Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11790 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/06/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 18/06/2020), n.11790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8992-2019 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONELLO BEVILACQUA;

– ricorrente –

contro

L.L., C.P., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato BRUNO RODOLFO RUBERTO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2037/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 21/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

S.F. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro emessa nel contraddittorio con L.L. e C.P., in giudizio promosso dall’attore per negare la legittimità del passaggio esercitato dei convenuti su un proprio fondo e conclusosi con l’accertamento della esistenza di una servitù di passaggio a carico dello stesso fondo.

Il ricorso è proposto sulla base di due motivi.

L.L. e C.P. hanno resistito con controricorso. Il ricorso è stato fissato per la trattazione camerale dinanzi alla sesta sezione civile della Corte a seguito di proposta del relatore di manifesta infondatezza.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Il primo motivo denuncia vizio di costituzione del giudice.

Si denuncia che all’udienza collegiale è stata disposta la sostituzione del relatore, tuttavia il relativo verbale era carente della firma del presidente del collegio. Si assume inoltre che le modalità della sostituzione non garantivano la certezza che i magistrati menzionati nel provvedimento”, tali R. e C.”, fossero giudici “di pari funzione e competenza appartenenti al medesimo ufficio”.

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 949 e 1062 c.c..

Il tribunale ha confermato la sentenza di primo grado, senza confrontarsi con il percorso argomentativo dell’appellante, in pratica omettendo la valutazione dei motivi di impugnazione.

Il primo motivo è infondato.

Il verbale è atto del segretario e, pertanto, l’omessa sottoscrizione del presidente del collegio giudicante non costituisce nullità insanabile (Cass. n. 15553/2009), nè la nullità può farsi discendere dalle modalità con le quali è stata disposta la sostituzione del relatore, che può anche risultare da semplice annotazione nel verbale di udienza (Cass. n. 7285/2018).

Nella memoria il ricorrente evidenzia che il verbale, nel caso in esame, non è stato sottoscritto neanche dal cancelliere. Il rilievo non apporta argomento per una considerazione del motivo diversa da quello prefigurato nella proposta del relatore. E’ stato chiarito che

l’omessa sottoscrizione del verbale da parte giudice e

del cancelliere stesso non comportano l’inesistenza o la nullità dell’atto, in quanto la funzione del cancelliere ha soltanto natura integrativa di quella del giudice e le predette mancanze non incidono sull’idoneità dell’atto al concreto raggiungimento degli scopi cui è destinato (Cass. n. 9389/2007).

In termini ancora più generali è stato riconosciuto che il difetto di sottoscrizione del verbale di udienza di discussione della causa, da parte del giudice e del cancelliere, non determina la nullità della sentenza se la mancanza di tali firme non ha pregiudicato o influito in alcun modo su quest’ ultima, trovando applicazione anche in questo caso l’art. 159 c.p.c. a norma del quale la nullità di un atto non comporta quella dei successivi che ne sono indipendenti (Cass. n. 2820/1999; n. 9411/1992).

Il secondo motivo è infondato.

La corte d’appello, nel condividere la valutazione del primo giudice, dopo avere richiamato e identificato i motivi di appello nella parte espositiva della sentenza, li ha confutati, richiamando innanzitutto i presupposti normativi della costituzione della servitù per destinazione. Quindi, tramite il richiamo della consulenza tecnica e delle deposizioni testimoniali, ha riconosciuto l’esistenza della relazione di servizio fra i fondi al momento dell’alienazione.

In rapporto a tale ricostruzione, che di per sè non rileva errori logici o giuridici, il ricorrente censura la sentenza perchè i giudici d’appello non avrebbero valutato la – giustezza dei motivi dell’impugnazione”, depositando un provvedimento privo di – pertinente e valida motivazione, riferibile ai motivi d’appello, violando quindi il precetto costituzionale sulla necessità che i provvedimenti giurisdizionali siano motivati e violando inoltre le norme degli arti. 949 e 1062 per la falsa applicazione di norme di diritto e per avere omesso l’esame di fatti decisivi, fatti che erano e sono ampiamente specificati nell’atto di appello e nella comparsa conclusionale, il cui contenuto deve intendersi qui interamente riportato e trascritto a completezza della esposizione sommaria dei fatti di causa”.

Il ricorrente, nel proporre una censura così congegnata, non tiene conto degli insegnamenti della Suprema Corte secondo i quali “i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa. Invero, il ricorrente ha l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutimi della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito in esame non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello, una tale modalità di formulazione del motivo rendendo impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione” (Cass. n. 1479/2018; n. 10420/2005). In particolare, nel dedurre la violazione di legge, il ricorrente deve chiaramente indicare l’errore nella ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge” (Cass. n. 26110/2015), – dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata e di assolvere, così, il compito istituzionale di verificare il fondamento della suddetta violazione” (Cass. n. 1306672007).

Analogamente, nel dedurre l’omesso esame di fatto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente non può esimersi dalla indicare in primo luogo il fatto a cui riferisce l’omissione e la sua idoneità a giustificare una decisione diversa da quella assunta (Cass., S.U., n. 8053/2014; n. 9253/2017; n. 27415/2018).

Nulla di tutto questo si ritrova nel motivo così come formulato dal ricorrente, nel quale la identificazione della violazione in cui è incorsa la decisione è fatta dipendere dal confronto fra il suo contenuto con l’atto di appello e la comparsa conclusionale. In questo modo, peraltro, il ricorrente incorre in una ulteriore violazione dei principi in tema di ricorso per cassazione: “L’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), qualunque sia il tipo di errore (in procedendo” o in indicando) per cui è proposto, non può essere assolto per relationem con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sè, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata” (Cass. n. 11984/2011).

Il ricorso, pertanto, va rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del

15%, agli esborsi liquidati in 200,00 e agli accessori di legge;

dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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