Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11788 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. I, 05/05/2021, (ud. 22/01/2021, dep. 05/05/2021), n.11788

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18357/2016 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliata in Roma, in via Piero

Foscari n. 40, presso lo studio dell’avvocato Colaiacovo Vincenzo,

che la rappresenta e difende, con procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.M., elettivamente domiciliato in Roma, in via Luigi

Luciani n. 1, presso lo studio dell’avvocato Carleo Roberto,

rappresentato e difeso dall’avvocato Verini Claudio, con procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 30/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 07/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/01/2021 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Il Tribunale di Sulmona, dichiarata con sentenza parziale emessa l’8.1.14 la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra S.M. e P.A. in data (OMISSIS), con sentenza emessa il 10.12.13 dispose a carico del S. l’obbligo di versamento delle somme mensili di Euro 300,00 a titolo di assegno divorzile, all’ex-moglie, e di Euro 400,00 a titolo di mantenimento della figlia V..

Il S. propose appello, censurando il capo della sentenza che pose a suo carico il mantenimento dell’ex-moglie, sostenendo la scarsità dei propri mezzi economici a fronte del sensibile miglioramento della condizione economica della P., la quale conviveva, dal (OMISSIS), con un collega assistente di polizia penitenziaria, titolare di un reddito superiore al proprio (in quanto l’appellante, pensionato, non disponeva più delle indennità correlate al rapporto lavorativo), e lamentando che la Corte territoriale non aveva tenuto conto degli immobili intestati all’appellata e delle cessioni volontarie del quinto dello stipendio a garanzia dell’iscrizione universitaria della figlia.

Con sentenza emessa il 7.1.16, la Corte d’appello di L’Aquila accolse l’appello e, in parziale riforma della sentenza impugnata, revocò l’assegno divorzile, osservando che: era stata provata la stabile convivenza della P. con altro soggetto (tale B. che svolgeva la stessa attività lavorativa dell’appellante, percependo però le indennità di servizio), come desumibile dall’atto d’appello della ex moglie nella causa di separazione personale, dal certificato di stato di famiglia del (OMISSIS) e dalla decisione dell’appellata di abbandonare la propria casa familiare per trasferirsi, nel (OMISSIS), in una nuova abitazione di sua proprietà esclusiva; al riguardo, non erano ammissibili le certificazioni prodotte tardivamente in sede di precisazione delle conclusioni in appello; il giudice di primo grado non aveva tenuto conto dell’effetto preclusivo che una stabile convivenza more uxorio deve produrre sull’obbligo di pagamento dell’assegno di mantenimento, essendo indubbio il miglioramento delle condizioni economiche della ex-moglie a seguito del nuovo rapporto affettivo; pertanto, l’appellante aveva dimostrato – allegando la situazione patrimoniale dell’appellata la quale, a suo dire, non si era attivata negli anni per la ricerca di una nuova attività lavorativa, e quella lavorativa del suo convivente – la sostanziale equipollenza tra il tenore di vita goduto dalla ex-moglie per il protrarsi da diversi anni della convivenza more uxorio e quello goduto in costanza di matrimonio.

P.A. ricorre in cassazione con cinque motivi.

Resiste S.M. con controricorso.

Diritto

RITENUTO

Che:

Il primo motivo denunzia la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 10, avendo la Corte territoriale equiparato il rapporto matrimoniale alla convivenza more uxorio, omettendo di considerare che le certificazioni prodotte in appello escludevano la residenza nello stesso nucleo familiare della ricorrente e del nuovo compagno. Al riguardo, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia affermato il principio secondo il quale la situazione in cui il coniuge divorziato abbia costituito una nuova famiglia, ancorchè di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicchè il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso, poichè la formazione di una famiglia di fatto costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost., come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo (richiamando in tal senso, Cass., n. 6855/15; n. 17195/11).

Il secondo motivo denunzia la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 e della L. n. 898 del 1970, art. 4, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto inammissibili i documenti depositati in sede di precisazione delle conclusioni, poichè riguardanti fatti insorti dopo la sentenza di primo grado (la convivenza more uxorio).

Il terzo motivo denunzia la violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto il giudice di secondo grado ha revocato l’assegno divorzile pur essendo mancata la prova, che incombeva sull’ex-coniuge onerato, che la convivenza stessa avesse influito in meglio sulle condizioni economiche dell’avente diritto.

Il quarto motivo denunzia l’omesso esame di un punto decisivo della controversia, non avendo la Corte territoriale esaminato se gli immobili di sua proprietà fossero o meno produttivi di reddito, non tenendo conto, peraltro, del fatto che uno degli immobili era stabilmente occupato dalla figlia e, in tal senso, la ricorrente apportava così il suo contributo al mantenimento di quest’ultima.

Il quinto motivo deduce l’omesso esame di un punto decisivo della controversia, in ordine alla non contestazione della convivenza, avendo il giudice di primo grado ammesso l’interrogatorio formale deferito alla ricorrente la quale aveva negato di convivere con altra persona.

Il primo motivo è inammissibile.

Va osservato che la ricorrente ha declinato il motivo in questione attraverso due diverse doglianze accomunate dalla prospettazione della violazione di legge, in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 10; in particolare, la ricorrente si duole, in primo luogo, che la Corte territoriale abbia violato la suddetta norma equiparando il rapporto matrimoniale alla convivenza more uxorio in ordine al venir meno dell’obbligo di pagamento dell’assegno divorzile, lamentando nel contempo che la stessa Corte avrebbe dovuto verificare se i documenti prodotti escludessero la residenza della P. e del nuovo compagno nella medesima residenza.

Ora, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio (Cass., n. 19443/11; n. 26874/18).

Nel caso concreto, come detto, la ricorrente formula un unico motivo che però sovrappone censure del tutto eterogenee, quali la violazione della L. n. 890 del 1970, art. 5, comma 10, che appunto presupporrebbe l’accertamento dei fatti afferenti alla dedotta violazione, e l’omesso esame dei documenti prodotti, che s’assume decisivi, che invece postula una carenza di motivazione su un punto decisivo della causa. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle due censure mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze della ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass., n. 26874/18).

Inoltre, occorre evidenziare che il motivo in esame non attinge l’altra ratio decidendi afferente alle migliorate condizioni economiche della stessa ricorrente, a seguito del nuovo rapporto affettivo, emergendo dunque un ulteriore profilo d’inammissibilità del motivo.

Gli altri motivi, in quanto connessi alla medesima questione oggetto del primo motivo, sotto il profilo delle critiche relative alle valutazioni delle prove dei presupposti dell’obbligo di mantenimento a seguito del nuovo rapporto di convivenza, sono da considerare logicamente assorbiti dall’inammissibilità del primo.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo ricorso, assorbiti gli altri, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 3200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Dispone che in caso di pubblicazione dell’ordinanza siano oscurati i dati personali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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