Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11787 del 12/05/2017

Cassazione civile, sez. III, 12/05/2017, (ud. 22/03/2017, dep.12/05/2017),  n. 11787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10932-2015 proposto da:

COMUNE DI CARDETO, in persona del Sindaco e l.r.p.t. Dott.

F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VIRGINIO ORSINI 19,

presso lo studio dell’avvocato RESEARCH STUDIO LEGALE, rappresentato

e difeso dall’avvocato MARIA GRAZIA BOTTARI giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE CALABRIA, in persona del suo legale rappresentante p.t.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 61, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA TOSCANO, rappresentata e difesa

dall’avvocato MICHELE RAUSEI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 313/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 19/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO SPAZIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato CARMINE DI ZENZO per delega;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MARIA TOSCANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La S.A.T. (Società Alberghiera Turistica) s.r.l. – premesso che con decreto prefettizio erano stati requisiti i locali del (OMISSIS), di sua proprietà, per essere assegnati ai cittadini del Comune di Cardeto le cui abitazioni erano state dichiarate inagibili a causa delle alluvioni verificatesi nel periodo dicembre 1972-gennaio 1973; che l’occupazione si era protratta anche dopo la perdita di efficacia del provvedimento ablatorio in seguito alla scadenza dell’ultimo provvedimento di proroga (31 dicembre 1983); che sino a tale data la Regione Calabria aveva regolarmente provveduto a corrispondere (indennità di requisizione; e che erano stati introdotti separati giudizi per ottenere il pagamento dell’indennità di indebita occupazione sino al 31 gennaio 1989 – citò il Comune di Cardeto e la Regione Calabria dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria chiedendone la condanna al pagamento della predetta indennità con riguardo al periodo successivo al 31 gennaio 1989, al risarcimento del danno arrecato agli immobili dagli occupanti e del pregiudizio da mancato guadagno, nonchè, infine, al rimborso delle somme pagate per la fornitura di energia elettrica.

Il Tribunale rigettò le domande proposte nei confronti della Regione ed accolse quelle formulate nei confronti del Comune, condannandolo a pagare alla S.A.T. s.r.l. la somma complessiva di Euro 675.211,867, oltre accessori.

La Corte di Appello di Reggio Calabria, confermando integralmente la pronuncia di primo grado, ha rigettato sia l’appello principale del Comune (con cui l’ente territoriale, per un verso, aveva ribadito l’eccezione di difetto di legittimazione passiva in relazione a tutte le domande formulate dalla società, indicando nella Regione il soggetto titolare, dal lato passivo, delle obbligazioni dedotte in giudizio; e, per altro verso, aveva censurato la statuizione di condanna al risarcimento del danno) sia l’appello incidentale della S.A.T. s.r.l., con cui erano state ribadite le domande proposte nei confronti della Regione ed era stata contestata la quantificazione del danno operata dal primo giudice nei confronti del Comune, reputata insufficiente.

Con specifico riguardo all’appello principale proposto dal Comune (unica parte della pronuncia ancora rilevante in questa sede) la Corte reggina ha deciso sulla base dei seguenti rilievi:

– mentre l’obbligazione di corrispondere l’indennità di requisizione durante il periodo di efficacia del provvedimento ablatorio gravava sulla Regione Calabria (che vi aveva debitamente provveduto) in qualità di soggetto pubblico espressamente individuato nel decreto prefettizio al fine di sostenere gli oneri economici correlati alla temporanea ablazione della proprietà privata, la diversa obbligazione di corrispondere l’indennità per l’occupazione sine titulo relativa al periodo successivo alla scadenza degli effetti del provvedimento amministrativo e di risarcire il danno emergente e il lucro cessante conseguiti all’occupazione medesima, doveva ritenersi a carico del Comune di Cardeto, in quanto trovava il suo fondamento, non già in un provvedimento amministrativo ormai non più efficace, ma nella responsabilità aquiliana del Comune, quale ente esponenziale della collettività locale cui faceva capo l’interesse che la requisizione aveva inteso soddisfare, e che aveva indebitamente omesso di restituire alla proprietaria gli immobili requisiti alla scadenza degli effetti del decreto di requisizione;

– la responsabilità del Comune non veniva meno per il solo fatto, rimarcato dall’appellante, che esso avesse comunicato alle altre autorità, con nota del 14 dicembre 1987, che i cittadini ospitati presso la struttura alberghiera si sarebbero trasferiti in altri alloggi dal 31 dicembre successivo (con la conseguenza che da tale data il Prefetto e la Regione avrebbero potuto procedere alla restituzione della struttura medesima), atteso che all’obbligazione restitutoria il Comune era tenuto direttamente, in qualità di ente beneficiario della requisizione, ed avrebbe quindi dovuto personalmente procedere alla restituzione dei cespiti occupati alla società proprietaria, dopo il trasferimento della popolazione ivi ospitata;

– la liquidazione del danno cagionato dagli occupanti agli immobili occupati (in relazione al quale la responsabilità del Comune – come ente esponenziale degli interessi della cittadinanza beneficiaria della requisizione – non era esclusa dalla circostanza che la società proprietaria avesse approntato durante l’occupazione un servizio di guardiania) e del mancato guadagno conseguito all’impossibilità di svolgere l’attività alberghiera, era stata effettuata dal Tribunale sulla base delle condivisibili conclusioni dei consulenti tecnici nominati, che avevano tenuto conto, quanto al danno emergente, delle concrete condizioni di degrado, non riconducibili all’ordinaria usura o a difetti di costruzione, in cui versavano gli immobili dopo essere stati rilasciati dagli occupanti e, quanto al lucro cessante, degli esiti degli studi di settore elaborati dal Ministero delle Finanze, da reputarsi validi indici presuntivi.

Avverso la pronuncia della Corte reggina, il Comune di Cardeto propone ricorso per cassazione, sorretto da otto motivi. Risponde con controricorso la Regione Calabria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (“violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 100 c.p.c. per difetto di legittimazione del Comune di Cardeto in ordine al pagamento dell’indennità di occupazione (art. 360 c.p.c., n. 3”), il ricorrente deduce l’omessa pronuncia della sentenza impugnata sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva da esso sollevata in relazione alla domanda avente ad oggetto il pagamento dell’indennità di occupazione. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto il gravame limitato alla statuizione di condanna al risarcimento del danno omettendo di considerare che era stata chiesta la riforma della sentenza del Tribunale sul presupposto del difetto di legittimazione passiva del Comune in ordine a tutte le domande proposte dalla S.A.T. s.r.l.

2. Con il secondo motivo (“violazione dell’art. 100 c.p.c. per difetto di legittimazione passiva del Comune di Cardeto in relazione alla restituzione dell’albergo (art. 360 c.p.c., n. 3”), il ricorrente, contraddicendo parzialmente le deduzioni formulate con il motivo precedente, censura la sentenza impugnata per avere rigettato la predetta eccezione di difetto di legittimazione passiva sul presupposto, da ritenersi erroneo, della sussistenza di un obbligo di restituzione degli immobili in capo al Comune. Sostiene che, poichè il decreto di requisizione era stato emesso dal Prefetto su domanda della Regione (che ne aveva assunto l’onere finanziario), l’obbligo di restituire i beni requisiti alla scadenza del provvedimento ablatorio gravava unicamente su questi due enti, quali soggetti pubblici che avevano avuto rapporti con la società proprietaria. Deduce, in particolare, che al Prefetto, quale organo che aveva formalmente adottato il provvedimento di requisizione, sarebbe spettato il compito di adottare il contrario provvedimento di derequisizione; mentre alla Regione, quale soggetto pubblico che aveva provveduto al pagamento dell’indennità di requisizione, sarebbe spettato il compito di provvedere alla formale restituzione dei beni. Conclude che, in tale prospettiva, nessun giudizio di responsabilità avrebbe potuto muoversi al Comune, semplice detentore nomine alieno, il quale, tra l’altro, con lettera del 14 dicembre 1987, aveva comunicato alla Regione e al Prefetto di Reggio Calabria che il complesso alberghiero sarebbe stato liberato entro la fine dell’anno, mettendoli in condizione di esercitare i poteri di derequisizione e di restituzione già dal 1 gennaio 1988.

3. Con il terzo motivo (“omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5”) il ricorrente, sempre con riguardo all’eccezione di difetto di legittimazione passiva, rileva come la Corte di merito avrebbe omesso di esaminare le circostanze decisive che le domande risarcitorie formulate dalla S.A.T. s.r.l. si riferivano al periodo successivo al 31 gennaio 1989 (e cioè ad un periodo in cui l’occupazione era cessata, per essere stato l’immobile già precedentemente liberato) e che la società proprietaria aveva sempre conservato la custodia dei beni, sicchè non poteva contestarsi al Comune la mancata riconsegna degli stessi.

4. Con il quarto motivo (“violazione dell’art. 1588 c.c. in relazione all’art. 100 c.p.c. per difetto di legittimazione passiva del Comune di Cardeto in relazione alle domande risarcitorie (art. 360 c.p.c., n. 3”), il ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia applicato analogicamente alla fattispecie la disciplina prevista dall’art. 1588 c.c., comma 2, in tema di responsabilità del conduttore per i danni cagionati alla cosa dalle persone ammesse al suo uso o godimento. Deduce che, in applicazione di questa regola, il soggetto responsabile del danno arrecato al complesso alberghiero avrebbe dovuto essere individuato nella Regione, quale soggetto che, avendo domandato al Prefetto di emettere il decreto di requisizione ed avendone assunto l’onere economico, aveva acquisito nei confronti dei cittadini beneficiari la medesima posizione assunta dal conduttore nei confronti delle persone che egli ammette, anche temporaneamente, all’uso o al godimento della cosa.

5. I primi quattro motivi di ricorso devono essere congiuntamente esaminati in quanto attengono al medesimo profilo riproponendo, sia pure in maniera parzialmente contraddittoria (il secondo, il terzo e il quarto motivo censurano in sostanza la sentenza impugnata per aver rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Comune in relazione a tutte le domande proposte contro di esso, mentre il primo motivo deduce l’omessa pronuncia in ordine alla medesima eccezione concernente la sola domanda di pagamento dell’indennità di occupazione sine titulo) la questione se la legittimazione passiva in ordine alle domande formulate dalla S.A.T. s.r.l. spettasse al Comune di Cardeto o alla Regione Calabria.

Essi sono infondati.

La Corte di Appello ha correttamente escluso la legittimazione passiva della Regione ed ha correttamente affermato quella del Comune conformandosi al consolidato orientamento di questa Corte, la quale ha ripetutamente affermato che il proprietario di un’area soggetta a requisizione ha diritto, una volta divenuto inefficace per scadenza del termine il relativo provvedimento, e protraendosi l’occupazione dell’immobile anche dopo la scadenza, ad agire per il risarcimento del danno nei confronti del Comune, che è legittimato passivo quale materiale detentore ed utilizzatore sine titulo dell’area ed autore dell’illecito risarcibile, e sul quale grava il dovere di custodia e la conseguente responsabilità, senza che assuma rilievo l’individuazione del soggetto tenuto alla corresponsione dell’indennizzo dovuto al proprietario medesimo per il periodo di efficacia della requisizione (Cass. 05/05/2004, n. 8557; Cass. 08/04/2003, n. 5462; Cass. 10/05/1996, n. 4416; v. anche Cass. 03/12/1993, n. 12022).

Facendo applicazione di questi principi la Corte di Appello, confermando integralmente la sentenza del tribunale, ha correttamente ritenuto che, mentre la Regione aveva debitamente provveduto, per tutto il periodo in cui il provvedimento di requisizione era rimasto efficace, all’adempimento dell’obbligazione indennitaria che trovava titolo nel predetto provvedimento (e che costituiva espressione della c.d. responsabilità da atto lecito della pubblica amministrazione), la diversa obbligazione di corrispondere l’indennità di occupazione per il periodo successivo alla cessazione di efficacia del provvedimento ablatorio (non diversamente da quella di risarcimento del danno conseguito all’occupazione medesima), avendo natura risarcitoria e trovando titolo nell’illecito aquiliano consistente nella occupazione degli immobili ormai priva di titolo, dovesse gravare sul Comune, quale materiale detentore ed utilizzatore dei beni, nonchè titolare dell’obbligo di restituzione, rimasto inadempiuto.

Di fronte a tali argomentazioni il ricorrente, oltre a contrapporre le deduzioni sopra riportate nell’illustrazione dei motivi, ha richiamato la diversa giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’obbligo di corresponsione al proprietario dell’indennità di requisizione fino alla data di restituzione dell’alloggio, disposta, in qualità di Commissario straordinario del Governo, dal Sindaco di un Comune interessato dal sisma del 1980, ai sensi del D.L. 26 novembre 1980, n. 776, art. 3 resta in capo all’amministrazione statale che la requisizione abbia disposto (Cass. 01/03/2012, n. 3217; Cass. 25/02/2009, n.4481; Cass. 06/12/2007, n. 25437; v. anche, più recentemente, Cass. 12/11/2014, n. 24166).

Il richiamo tuttavia non è pertinente in quanto le pronunce che ne formano oggetto si riferiscono tutte a provvedimenti di requisizione emessi nell’ambito della speciale procedura disciplinata dal D.L. 26 novembre 1980, n. 776, art. 3 convertito, con modificazioni, nella L. 22 dicembre 1980, n. 874, il quale, con specifico riferimento alle esigenze di sistemazione di coloro che erano rimasti privi di abitazione a seguito degli eventi sismici del 1980, attribuiva il potere di requisizione di idonee strutture al Commissario straordinario del governo, con facoltà di provvedervi direttamente o mediante delega ai Sindaci dei comuni interessati.

In tali pronunce viene dunque in considerazione un’attività provvedimentale del Sindaco svolta in qualità di delegato dell’amministrazione statale e vi si afferma il principio per cui, stante la responsabilità dell’amministrazione delegante per le obbligazioni indennitarie conseguenti ai provvedimenti di requisizione emessi per il tramite del Comune delegato, tale responsabilità (e con essa la legittimazione passiva dell’amministrazione stessa in ordine alla domanda del proprietario avente ad oggetto il pagamento dell’indennità prevista dal provvedimento ablatorio), in difetto di un valido mutamento del titolo (ad es. da provvisoria acquisizione a definitiva espropriazione) e salva l’azione di rivalsa nei confronti del Comune che non abbia tempestivamente adottato un provvedimento di derequisizione del bene, persiste pur dopo la scadenza del termine finale di efficacia della requisizione.

Nella vicenda in esame, al contrario, il provvedimento di requisizione è stato emesso direttamente dal Prefetto nell’esercizio del potere generale di occupazione di urgenza spettante all’autorità statale (L. n. 2248 del 1865, All. E, art. 7; D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 49 e 50; L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 71 e ss. ora abrogati dal predetto D.P.R. n. 327 del 2001, art. 58).

Non viene dunque in considerazione alcuna attività provvedimentale svolta dal Comune in qualità di delegato, la cui responsabilità non è stata affermata in relazione all’obbligazione indennitaria derivante dal legittimo esercizio del potere ablatorio della pubblica amministrazione, ma in relazione all’obbligazione, restitutoria e risarcitoria, derivante dall’illecita protrazione dell’occupazione dopo l’esaurimento degli effetti del provvedimento di requisizione.

La diversità della fattispecie esclude che possa essere invocato il principio che sancisce la responsabilità del delegante per le obbligazioni nascenti dall’attività svolta dal delegato nell’esercizio del potere delegatogli, dovendo invece ritenersi correttamente applicato dalla Corte territoriale il diverso principio generale regolativo della responsabilità aquiliana, secondo cui dell’illecito deve rispondere personalmente il suo autore (Cass. 02/04/2009, n. 8056; Cass. 03/11/2011, n. 22791; v. anche Cass. 23/07/2014, n. 16776).

5.1. Le considerazioni che precedono consentono anche di giudicare infondata la specifica deduzione con cui il ricorrente imputa alla Corte di merito di averne indebitamente affermato la legittimazione passiva in ordine alle domande proposte dalla S.A.T. s.r.l. sull’erroneo presupposto della sussistenza di un suo obbligo di restituzione degli immobili occupati, in realtà insussistente, ed omettendo di considerare che gli immobili stessi erano stati liberati dall’inizio dell’anno 1988.

Il rilievo del ricorrente secondo cui alla restituzione dei beni avrebbero dovuto provvedere il Prefetto e la Regione (il primo adottando il necessario provvedimento di derequisizione degli immobili precedentemente requisiti; la seconda provvedendo alla materiale restituzione degli stessi una volta derequisiti) non tiene conto, infatti, della natura temporanea e provvisoria del provvedimento di requisizione (nella specie, adottato sulla base della disciplina generale di cui alla L. n. 2248 del 1865, All. E, art. 7), la quale comportava che esauritisi gli effetti della provvisoria ablazione della proprietà privata (a far tempo dal 31 dicembre 1983, data della scadenza dell’ultimo provvedimento di proroga), l’obbligo di provvedere alla restituzione dei beni spettasse all’ente che ne risultava detentore e materiale utilizzatore, il quale era responsabile non solo del protrarsi dell’occupazione ma anche della mancata restituzione.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale, pur tenendo conto della circostanza, allegata dal Comune, concernente l’avvenuta liberazione degli immobili dal principio dell’anno 1988, ha ritenuto tale circostanza ininfluente in ordine alla persistenza dell’obbligazione risarcitoria del Comune medesimo in mancanza dell’effettiva restituzione degli immobili alla Società proprietaria, la quale, peraltro, non poteva ritenersi rientrata in possesso dei beni per il solo fatto di avere allestito sugli stessi un servizio di vigilanza.

5.2. Nessuna analogia può infine individuarsi tra la fattispecie posta all’esame della Corte reggina e quella contemplata nell’art. 1588 c.c., comma 2, non sussistendo tra la Regione Calabria e la società proprietaria alcun rapporto da cui potesse ritenersi sorto a favore della prima un diritto personale di godimento del bene di proprietà della seconda, nè potendosi ritenere integrati, nel rapporto tra Regione e singoli occupanti, i presupposti necessari (svolgimento dell’attività di questi ultimi entro la sfera di vigilanza della prima: cfr. Cass. 15/12/2003, n.19185) per la sussistenza di una responsabilità della Regione ai sensi della norma indebitamente invocata dal Comune ricorrente.

6. In conclusione, i primi quattro motivi di ricorso vanno rigettati, essendo stata correttamente individuata in capo al Comune di Cardeto la legittimazione passiva in ordine alle domande proposte dalla S.A.T. s.r.l.

7. Con il quinto motivo (“violazione dell’art. 2051 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3”), il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui gli ha imputato la responsabilità per i danni materiali arrecati agli immobili sebbene dalla consulenza tecnica espletata fosse emerso che tali pregiudizi erano riconducibili a vizi costruttivi o comunque afferivano a parti della struttura rimaste sotto la custodia e la disponibilità della società proprietaria, la quale era l’unico soggetto posto nella condizione di intervenire in prevenzione.

8. Con il sesto motivo (“violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), per omessa pronuncia in relazione alle censure relative alla pronuncia di condanna al risarcimento del danno ed alla causa del danno emergente (art. 360 c.p.c., n. 4”), il ricorrente deduce che la Corte di Appello avrebbe indebitamente omesso di esaminare le critiche che, mediante il proprio consulente di parte, aveva mosso alla relazione del consulente tecnico d’ufficio, evidenziando altresì che, sebbene quest’ultimo avesse individuato l’origine di una parte dei danni rinvenuti sulla struttura nei difetti di progettazione e costruzione della stessa, tuttavia di tale origine non si era tenuto conto nella quantificazione e imputazione del danno.

9. Con il settimo motivo (“violazione degli artt. 2043 e 1227 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3”) il Comune di Cardeto censura la pronuncia di merito per aver ricondotto tutti i danni materiali riscontrati sulla struttura ad un generico comportamento colposo dei cittadini alluvionati, omettendo di attribuire efficacia causale ai riscontrati difetti costruttivi; si duole, inoltre, che la Corte territoriale non abbia tenuto conto della circostanza che la S.A.T. s.r.l. aveva continuato a svolgere la vigilanza sull’albergo mediante il proprio personale, circostanza che avrebbe invece dovuto essere valorizzata quanto meno ai fini della riduzione del risarcimento dovuto.

10. Con l’ottavo motivo (“violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4″), per omessa pronuncia in relazione alle censure relative al riconoscimento ed alla valutazione del lucro cessante (art. 360 c.p.c., n. 4)”), il ricorrente, sulla premessa che il danno da mancato guadagno era stato riconosciuto con riguardo al periodo 1989-1992, lamenta che la Corte di Appello non abbia tenuto conto della specifica doglianza con cui era stato evidenziato che in tale periodo l’immobile era già stato liberato dagli occupanti ed era nella disponibilità della proprietaria che aveva attivato un servizio di guardiania; si duole, inoltre, che in sede di determinazione del predetto danno, la Corte reggina abbia omesso di esaminare le critiche che, mediante il proprio consulente di parte, aveva mosso alla relazione del consulente tecnico d’ufficio, il quale aveva utilizzato parametri presuntivi di calcolo non coerenti con l’effettivo flusso turistico nella località considerata.

11. I motivi appena illustrati, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro connessione, sono inammissibili atteso che, sebbene formalmente riferiti ai vizi della violazione di legge e dell’omessa pronuncia, contestano in sostanza l’apprezzamento di merito compiuto dalla Corte territoriale – ed insindacabile in questa sede – relativo all’accertamento dei danni materiali cagionati alla struttura alberghiera e alla loro riconduzione al fatto colposo degli occupanti, nonchè quello relativo all’accertamento e alla quantificazione del pregiudizio da mancato guadagno causalmente ascrivibile all’indebita occupazione o, comunque, all’inosservanza dell’obbligo di restituzione.

In particolare, con riguardo alle censure specificamente rivolte alla statuizione concernente il danno emergente – premesso che la Corte di Appello ha motivatamente evidenziato come la circostanza che la società proprietaria avesse mantenuto lo svolgimento di un servizio di guardiania non escludesse la responsabilità del Comune per i danni arrecati all’immobile dagli occupanti – deve rilevarsi che il richiamo all’art. 2051 c.c., quale norma asseritamente violata dal giudice del merito, è del tutto non pertinente (atteso che questa regola disciplina la responsabilità del custode per il danno cagionato dalla cosa ma non esclude la responsabilità di terzi per il danno cagionato alla cosa) mentre l’allegazione circa la riferibilità dei danni a vizi di costruzione o ad omessi o errati interventi da parte della proprietaria tende inammissibilmente a contrapporre a quella svolta dalla Corte di merito una diversa lettura delle risultanze istruttorie e, in particolare, degli accertamenti peritali.

Quanto alle censure specificamente rivolte alla statuizione concernente il lucro cessante – ribadito che la circostanza relativa all’avvenuta liberazione degli immobili dal principio dell’anno 1988 è stata correttamente ritenuta ininfluente dalla Corte di Appello in ordine alla persistente responsabilità del Comune, tenuto allo specifico obbligo di restituire i beni precedentemente occupati alla proprietaria – va rilevato che anche tali censure attengono a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di legittimità una rivalutazione delle risultanze peritali e un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte territoriale, la quale ha ritenuto che la quantificazione del danno da lucro cessante, trovando fondamento negli studi di settore elaborati dal Ministero delle finanze, fosse stata operata sulla base di validi elementi presuntivi, peraltro non disgiunti dal riferimento, utilizzato come base di partenza per un calcolo induttivo, alle presenze turistiche ufficialmente registrate nella zona considerata.

Deve dunque dichiararsi l’inammissibilità degli esaminati motivi.

12. In conclusione, il ricorso per cassazione proposto dal Comune di Cardeto deve essere rigettato.

13. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Quelle della procedura relativa all’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, disposta dalla Corte di Appello di Reggio Calabria con ordinanza 10 luglio 2015, possono essere integralmente compensate tra le parti, avuto riguardo alla soccombenza nel merito della parte che aveva ottenuto la sospensione dell’esecuzione della sentenza in suo danno.

14. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Compensa interamente tra le parti le spese della procedura relativa all’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 22 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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