Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11791 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. I, 05/05/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 05/05/2021), n.11791

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18497/2016 proposto da:

F.S., elettivamente domiciliata in Roma, Piazzale Clodio n.

12, presso lo studio dell’avvocato Musso Lucia Teresa, che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via della

Conciliazione n. 44, presso lo studio dell’avvocato Intrieri Cataldo

Domenico, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Russo

Gaetano, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione di

nuovo difensore;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3163/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/01/2021 dal Cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 16 maggio 2014, M.F. adiva la Corte d’appello di Roma, chiedendo dichiararsi efficace nella Repubblica Italiana la sentenza emessa dal Tribunale di Prima Istanza del Vicariato di Roma, in data 1 marzo 2012, confermata in appello con decreto del Tribunale Apostolico della Rota Romana, in data 11 marzo 2013, e resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con Decreto del 14 gennaio 2014, con la quale era stato dichiarato nullo il matrimonio concordatario contratto dal medesimo con F.S. in data (OMISSIS), trascritto nei registri dello Stato civile del Comune di Roma, “per incapacità per cause di natura psichica ad assumere gli oneri matrimoniali” da parte del marito.

2. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3163/2016, depositata il 19 maggio 2016, in accoglimento della domanda proposta dal M., dichiarava efficace nell’ordinamento italiano la sentenza ecclesiastica emessa dal Tribunale di Prima Istanza del Vicariato di Roma, in data 1 marzio 2012, confermata in appello con decreto del Tribunale Apostolico della Rota Romana, in data 11 marzo 2013, e resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con decreto del 14 gennaio 2014. La Corte territoriale riteneva decaduta la F. – tardivamente costituitasi in giudizio, in violazione dell’art. 166 c.p.c. – dalla facoltà di proporre l’eccezione in senso stretto, avente ad oggetto la convivenza dei coniugi protrattasi per oltre tre anni, quale situazione di ordine pubblico ostativa della delibazione. La Corte reputava altresì – sulla scorta dell’univoca giurisprudenza di legittimità – che il rilievo, da parte del giudice ecclesiastico, di un vizio psichico, comportante l’inettitudine del soggetto, al momento dell’espressione del consenso, a contrarre matrimonio, non si discostasse sostanzialmente dall’ipotesi di invalidità contemplata dall’art. 120 c.c.; sicchè il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica non trovava ostacolo in principi fondamentali dell’ordinamento italiano, e segnatamente nel principio dell’affidamento della controparte.

3. Per la cassazione della pronuncia di appello ha, quindi, proposto ricorso F.S. affidato a due motivi. Il resistente M.F. ha replicato con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – F.S. denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., art. 6 della CEDU e art. 166 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

1.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto preclusa, per intervenuta decadenza, l’eccezione dalla medesima proposta, con la quale la istante faceva valere la sussistenza di un impedimento alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio nell’ordinamento italiano, costituita dall’essersi la convivenza coniugale protratta, nella specie, per un periodo superiore al triennio (circa sette anni), secondo quanto stabilità dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la pronuncia del 14 luglio 2014, n. 16379. Ciò in quanto – ad avviso del giudice a quo – tale situazione di fatto della convivenza tra i coniugi costituirebbe, in conformità all’arresto nomofilattico succitato, materia di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, ma proponibile dalla parte convenuta solo nella comparsa di risposta depositata nel termine di venti giorni prima dell’udienza fissata nell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., comma 2.

1.2. Osserva, per contro, l’esponente che l’eccezione in parola la cui qualificazione come eccezione in senso stretto non è, peraltro, desumibile da alcuna disposizione di legge – sarebbe stata proposta nel primo atto difensivo del processo, ossia la comparsa di risposta, sebbene depositato oltre il termine previsto dall’art. 166 c.p.c.. E tuttavia, siffatta fattispecie di decadenza – diversa da quella che si verifica allorquando l’eccezione non venga neppure proposta nel primo atto difensivo – dovrebbe fruire della possibilità di rimessione in termini per effetto dall’overruling, verificatosi in conseguenza della menzionata decisione delle Sezioni Unite, che avrebbe innovato la giurisprudenza precedente in materia.

1.3. La Corte d’appello avrebbe, inoltre, erroneamente escluso che la delibazione della sentenza ecclesiastica fosse, nel caso concreto, impedita dalla violazione dei principi di buona fede e di affidamento, giacchè – al contrario di quanto ritenuto dalla Corte siffatti principi rientrerebbero nel concetto di ordine pubblico preclusivo della delibazione. Orbene, nel caso di specie, la odierna ricorrente non sarebbe stata in grado di conoscere il vizio psichico del marito, per il che sussisterebbe la necessità di tutelare il suo legittimo affidamento nella validità del matrimonio contratto.

2. Le censure – anche a prescindere dalla considerazione che il riferimento all’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione non corrisponde al nuovo modello di vizio introdotto dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – sono del tutto infondate.

2.1 Va osservato che la menzionata decisione delle Sezioni Unite ha affermato il principio secondo cui la convivenza “come coniugi”, quale elemento essenziale del “matrimonio-rapporto”, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di “ordine pubblico italiano” – la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, già affermati dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 18 del 1982 e n. 203 del 1989 ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del “matrimonio-atto”. La decisione ha, peraltro, contestualmente stabilito che la convivenza triennale “come coniugi”, quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima, è oggetto di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, nè opponibile dal coniuge, per la prima volta, nel giudizio di legittimità (Cass., n. 16379/2014).

L’indirizzo inaugurato dal succitato arresto nomofilattico è stato, dipoi, seguito da diverse altre decisioni – tutte nel senso che la situazione di convivenza triennale costituisce oggetto di un’eccezione in senso stretto – sicchè può ritenersi ormai consolidato (cfr., ex plurimis, Cass., 22/09/2015, n. 18695; Cass., 08/10/2018, n. 24729; Cass., 20/04/2020, n. 7923, che ha confermato la natura di eccezione in senso stretto anche con riferimento al caso di contumacia del convenuto).

2.2. Nè – a fronte di tale consolidato orientamento – vale a convincere del contrario, l’assunto della ricorrente, secondo la quale la natura di eccezione in senso stretto non sarebbe, nella specie, prevista da alcuna disposizione di legge e, quindi, non avrebbe dovuto considerarsi tale. Nel nostro ordinamento, invero, le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano, non soltanto in quelle eccezioni per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte, ma altresì in quelle eccezioni in cui il relativo fatto integratore corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico, richiede il tramite di una manifestazione di volontà della parte (Cass. Sez. U., 27/07/2005, n. 15661; Cass., 28/05/2019, n. 14515; Cass., 14/06/2018, n. 15591).

Ebbene – come dianzi detto la situazione di convivenza protratta oltre un triennio, costituente oggetto dell’eccezione in questione, costituisce una situazione caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima, che in quanto tali non possono che essere dedotti esclusivamente dalla parte interessata. In tale prospettiva, si è osservato che – essendo ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario la convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio, e non la semplice durata del matrimonio medesimo deve essere espressamente dedotta e provata (ex art. 2697 c.c., comma 2) nella fase di delibazione della sentenza ecclesiastica, da parte del soggetto interessato, ossia di colui che si opponga alla delibazione, l’effettiva convivenza dei coniugi nello stesso periodo (Cass., 15/06/2012, n. 9844).

2.3. Tanto premesso, dalla suesposta qualificazione giuridica dell’eccezione in parola discende che la stessa deve essere proposta dal convenuto, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, ai sensi dell’art. 167 c.c., comma 2, che deve essere depositata nel termine di venti giorni prima dell’udienza fissata nell’atto di citazione, a norma dell’art. 166 c.p.c.. Il combinato disposto delle due norme comporta che eventuali domande riconvenzionali ed eccezioni in senso stretto debbano essere proposte, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, sempre che questa venga depositata nel termine decadenziale di venti giorni prima dell’udienza fissata nell’atto di citazione.

Nè giova alla esponente – come correttamente rilevato dalla Corte d’appello – il fatto che, nel caso concreto, l’udienza fissata nell’atto di citazione fosse stata rinviata d’ufficio, a norma dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4. Ed invero, detto rinvio non determina la riapertura dei termini per il deposito della comparsa, poichè l’art. 166 c.p.c., coordinato con il successivo art. 167, contempla – quale ipotesi utili ad escludere la decadenza dalla proposizione della domanda riconvenzionale, o delle eccezioni in senso stretto – soltanto quella connessa al termine indicato nell’atto di citazione, ovvero, nel caso (non ricorrente nella specie) in cui abbia trovato applicazione l’art. 168 bis, comma 5, quella relativa alla data fissata dal giudice istruttore (Cass., 22/01/2015, n. 1127; Cass., 30/01/2017, n. 2299).

2.4. Di tanto mostra, peraltro, di essere consapevole la stessa odierna ricorrente, dal momento che nel motivo di ricorso ha dedotto che siffatta fattispecie di decadenza – che nel caso concreta si è prodotta, per essersi la medesima costituita oltre i venti giorni di cui all’art. 166 c.p.c. – dovrebbe fruire della possibilità di rimessione in termini per effetto dall'”overruling”, che – a suo dire si sarebbe verificato in conseguenza della menzionata decisione delle Sezioni Unite, innovativa della giurisprudenza precedente in materia. Tale assunto non può, tuttavia, essere condiviso.

2.4.1. Va, per vero, osservato che solo quando l'”overruling” si connoti del carattere dell’imprevedibilità (per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso), si giustifica una scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte risultante “ex post” non conforme alla corretta regola del processo) e l’effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare, con la conseguenza che in considerazione del bilanciamento dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del giusto processo (art. 111 Cost.), volto a tutelare l’effettività dei mezzi di azione e difesa anche attraverso la celebrazione di un giudizio che tenda, essenzialmente, alla decisione di merito – deve escludersi l’operatività della preclusione o della decadenza derivante dall'”overruling” nei confronti della parte. Sempre che questa abbia, tuttavia, confidato incolpevolmente ossia non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell’arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto – nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa (Cass. Sez. U., 11/07/2011, n. 15144; Cass., 27/12/2011, n. 28967; Cass., 17/05/2012, n. 7755; Cass., 11/03/2013, n. 5962; Cass., 15/02/2018, n. 3782).

2.4.2. Nel caso concreto, la decisione delle Sezioni unite n. 16379/2014, non soltanto era perfettamente conoscibile dalla odierna ricorrente – atteso che la pronuncia in parola è intervenuta a metà luglio 2014, mentre la costituzione in giudizio è avvenuta il 25 settembre 2014 – ma detta pronuncia era, in concreto, conosciuta dalla stessa ricorrente, atteso che la medesima ha dichiarato in ricorso di essersi attenuta al nuovo orientamento giurisprudenziale, “esponendo l’eccezione nel primo atto difensivo” (p. 5).

2.4.3. Va soggiunto, peraltro, che nel chiedere la rimessione in termini – la F. non ha neppure menzionato alcuna decisione di questa Corte – precedente la sentenza delle Sezioni Unite n. 16379/2014 – che abbia riconosciuto all’eccezione di convivenza ultra-triennale la natura di eccezione in senso lato, come tale rilevabile d’ufficio. Per converso, va osservato che l’affidamento qualificato in un consolidato indirizzo interpretativo di norme processuali, come tale meritevole di tutela con il “prospettive overruling”, è riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi della Suprema Corte, eventualmente a Sezioni Unite, i quali soltanto assumono il valore di “communis opinio” tra gli operatori del diritto, se connotati dai caratteri di costanza e ripetizione (Cass. Sez. U., 12/02/2019, n. 4135).

2.5. Deve, infine, ritenersi del tutto infondata la doglianza secondo cui la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso che la delibazione della sentenza ecclesiastica fosse, nel caso concreto, impedita dalla violazione dei principi di buona fede e di affidamento, giacchè – al contrario di quanto ritenuto dalla Corte – siffatti principi rientrerebbero nel concetto di ordine pubblico preclusivo della delibazione. E poichè, nel caso di specie, l’odierna ricorrente non sarebbe stata in grado di conoscere il vizio psichico del marito, sussisterebbe – a suo dire – la necessità di tutelare il suo legittimo affidamento nella validità del matrimonio contratto.

L’assunto è palesemente destituito di fondamento, dovendo, per contro, rilevarsi che, in tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso, le situazioni di vizio psichico assunte dal giudice ecclesiastico come comportanti inettitudine del soggetto, al momento della manifestazione del consenso, a contrarre il matrimonio non si discostano sostanzialmente dall’ipotesi d’invalidità contemplata dall’art. 120 c.c.; cosicchè è da escludere che il riconoscimento dell’efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo in principi fondamentali dell’ordinamento italiano. In particolare, tale contrasto non è ravvisabile sotto il profilo del difetto di tutela dell’affidamento della controparte, poichè, mentre in tema di contratti la disciplina generale dell’incapacità naturale dà rilievo alla buona o malafede dell’altra parte, tale aspetto è ignorato nella disciplina dell’incapacità naturale, quale causa d’invalidità del matrimonio, essendo in tal caso preminente l’esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico (Cass., 08/07/2009, n. 16051; Cass., 01/04/2015, n. 6611).

3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore del controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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