Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11792 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. I, 05/05/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 05/05/2021), n.11792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20200/2016 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via XX

Settembre n. 3, presso lo studio dell’avvocato Sassani Bruno Nicola,

rappresentata e difesa dagli avvocati Cecchella Claudio, Daini

Palesi Ginetta, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

V.C., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cola di

Rienzo n. 92, presso lo studio dell’avvocato Nardone Elisabetta, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Marcucci Pilli

Daniela, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 630/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 20/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/01/2021 dal Cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso notificato il 28 dicembre 2010, G.A. adiva il Tribunale di Pistoia, chiedendo pronunciarsi la separazione giudiziale dal coniuge V.C., con addebito al marito, e con condanna del medesimo alla corresponsione di un assegno di mantenimento in favore della moglie e dei due figli gemelli V.G. e F.. Instauratosi il contraddittorio, il resistente si costituiva, proponendo, in via incidentale, domanda di addebito della separazione alla G.. Il Tribunale adito, con sentenza n. 1069/2014, pronunciava la separazione dei coniugi, disattendeva le reciproche domande di addebito, affidava i figli minori ad entrambi i genitori, collocandoli presso la madre, alla quale veniva assegnata la casa coniugale, stabiliva a carico del V. un assegno di mantenimento in misura di Euro 800,00, a favore della moglie, e di Euro 700,00, per ciascuno dei figli minori.

2. La sentenza di primo grado veniva impugnata dalla G., con appello principale, e dal V. con appello incidentale. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 630/2016, depositata il 20 aprile 2016, in parziale riforma della sentenza impugnata, operando una comparazione tra i redditi delle parti, riduceva ad Euro 700,00 mensili la somma che il V. avrebbe dovuto corrispondere a favore della moglie, e ad Euro 600,00, per ciascun figlio, la somma che il medesimo avrebbe dovuto corrispondere alla madre quale contributo al loro mantenimento.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso G.A., affidato a tre motivi, illustrati con memoria. Il resistente ha replicato con controricorso e con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, G.A. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 151 c.c., comma 2, art. 143 c.c., comma 2 e art. 146 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte d’appello abbia disatteso la domanda di addebito della separazione al marito, sebbene il medesimo le avesse improvvisamente ed inaspettatamente confessato i suoi sentimenti per un’altra donna e si fosse allontanato dal domicilio coniugale dopo pochi giorni, ed ancorchè il medesimo avesse ostentato in pubblico la nuova relazione, in tutti i contesti sociali frequentati dai coniugi, tenendo altresì condotte – concretanti un’evidente ipotesi di “mobbing” culminate nell’estromissione di fatto della moglie dalla farmacia di sua proprietà, nella quale la G. prestava la sua collaborazione.

1.2. Il motivo è fondato, nei limiti che si passa ad esporre.

1.2.1. La Corte d’appello ha respinto la domanda di addebito proposta dalla G. anzitutto rilevando che “i comportamenti di ostentazione e di mobbing denunciati dalla appellante non trovano riscontro negli atti di causa non essendo provati”. Su tale specifica statuizione la ricorrente non propone, tuttavia, censura alcuna.

1.2.2. Il mezzo è, invero, essenzialmente incentrato sul dedotto motivo di addebito della separazione, costituito dall’abbandono della casa coniugale da parte del V.. Deduce, invero, la ricorrente di avere riferito, nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, che – del tutto inopinatamente, nel corso di una convivenza coniugale fino a quel momento immune da contrasti significativi, ma al contrario connotata da una “perfetta unione materiale e spirituale” (p. 2 del ricorso per cassazione) – il marito, in data (OMISSIS), le aveva confessato di essersi innamorato di un’altra donna (“è la storia della mia vita, voglio separarmi”). Dopo pochi giorni l’uomo aveva abbandonato la casa coniugale, andando a convivere con l’altra donna.

Orbene, ad avviso della esponente, siffatta condotta del coniuge, che aveva abbandonato – “dall’oggi al domani” – il tetto coniugale, manifestando i sentimenti per un’altra persona ed allontanandosi definitivamente dalla casa comune, “senza neppure aver fatto precedere l’abbandono da una domanda giudiziale”, costituirebbe, senza dubbio, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, un’evidente ragione di addebito della separazione, ai sensi dell’art. 151 c.c., comma 2. A norma dell’art. 146 c.c., comma 2, invero, l’abbandono definitivo del tetto coniugale, da parte del marito, senza il previo deposito di una domanda giudiziale di separazione, o di annullamento, o di divorzio, integra per legge la violazione dell’obbligo di coabitazione, dalla quale non potrebbe non conseguire l’addebito della separazione.

1.2.3. Tali deduzioni in diritto della ricorrente sono fondate e meritano accoglimento.

1.2.4. La Corte territoriale ha affermato che l’abbandono del tetto coniugale da parte del marito era avvenuto dopo che il medesimo aveva confessato alla moglie di essersi innamorato di un’altra donna, e che tale fatto “oggettivo non contestato”, non sarebbe di per sè “valutabile come comportamento sufficiente a giustificare la pronuncia di addebito”. E ciò in quanto – a parere del giudice di appello – si dovrebbe “presumere che, a quel punto, dopo l’esternazione da parte del Valevi del venir meno dell’affectio maritalis e dell’interesse sentimentale verso altra persona e la presa d’atto da parte dei coniugi della situazione di crisi del rapporto coniugale, la prosecuzione della convivenza materiale fosse divenuta difficile da sopportare per entrambi e comunque inidonea a far venir meno la frattura del rapporto coniugale”.

1.2.5. Orbene, è evidente che l’assunto su cui si fonda la decisione impugnata è del tutto erroneo ed integra una palese violazione del disposto dell’art. 146 c.c., comma 2 e art. 151 c.c., comma 2. A norma della prima delle disposizioni suindicate, invero, solo il previo deposito della domanda di separazione, di annullamento, o di divorzio, costituisce “giusta causa di allontanamento dalla residenza coniugale”. Il coniuge che, per contro, vi si allontani, senza avere preventivamente provveduto al deposito di una delle domande suindicate incorre, pertanto, nella violazione dell’obbligo di coabitazione, sancito dell’art. 143 c.c., comma 2, da cui consegue inevitabilmente – in forza del chiaro disposto dell’art. 151 c.c., comma 2 – che ancora la pronuncia di addebito alla sussistenza in concreto di un comportamento di uno dei coniugi “contrario ai doveri che derivano dal matrimonio” – l’addebito della separazione al coniuge che, in concreto, si sia allontanato dal tetto coniugale.

1.2.6. Al riguardo, questa Corte ha, per vero, più volte affermato che il volontario abbandono della casa comune da parte di uno dei coniugi è causa di per sè sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l’onere incombe su chi ha posto in essere l’abbandono, che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto, anche se la domanda di separazione non sia stata già proposta (Cass., 08/05/2013, n. 10719; Cass., 15/12/2016, n. 25966; Cass., 15/01/2020, n. 648).

1.2.7. E’ di chiara evidenza, pertanto, che l’impugnata sentenza ha violato le disposizioni succitate, così come interpretate dalla giurisprudenza di questa Corte. Il giudice di appello ha, invero, ritenuto che il solo fatto dell’abbandono del tetto coniugale da parte del marito non possa costituire un elemento idoneo a fondare una pronuncia di addebito. E ciò sul presupposto che ben si potrebbe “presumere” che, a seguito della confessione del V., circa il venir meno dell’affectio maritalis e l’innamoramento nei confronti di un’altra donna, la prosecuzione della convivenza coniugale fosse divenuta difficile per entrambi i coniugi.

La statuizione della Corte territoriale, così come formulata, si pone, peraltro, in chiaro contrasto con il suesposto insegnamento di questa Corte, secondo cui l’abbandono del tetto coniugale è causa di per sè sufficiente di addebito della separazione, in quanto conduce all’impossibilità della convivenza, salvo che il coniuge che ha posto in essere l’abbandono “provi” che siffatta condotta è stata da lui posta in essere a cagione del comportamento dell’altro coniuge, ovvero in una situazione – ed a causa della stessa – di conclamata ed irreversibile crisi del rapporto coniugale.

1.2.8. Ebbene, non può revocarsi in dubbio che la suddetta prova liberatoria ben possa essere fornita anche sulla base di presunzioni, appartenendo anche queste ultime, al pari degli altri mezzi istruttori, al catalogo delle prove, contenuto nel Titolo II del libro VI del codice civile, idonee a fondare la decisione del giudice. E tuttavia, a norma degli artt. 2727-2729 c.c., la presunzione è un ragionamento di tipo induttivo che deve fondarsi su di un “fatto” noto dal quale si risale alla conoscenza di un fatto ignorato e, se più sono i fatti, essi devono essere gravi, precisi e concordanti. Solo in tal modo, invero, la “cognizione” del giudice si forma su elementi istruttori oggettivi, che gli consentano di inferire, da un dato fattuale noto, un fatto ignoto il cui accertamento sia decisivo per la risoluzione della controversia.

Una presunzione giuridicamente valida non può, dunque, fondarsi su dati meramente ipotetici, ma, trattandosi di una deduzione logica, deve essere desunta da fatti certi sulla base di massime di esperienza o dell'”id quod plerumque accidit”. Al contrario, la congettura è una mera supposizione che si ricava da fatti incerti in via di semplice ipotesi, e non è idonea a fondare un ragionamento presuntivo (Cass., 28/09/2020, n. 20342; Cass., 05/02/2014, n. 2632; Cass., 16/11/2005, n. 23079).

1.2.9. Nel caso concreto, la decisione impugnata, non si è fondata su di un “fatto” noto acquisito ai giudizio, bensì su di una mera congettura dell’organo giudicante, non basata su alcun dato di fatto certo, idoneo a comprovare che l’abbandono della casa coniugale da parte del marito – il quale, tra l’altro, secondo la stessa Corte d’appello, non aveva confessato alla moglie neppure l’esistenza di una relazione extraconiugale già in atto, bensì solo “di nutrire un sentimento affettivo verso un’altra donna” (p. 8) – fosse stato determinato dal comportamento della moglie, anche in reazione a tale confessione, ovvero dalla sussistenza di una già conclamata ed irreversibile frattura del rapporto coniugale.

1.3. La censura, nei limiti suesposti, deve, pertanto, essere accolta.

2. Ne deriva l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, con il quale la G. lamenta che il giudice di appello abbia posto a suo carico la prova rigorosa delle circostanze suindicate (adulterio, abbandono del tetto coniugale, ostentazione della nuova relazione), non contestate sostanzialmente dalla controparte, che si sarebbe limitata a cercare di giustificarle.

3. Con il terzo motivo di ricorso, G.A. denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.1. Deduce l’istante che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare “le osservazioni critiche alla consulenza d’ufficio formulate dall’appellante”, sia in sede di precisazione delle conclusioni che in altra udienza, nonchè i rilievi mossi dal consulente di parte alla bozza di consulenza ed allegate alla relazione peritale.

3.2. Il mezzo è inammissibile.

3.2.1. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012, introduce, invero, nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni ed allegazioni difensive (Cass., 14/06/2017, n. 14802; Cass., 18/10/2018, n. 26305; Cass., 06/09/2019, n. 22397), tre le quali è da ricomprendere la consulenza tecnica di parte (Cass., n. 26305/2018).

3.2.2. Nel caso concreto, per contro, la censura ha ad oggetto deduzioni difensive svolte in udienza e rilievi critici operati dal consulente di parte alla relazione dei consulente tecnico di ufficio, in massima parte riprodotti nel motivo di ricorso. Per il che il mezzo, men che evidenziare l’omesso esame di un fatto storico, nel senso suindicato, ha per oggetto la pretesa mancata considerazione di mere allegazioni difensive, il cui riesame non potrebbe, di certo, essere effettuato in questa sede.

4. L’accoglimento del primo motivo di ricorso, nei limiti suindicati, comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, e provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione; dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso ed inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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