Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11789 del 14/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 14/05/2010, (ud. 17/02/2010, dep. 14/05/2010), n.11789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 12212 R.G. 2005 proposto da:

O.A., O.I., rappresentati e difesi, con

procura a margine del ricorso, dagli avvocati FERRARI Riccardo e

Benito P. PANARITI, domiciliatario in Roma, alla Via Celimontana 38;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI TORRI DEL BENACO, in persona del Sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso, con procura a margine del controricorso,

dall’avv. FONTANA Giovanni, domiciliatario in Roma, alla Piazza

Mignanelli 3;

AGENZIA DEL TERRITORIO, rappresentata e difesa per legge

dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma alla Via

dei Portoghesi 12;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale del Veneto, Sezione distaccata di Verona, in data 26 maggio

2004, depositata col n. 32/21/04, il 6 ottobre 2004.

Udita la relazione della causa del Cons. Dott. Polichetti;

sentiti gli avvocati, delegati, Domenico Calvetta per i ricorrenti, e

Roberto Pierro per il Comune controricorrente;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

di ricorso e l’inammissibilità degli altri.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Torri del Benaco, sulla base della maggiore rendita catastale attribuita ad un immobile di pertinenza di O. G. – frattanto venuto a morte – recuperò, con avvisi di liquidazione notificati il 26-27 giugno 2002, la maggiore imposta comunale sugli immobili (ICI) relativa agli anni 1997 e 1998 nei confronti degli eredi A. ed O.I..

I contribuenti impugnarono sia il classamento, con attribuzione di nuova rendita, sia la liquidazione dell’ICI, rispettivamente nei confronti dell’Agenzia del territorio, Ufficio di Verona, e del Comune di Torri del Benaco, “eccependone – come si legge nella sentenza ora impugnata – la nullità rispettivamente per contrasto con le disposizioni sullo statuto del contribuente che vietano la retroattività delle disposizioni tributarie e per difetto di motivazione quanto alla determinazione della rendita”.

La Commissione tributaria provinciale, riuniti i ricorsi, li disattese, affermando la tardività di quelli proposti contro il classamento, e la legittimità dei recuperi dell’ICI (senza comminatoria di sanzioni).

La Commissione tributaria regionale, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il gravame dei contribuenti, ribadendo l’inammissibilità, per tardività, dei ricorsi contro l’Agenzia e la correttezza dei recuperi ad opera del Comune.

Ricorrono i contribuenti, con quattro motivi; l’Agenzia e l’Ente locale resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorrenti muovono le censure che seguono.

A) “Illegittimità della sentenza impugnata quanto alla conferma della inammissibilità dei ricorsi contro l’attribuzione della rendita catastale: per errata affermazione della inoppugnabilità della stessa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in violazione degli artt. 137 c.p.c. e segg.”: la sentenza viene così censurata là dove, confermando la decisione appellata, ha ritenuto rituale la notifica del discusso classamento, il data 13 febbraio 1990, al geometra T.D., tecnico delegato, in assenza di ogni dimostrazione dell’esistenza e, comunque, della validità di tale delega che, per giunta, sarebbe stata conferita dall’ex comproprietario O.A., essendone rimasto estraneo il dante causa dei contribuenti, all’epoca della notifica unico proprietario.

B) “Illegittimità della sentenza impugnata quanto alla conferma dell’inammissibilità dei ricorsi contro l’attribuzione della rendita catastale: per insufficienza della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”: la stessa erronea conclusione sarebbe ulteriormente affetta da vizio di motivazione, perchè “nell’atto ritirato dal geom. T. nel 1990 la classe attribuita all’immobile è la 3^ mentre la rendita notificata con gli avvisi di liquidazione impugnati risulta dall’attribuzione all’immobile della classe 2^”; al riguardo manca ogni accenno nella sentenza impugnata, che non considera in alcun modo il puntuale richiamo dei ricorrenti alla L. n. 342 del 2000, art. 74.

C) “Illegittimità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sul punto della illegittimità della rendita catastale assunta per l’applicazione dell’ICI, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: per omessa motivazione quanto al provvedimento di determinazione della rendita”: la motivazione della maggiore rendita attribuita all’immobile andava, sia pure succintamente, manifestata dall’Agenzia (allora: U.T.E.), a mente della L. n. 212 del 2000, art. 7 (statuto del contribuente); e, pur a voler condividere l’inammissibilità dei ricorsi contro la stessa Agenzia, l’atto di attribuzione avrebbe dovuto essere “riprodotto e allegato” agli avvisi di liquidazione dell’ICI, ai sensi del D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 6, che ha aggiunto il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2 bis.

D) “illegittimità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sul punto della illegittimità della rendita catastale assunta per l’applicazione dell’ICI, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: per omessa motivazione quanto alla differenza di importo tra la rendita applicata e quella ritenuta notificata”: riprendendo in parte la seconda censura, i ricorrenti si dolgono della non corrispondenza della rendita del 1990, assunta a parametro per il computo dell’ICI, che ne sarebbe risultata sensibilmente maggiore rispetto al dovuto.

Il ricorso non può essere accolto.

Il primo motivo, anche se riferito a materia presa esame nella sentenza impugnata, risulta estraneo al contenuto del ricorso introduttivo, quando si consideri il riferimento ad esso nella sentenza impugnata, riprodotto nel medesimo atto di impugnazione odierno, là dove (p. 2) si legge che “i ricorrenti impugnavano tempestivamente sia gli avvisi di liquidazione sia l’attribuzione della rendita catastale, eccependone la nullità per contrasto con le norme dello Statuto del contribuente che vietano la retroattività delle disposizioni tributarie nonchè per difetto di motivazione quanto alla determinazione della rendita catastale; eccepivano infine l’incongruità della rendita attribuita”. L’introduzione della questione relativa alla (ritualità della) notifica del classamento solo con l’atto di appello appare confermata, del resto, nella decisione impugnata, quando si espone che “presentano appello i contribuenti ritenendo, per quanto riguarda l’attribuzione della rendita, la notifica irritale perchè notificata presso lo studio del Geom. T., etc.”.

La censura era dunque inammissibile, in quanto non dedotta col ricorso introduttivo, e, perciò, contrastante con il carattere impugnatorio del processo tributario, che rafforza, in tale processo, il divieto di nova in appello (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57). Tale inammissibilità, dovendo essere rilevata d’ufficio dal giudice del gravame, rende a sua volta inammissibili le censure alla diversa soluzione adottata dallo stesso giudice – quanto alla ritenuta ritualità della (tardivamente) contestata notifica.

Il secondo motivo è esso pure inammissibile.

Anche se riferita alla stessa attribuzione di rendita, la censura denuncia, in realtà, un contrasto tra classamento ed avviso di liquidazione dell’ICI, nel senso di una non corrispondenza delle classi attribuite al fabbricato nel primo e nel secondo atto. Si tratta di censura completamente priva di autosufficienza, poichè – in mancanza di riscontro della questione nella sentenza impugnata – i ricorrenti non indicano in quale atto essa sia stata prospettata e ad ogni modo non offrono elementi di valutazione sul carattere decisivo del vizio, dedotto come motivazione insufficiente.

Il terzo motivo è, ancora una volta, inammissibile.

Sotto un primo profilo i ricorrenti lamentano l’omessa pronunzia circa il difetto di motivazione dell’atto attributivo della rendita.

Anche questa censura difetta della necessaria autosufficienza, ove si consideri che i contribuenti, lungi dal riportare il contenuto dell’atto stesso, richiamano un passo della motivazione di Corte Cost. 296/1988, nella quale, tuttavia, sì legge pure che “l’obbligo di motivazione deve ritenersi osservato anche mediante la semplice indicazione della consistenza, della categoria e della classe, trattandosi di dati sufficienti a porre il contribuente nella condizione di difendersi”. L’assolvimento dell’onere di specificazione era tanto più necessario a fronte della deduzione di controparte – risultante dalla sentenza impugnata -, secondo cui “l’immobile in questione era una villa fronte lago con 4 camere, 4 stanze, soggiorno, 7 bagni ed accessori vari”, onde era stato classificato in categoria (OMISSIS).

Proseguendo nelle proprie doglianze, sostengono i contribuenti che analogo vizio involgerebbe gli avvisi di liquidazione, per non avere l’ente locale assolto l’onere di allegare l’atto richiamato, salvo che non ne risulti riprodotto il contenuto essenziale, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2 bis, introdotto con il D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 6. Ancora una volta si è in presenza di (un profilo di) censura non autosufficiente in quanto: non si indica l’atto processuale nel quale la questione – essa pure non affrontata in sentenza – sarebbe stata posta, nè, peraltro, si riproduce il contenuto degli atti la cui legittimità viene posta in discussione.

Ancor più evidente è l’analoga carenza che inficia l’ultimo motivo.

In esso, riecheggiandosi l’altrettanto inammissibile seconda censura, si prospettano dei calcoli sulla base della rendita attribuita (indicata senza riproduzione del relativo atto, come si è già osservato), per giungere alla conclusione di un importo indebitamente maggiorato dell’ICI, senza tuttavia riprodurre nemmeno il contenuto degli avvisi di liquidazione. Tale (doppia) carenza di riscontri – che un improprio richiamo a quanto “dettagliatamente dimostrato nelle memorie illustrative depositate in data 13 maggio 2004” (ricorso, p. 12) non vale certo a superare – non consente alcuna verifica nemmeno in ordine all’ultima doglianza.

Il ricorso va, in definitiva, respinto, con onere delle spese gravante, in solido, sui ricorrenti, nei confronti di entrambe le parti intimate.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.200,00 in favore del Comune di Torri del Benaco e di complessivi Euro 1.200,00 in favore dell’Agenzia del Territorio, di cui Euro 200,00 per esborsi di ciascuna parte, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2010

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