Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11793 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 12/05/2017, (ud. 11/04/2017, dep.12/05/2017),  n. 11793

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 53-2015 proposto da:

EDIL 90 SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo liquidatore e

l.r.p.t. D.M.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 59, presso lo studio dell’avvocato MARA FIOCCA,

rappresentata e difesa dall’avvocato SILVIO RUSTIGNOLI giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.C., RA.NI., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO MIRAGLIA, rappresentati e difesi dall’avvocato EMANUELA

MINUTOLO giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

MASSIMINI COSTRUZIONI SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 462/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 02/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/04/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato SILVIO RUSTIGNOLI;

udito l’Avvocato MARIA RIBALDONE per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza 2.5.2014 n. 462 ha rigettato l’appello proposto da EDIL 90 s.r.l. in liquidazione e confermato la decisione del Tribunale di Lanciano in data 30.12.2006 n. 461 che aveva condannato la predetta società in solido con Massimini Costruzioni s.r.l. a risarcire il danno emergente e da lucro cessante subito da Ra.Ni. e R.C. in dipendenza dei vizi costruttivi, determinativi di fenomeni infiltrativi e di umidità, riscontrati nell’immobile dagli stessi acquistato con atto pubblico in data (OMISSIS) dalle due società.

Rilevava il Giudice di appello che sussisteva la responsabilità di entrambe le società avendo le stesse effettuato la vendita “con vincolo solidale”, come espressamente specificato in contratto, non dovendo procedersi a ripartizione interna delle rispettive colpe in difetto di azione di regresso; che il danno da lucro cessante risultava comprovato dalle numerose richieste di locazione pervenute agli acquirenti e non concluse a causa dei predetti vizi; che il valore locativo degli immobili non era mai stato contestato, e comunque risultava congruamente determinato a valori di mercato dal CTU; che il fenomeno infiltrativo si era manifestato apertamente solo nel 1999, dovendo quindi escludersi una inerzia degli acquirenti volta ad integrare un concorso nella causazione del danno; che le spese di lite erano state correttamente applicate dal primo giudice.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione da EDIL 90 in liquidazione con quattro motivi.

Resistono gli acquirenti con controricorso.

Non ha svolto difese Massimini Costruzioni s.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo, con il quale si deduce vizio di nullità della sentenza per omessa pronuncia su motivo di gravame in violazione dell’art. 112 c.p.c., è inammissibile.

Sostiene la ricorrente che il Giudice di appello non avrebbe preso in esame il motivo di gravame dedotto con l’atto di appello con il quale era stata impugnata la decisione di prime cure nella parte in cui aveva ritenuto di fondare la responsabilità di EDIL 90 s.r.l. in liquidazione sulle risultanze peritali, avendo accertato il CTU che le opere di impermeabilizzazione dell’edificio venduto al Ra. ed alla R. avrebbero dovuto essere meglio realizzate, non tenendo tuttavia conto della particolare entità del ristagno per allagamento del piano terra dell’edificio adiacente, di proprietà di Massimini Costruzioni s.r.l., da cui originava il fenomeno infiltrativo nell’immobile venduto (36.000 litri d’acqua all’anno come indicato dal CTU Ing. S. nella relazione a chiarimento del 27.4.2005 -riportata in parte a pag. 15 ricorso-).

La Corte d’appello, dopo avere dato atto che l’appello era rivolto a dimostrare la esclusiva responsabilità extracontrattuale della Massimini Costruzioni s.r.l., ha confermato la decisione di primo grado che aveva imputato ad entrambe le società alienanti la responsabilità per danni in considerazione della inadeguata impermeabilizzazione del muro controterra dell’edificio venduto (cfr. c.t.u., riportata nella parte essenziale a pag. 2 del controricorso), vizio sul quale venivano a concorrere nella produzione del danno i gravi difetti riscontrati nella incompleta costruzione adiacente di proprietà di Massimini Costruzioni s.r.l. (scarico interno anzichè esterno del pluviale; ostruzione della griglia fognaria di smaltimento) nella quale si riversavano e stagnavano notevoli quantità di acqua piovana, ritenendo che tanto la assenza di impermeabilizzazione del muro controterra, quanto i difetti costruttivi dell’immobile adiacente, concorressero causalmente alla produzione dell’evento lesivo, rendendosi in conseguenza del tutto pleonastico un ulteriore accertamento volto a ripartire la incidenza percentuale del contributo causale tra le due società, rispettivamente, per responsabilità contrattuale di entrambe (nei confronti degli acquirenti), e per responsabilità extracontrattuale della sola Massimini Costruzioni s.r.l. (nei confronti degli acquirenti e della stessa EDIL 90 s.r.l. in liquidazione), in quanto, nella specie, come precisato dalla Corte d’appello “non veniva in discussione il rapporto tra le due società”.

Ne segue che la questione concernente l’allagamento del piano terra dell’immobile adiacente di proprietà di Massimini Costruzioni s.r.l. ha costituito oggetto di accertamento in fatto da parte della Corte territoriale e che eventuali errori di rilevazione degli elementi costitutivi della fattispecie concreta, ovvero eventuali errori nell’applicazione del principio di causalità materiale nella individuazione del fatto generatore dell’evento lesivo, avrebbero dovuto essere dedotte dalla ricorrente mediante la denuncia dei vizi di legittimità corrispondenti e dunque attraverso la individuazione del fatto o dei fatti storici decisivi, dei quali era prova in giudizio, la cui considerazione era stata del tutto omessa dal Giudice di appello, ovvero attraverso la denuncia di violazione delle norme giuridiche che presiedono ai criteri della causalità adeguata espressi dagli artt. 40 e 41 c.p., ma non anche attraverso il vizio inerente l’attività processuale rilevando l’omessa pronuncia su motivi di gravame nei limiti in cui la Corte d’appello abbia del tutto pretermesso l’esame di una specifica contestazione dell’atto di appello rivolta ad un determinato capo della sentenza di prime cure, e non anche quando investita con il gravame del riesame del materiale probatorio, non avendo l’appellante ritenuto appagante la ricostruzione del fattispecie concreta compiuta dal primo giudice, abbia inteso confermare la valutazione probatoria del primo giudice.

Il secondo motivo (violazione degli artt. 1490, 1218 e 1292 c.c. ed art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è inammissibile.

La ricorrente censura la sentenza sostenendo che, alla stregua delle allegazioni contenute nell’atto di appello, risultava dimostrata la esclusiva responsabilità extracontrattuale di Massimini Costruzioni s.r.l., dovendo in conseguenza disporsi la cassazione della pronuncia impugnata.

Difetta nella parte espositiva del motivo qualsiasi svolgimento dell’apparato critico che deve presiedere, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, alla formulazione della censura della statuizione impugnata, affinchè la stessa possa superare il vaglio di ammissibilità al sindacato di legittimità, non assolvendo all’indicato requisito di specificità la mera riproposizione del motivo di gravame, peraltro incentrato interamente su una rivisitazione delle risultanze peritali e degli accertamenti in fatto compiuti dal Giudice di merito, che non può trovare accesso nel giudizio avanti la Corte di cassazione.

La inammissibilità del motivo discende dunque dalla assenza del requisito prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 inteso come requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso che è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2): nel giudizio di legittimità caratterizzato da una struttura chiusa in quanto l’oggetto della verifica è limitato soltanto ad alcuni tassativi vizi del provvedimento giurisdizionale che consentono di veicolare la impugnazione, il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), deve necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 4741 del 04/03/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 15604 del 12/07/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 6184 del 13/03/2009). Ne segue che le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non le consente di procedere ad un “novum judicium” riesaminando e valutando autonomamente il merito della causa, non atteggiandosi il giudizio di legittimità come un terzo grado di giudizio (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 1317 del 26/01/2004; id. Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014).

Il terzo motivo di ricorso (omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) investe la sentenza di appello sul punto dell’omesso esame del rilievo, ritenuto decisivo, contenuto nella relazione a chiarimenti del CTU Ing. S., depositata il 27.4.2005, secondo cui le dimensioni del terrazzo dell’edificio di proprietà Massimini Costruzioni s.r.l., dal quale il pluviale scaricava l’acqua meteorica all’interno dello stesso, consentivano di ipotizzare, in base ai dati sulla piovosità della zona, un afflusso d’acqua di circa litri 36.000 all’anno.

Tuttavia anche in questo caso il motivo si palesa privo della specificità necessaria, non essendo consentito verificare – in assenza di trascrizione ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 delle risultanze peritali alle quali motivano “per relationem” le sentenze dei Giudici di merito – se il dato statistico in questione sia stato effettivamente o meno debitamente considerato e valutato dal CTU il quale, a quanto è dato evincere dallo stralcio della consulenza trascritto alla pagine 2 del controricorso, sembrerebbe avere considerato anche il fenomeno dell’allagamento dei locali dell’immobile adiacente, ritenendo comunque inadeguata e non conforme alle regole dell’arte la omessa impermeabilizzazione del muro controterra “costruito in posizione tale da realizzare uno sbarramento rispetto al naturale declivio del versante su cui insiste la costruzione”, in quanto “….sul retro del muro medesimo si sarebbe dovuto realizzare un adeguato drenaggio, atto ad intercettare eventuali acque raccolte dallo sbarramento stesso, da convogliare e smaltire in modo opportuno”. In relazione a tale conclusione peritale viene contrapposto dalla ricorrente meramente un dato statistico senza alcuna critica specifica intesa a contestare il giudizio di inadeguatezza del manufatto indicato (soltanto ad abundantiam può aggiungersi che il rilievo contenuto nel motivo di gravame, secondo cui il muro controterra non fu impermeabilizzato perchè avrebbe dovuto costituire muro “interno” di divisione tra i due edifici, quindi non esposto alle intemperie, non consente in ogni caso di attribuire carattere di “decisività” -come richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – al dato statistico concernente la quantità di acqua meteorica, atteso che l’affidamento delle società venditrici in ordine al completamento dell’edificio adiacente, evento che non si è poi verificato, implicava comunque l’assunzione del rischio di danni dovuti alla mancata impermeabilizzazione del muro controterra, in quanto ritenuto – erroneamente – mero “muro interno” ai due edifici, e non potrebbe quindi esimere le società venditrici, e nella specie la EDIL 90 s.r.l. in liquidazione, dalla responsabilità per i danni cagionati agli acquirenti).

Va dunque ribadito il principio secondo cui in tema di impugnazione per cassazione, ed in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso, la parte che alleghi la mancata valutazione delle consulenze tecniche d’ufficio espletate nei gradi di merito, ha l’onere di indicare compiutamente (e, se del caso, trascrivere nel ricorso) gli accertamenti e le risultanze peritali, al fine di consentire alla corte di valutare la congruità della motivazione della sentenza impugnata che si sia motivatamente dissociata dalle conclusioni peritali, dovendosi, in carenza di detta specificazione, dichiarare il ricorso inammissibile (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 6753 del 05/05/2003; id. Sez. 3, Sentenza n. 7078 del 28/03/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 13845 del 13/06/2007; id. Sez. L, Sentenza n. 3224 del 12/02/2014; id. Sez. 1, Sentenza n. 16368 del 17/07/2014).

Il quarto motivo (omesso esame di fatto decisivo concernete la inerzia degli acquirenti; violazione dell’art. 1227 c.c.) è manifestamente inammissibile.

Premesso che l’errore di diritto non integra vizio autonomo, in quanto appare una mera conseguenza dell’assunto della ricorrente per cui la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare correttamente il materiale probatorio, e specificamente la dichiarazione resa dal teste Pallini in ordine alla constatazione – già in tempo risalente – di umidità nei locali dell’edificio acquistato dal Rapino e dalla R., è appena il caso di osservare che, tanto anteriormente, quanto successivamente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, la deduzione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, non poteva in ogni caso risolversi in una richiesta alla Corte di una nuova rivalutazione nel merito dei fatti, non consentita in sede di legittimità (cfr. (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5024 del 28/03/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014).

Nella specie la Corre territoriale ha dato idoneamente atto di aver valutato le risultanze istruttorie e di aver escluso un concorso di responsabilità degli acquirenti ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 determinato da ingiustificata inerzia, avendo dato conto che, come accertato dal CTU, il fenomeno dannoso si era sviluppato progressivamente ed in modo subdolo, essendo stato possibile apprezzarlo soltanto nel corso dell’anno 1999 durante il quale si erano verificati fenomeni atmosferici piovosi di particolare intensità.

Tale valutazione di merito risulta insindacabile in sede di legittimità atteso che l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.(cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; id. Sez. L, Sentenza n. 17097 del 21/07/2010; id. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso principale.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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