del giudizio di merito senza neppure specificare se e quali statuizioni della sentenza impugnata fossero da ritenersi coinvolte dalla critica; venendosi a sostanziare, peraltro, la critica in mere contestazioni in ordine alla entità economica degli interventi riparatori, non supportate da elementi oggettivi; risultando del tutto carente la censura sotto il profilo della individuazione di specifici fatti, in ipotesi, apprezzati in modo difforme rispetto alla evidenza oggettiva; essendo stata omessa la trascrizione dei passi essenziali della CTU oggetto di critica, rimanendo quindi impedito a questa Corte di individuare quale sia la “risultanza peritale” errata e se la stessa abbia o meno costituito elemento determinante della motivazione della sentenza di appello, ed ancora rimanendo impedita la verifica dell’errore asseritamente commesso dal Giudice di appello, laddove – da un lato – ha ritenuto che il CTU aveva compiutamente risposto alle osservazioni del CTP nella relazione a chiarimenti (neppure citata dalla ricorrente), e dall’altro ha ritenuto estranee al “quantum devolutum” le ulteriori e nuove questioni di critica alla c.t.u. dedotte dalla società con l’atto di appello, in quanto avrebbero dovuto essere formulate nel corso del contraddittorio tecnico in primo grado.

Con il terzo motivo la società ricorrente impugna la sentenza di appello in punto di mancata valutazione della incidenza colposa del danneggiato nell’evento dannoso (violazione dell’art. 1227 c.c., comma 1).

Il motivo è infondato in quanto la ricorrente ha inteso estrapolare alcuni stralci della relazione del CTU per formulare deduzioni logiche non coerenti con le risultanze peritali.

L’ausiliario del Giudice, infatti, ha rilevato che l’immobile danneggiato preesisteva a quello di proprietà della società e si caratterizzava per i molteplici interventi edilizi modificativi attuati nel corso degli anni, per una “fragilità complessiva di tutta la struttura”. Ed il Giudice di appello ha fondato il “decisum” ritenendo che la situazione di fragilità strutturale dell’immobile (qualificato come immobile di valore storico originariamente edificato nel 1700), preesistendo all’intervento di ristrutturazione attuato da Immobiliare San Lorenzo s.r.l., avrebbe dovuto essere attentamente considerata dal soggetto che andava ad alterare la situazione di equilibrio statico dell’immobile confinante fino ad allora immutata, essendo tenuto tale soggetto ad adottare le cautele ed accorgimenti tecnici necessari a mantenere lo “status quo ante”.

Nella specie la ricorrente ripropone la tesi secondo cui le molteplici modifiche che aveva subito nel tempo l’immobile dei danneggiati fossero “ex se” idonee a determinare fenomeni fessurativi, supportando l’assunto con la riproduzione della normativa di settore che regola gli interventi edilizi su edifici in muratura (peraltro oltre all’elenco di interventi edilizi riportato alla pag. 18 del ricorso, la ricorrente non fornisce alcuna indicazione, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 della produzione documentale e del luogo in cui è dato rinvenire i documenti dimostrativi dell’assunto, genericamente richiamati come “pratiche urbanistiche presentate dagli attori, in atti”), ma affermando in modo anapodittico che i predetti interventi edilizi sarebbero stati compiuti in violazione della normativa edilizia (che prescrive in caso di mutamenti strutturali di provvedere al consolidamento dello stabile), omettendo di considerare, peraltro, che la normativa in questione rapporta la necessità del contestuale consolidamento dell’edificio alla incidenza dello specifico intervento modificativo sulla statica complessiva dell’immobile interessato dall’intervento stesso, e non anche in relazione ad eventuali e future alterazioni dell’assetto statico raggiunto da quell’edificio, determinate da successivi ed ipotetici interventi edilizi sullo stesso immobile ovvero da interventi che interessano altri immobili adiacenti o confinanti: essendo del tutto evidente come in questo secondo caso il rispetto della normativa edilizia a salvaguardia dell’equilibrio statico degli edifici preesistenti ricada interamente sul nuovo costruttore o proprietario dell’immobile adiacente o confinante.

In relazione a tale aspetto, lo stesso CTU (vedi, pag. 17 ricorso), peraltro, ha chiarito che la “preesistente fragilità” dell’edificio non impedisce in ogni caso di riconoscere l’autonomo determinismo causale delle fessurazioni riscontrate nei punti di variazioni della tipologia strutturale, dovuto all’abbassamento anche di sole frazioni di millimetro del muro confinario, in conseguenza delle opere di ristrutturazione dell’immobile di proprietà della società.

Il quarto motivo è inammissibile in quanto la ricorrente formula la censura di violazione di norme urbanistiche ed edilizie (L.R. Piemonte n. 56 del 1977, art. 24; art. 26 PRG, artt. 90 e 92 regolamento edilizio, ed artt. 20, 65 e 130 regolamento igiene del Comune di Alessandria) per contestare la valutazione di merito del Giudice di appello in punto di mancanza di prova sul danno inerente il deprezzamento commerciale dell’immobile di proprietà della società, che avrebbe allora dovuto censurare – ricorrendone i presupposti – in relazione al differente vizio di errore di fatto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte d’appello ha infatti rigettato la domanda riconvenzionale proposta dalla società avente ad oggetto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati dai proprietari dell’immobile confinante, per mancanza di prova del nesso causale tra lo stato di fatiscenza del muro confinario dell’immobile G. ed i danni subiti dall’immobile in proprietà alla società. Sul punto la ricorrente, oltre a riprodurre la normativa edilizia secondo cui gli edifici, specie se riconosciuti di valore storico, debbono essere manutenuti a spese della proprietà nelle condizioni di decoro consone all’ambiente urbano, nonchè il verbale di sopralluogo del funzionario comunale che attestava il distacco di parti di intonaco dai muri perimetrali con conseguente provvedimento di diffida ad eseguire i lavori di ripristino, non ha fornito alcun ulteriore elemento di prova – che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare – idoneo a dimostrare l'”an” ed il “quantum” del danno asseritamente patito, avendo omesso del tutto di indicare quali fossero le “prove dedotte e richiamate ín appello” che il Giudice di merito aveva “implicitamente rigettate”, impendendo alla Corte di verificare la concludenza e decisività del mezzo di prova e dunque la illegittimità della mancata ammissione, essendo del tutto evidente che se tale prova fosse da individuarsi nella richiesta di c.t.u. “volta a quantificare il danno provocato dalle violazione regolamentari e normative”, la censura sarebbe da ritenere manifestamente infondata trattandosi di indagine meramente esplorativa non consentita tanto più in difetto di prova sulla esistenza di una conseguenza pregiudizievole.

In conclusione il ricorso deve esser rigettato e la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso principale.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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