Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11786 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/05/2011, (ud. 19/04/2011, dep. 27/05/2011), n.11786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20259-2007 proposto da:

MET.RO. – METROPOLITANA di ROMA S.P.A., (già Metroferro s.p.a., già

CO.TRA.L.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIBURTINA 770, presso lo

studio dell’avvocato BESI AMEDEO, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.G., GO.EN., selettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 61, presso lo studio dell’avvocato DRISALDI

LUCIANO, che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

M.I., T.M., F.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3953/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/09/2006, r.g.n. 2657/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA; Udito l’Avvocato BESI

AMEDEO;

udito l’Avvocato DRISALDI LUCIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per l’inammissibilità in via

principale, in subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata dichiara inammissibile l’appello proposto dalla MET.RO – Metropolitana di Roma s.p.a.

avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 25425 del 19 novembre 2003, di rigetto dei ricorsi della società appellante di opposizione ai cinque decreti ingiuntivi emessi nel periodo 25-29 marzo 2002 su istanza, rispettivamente, di F.A., M.I., Go.En., T.M. e G.G. per crediti relativi agli interessi loro spettanti a causa del tardivo pagamento della somma determinata in esito alla intervenuta transazione sui criteri di calcolo dell’indennità di buonuscita e del trattamento di fine rapporto.

Secondo la Corte d’appello di Roma il primo motivo di impugnazione non è conforme al principio di specificità di cui all’art. 342 cod. proc. civ., non apparendo correlato con le argomentazioni svolte nella sentenza del Tribunale.

Infatti, la società deduce la decorrenza del termine prescrizionale, sostenendo in modo meramente assertivo, che le lettere inviatele dall’avvocato Luciano Drisaldi non possono valere come atti interruttivi, mentre nella sentenza di primo grado si precisa che la società era perfettamente a conoscenza dei nominativi di tutti assistiti del suddetto avvocato, di cui aveva anche consegnato l’elenco allo stesso legale, sicchè era da escludere che non fosse in grado di conoscere in nome e per conto di chi l’avvocato medesimo richiedeva il pagamento degli interessi in oggetto.

Quanto al secondo motivo di appello, la Corte territoriale rileva che la società MET.RO nei ricorsi in opposizione ai decreti ingiuntivi si è limitata a dedurre, sempre in modo meramente assertivo, che la somma dovuta avrebbe dovuto essere computata sul tasso legale degli interessi e soltanto nell’atto di gravame ha argomentato la suddetta deduzione specificando che al 30 giugno 1996 – data di conclusione dell’accordo transattivo – il tasso del 10% corrispondeva a quello degli interessi legali al quale le parti avevano inteso riferirsi, sicchè tale ultimo tasso doveva essere nella specie applicato e non più quello del 10% (divenuto, ormai, superiore al tasso legale).

Tale argomentazione, ad avviso della Corte d’appello, deve considerarsi tardiva ai sensi dell’art. 416 c.p.c., comma 3 e quindi inammissibile, visto che, nei rito del lavoro, l’opponente ha l’obbligo di effettuare una tempestiva e specifica contestazione delle ragioni avversarie.

2- Il ricorso della MET.RO – Metropolitana di Roma s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resistono con, controricorso, Go.En. e G.G., mentre T.M., M.I. e F.A. non svolgono attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) violazione e falsa applicazione degli artt. 2943, 2945 e 2948 cod. civ.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si osserva che la trasmissione, da parte dell’avvocato Drisaldi, dell’elenco completo dei suoi circa 200 assistiti con l’indicazione degli importi percepiti e dei numeri dei relativi assegni, non può valere, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, come messa in mora, tanto più che lo stesso avvocato non ha azionato procedure esecutive per tutte le persone inserite nell’elenco.

D’altra parte, tutte le lettere inviate alla società dal suddetto avvocato, e in particolare quelle del 27 ottobre 1997 e del 30 luglio 1998, non potevano non considerarsi prive dei requisiti minimi di specificità richiesti dalla giurisprudenza di legittimità perchè un atto possa essere considerato idoneo a produrre effetti interruttivi della prescrizione, secondo quanto sostenuto dalla MET.RO nelle note autorizzate depositate nel giudizio di primo grado.

2. Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) violazione e falsa applicazione degli artt. 1284, 1362, 1366 e 1369 cod. civ.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si sostiene che, in base alle deduzioni prospettate dalla società in primo grado e ribadite nell’atto di appello in merito all’importo da corrispondere secondo quanto concordato negli atti transattivi, la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere che, per il caso di ritardo nel pagamento, le parti si sono accordate nel senso di fare riferimento al tasso legale degli interessi (all’epoca fissato al 10%) e non ad un maggiore tasso convenzionale.

3.- Il ricorso è improcedibile.

Si deve qui ricordare che tutte le volte in cui il ricorso per cassazione si basa sull’asseritamente mancata o erronea valutazione di atti processuali o documentali il ricorrente, a pena di improcedibilità (ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4), ha l’onere di indicare -mediante o l’integrale trascrizione di detti atti nel corpo del ricorso oppure la loro ordinata e materialmente congiunta riproduzione in allegato al ricorso stesso – le risultanze che egli asserisce essere decisive e non valutate o insufficientemente considerate, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere effettuato dalla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative, non consentite ai fini del rispetto della garanzia del contraddittorio e del principio costituzionale di ragionevole durata del processo (vedi per tutte:

Cass. 22 febbraio 2010, n. 4201; Cass. 30 luglio 2010, 17915; Cass. 27 gennaio 2011, n. 2031; Cass. 17 maggio 2010, n. 12028; Cass. 19 maggio 2006, n. 11886).

E’, inoltre, necessario che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione degli atti medesimi è avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità, gli atti stessi sono rinvenibili. Infatti, l’esigenza di tale doppia indicazione, in funzione dell’autosufficienza, si giustifica in base al combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – che, a pena di inammissibilità, richiede, fra l’altro, che il ricorso contenga la “specifica” indicazione degli atti processuali e dei documenti su cui si fonda – e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 che sanziona con l’improcedibilità la mancata produzione dei documenti stessi, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1 (ex plurimis: Cass. 7 febbraio 2011, n. 29669; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1950).

4.- Nella specie la società ricorrente si è limitata a trascrivere, nel ricorso, solo piccole parti di alcuni dei documenti sui quali si fondano le prospettate censure e non ha adeguatamente indicato nè la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione degli atti medesimi è avvenuta nè la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità, gli atti stessi sono rinvenibili.

Il tal modo la ricorrente, in base a quanto si è detto, ha contemporaneamente violato l’art. 366 c.p.c., n. 6 e l’art. 369 c.p.c., n. 4, pertanto il ricorso si deve dichiarare improcedibile, atteso che, in questa ipotesi, il riscontro della improcedibilità precede quello dell’inammissibilità (arg. ex Cass. SU 16 aprile 2009, n. 9004, n. 9005, n. 9006).

A ciò consegue che la ricorrente stessa va condannata alle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo, in favore Go.En. e G.G..

Nulla spese per T.M., M.I. e F. A. che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso improcedibile e condanna la società ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 20,00 per esborsi, Euro 3000 per onorario complessivo, oltre IVA, CPA e spese generali, in favore di Go.

E. e G.G..

Nulla spese per T.M., M.I. e F. A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 19 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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