Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11784 del 14/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 14/05/2010, (ud. 19/01/2010, dep. 14/05/2010), n.11784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in

carica, e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

e domiciliati presso la sua sede in Roma, in via dei Portoghesi n.

12;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO C.G., in persona del curatore

A.C.V., rappresentato e difeso dall’avv. DITTRICH VINCENZO, via S.

Croce n. 4, Milano;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 85/44/05, depositata il 25 maggio 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

gennaio 2010 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;

Udito il P.M., in persona del sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il fallimento della ditta individuale C.G. impugnò l’avviso di contestazione di violazioni (mancata esibizione di scritture contabili obbligatorie e omessa presentazione della dichiarazione annuale) in materia di IVA per l’anno 1996, con irrogazione delle relative sanzioni, e gli avvisi di accertamento per IVA non versata ed omessa dichiarazione, con conseguente irrogazione delle sanzioni, per gli anni 1997 e 1998, atti notificati tutti al curatore fallimentare il 19 dicembre 2001, essendo stato dichiarato il fallimento il 5 dicembre 2000. Il fallimento contestava la legittimità degli atti impositivi perchè motivati mediante rinvio al processo verbale di constatazione della Guardia di finanza di Sesto S. Giovanni risultante notificato il 4 luglio 2000, e quindi in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, e si doleva della sua mancata allegazione o riproduzione, facendo valere la posizione di terzietà rivestita dal curatore fallimentare, nella specie non destinatario della notifica di quel processo verbale, perciò non ricevuto nè conosciuto dalla curatela.

Il giudice di primo grado, riuniti i ricorsi, li accoglieva.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia, adita in appello dall’Agenzia delle entrate, ufficio di Milano 3, mentre riformava la decisione in relazione all’atto di constatazione di violazioni IVA del 1996 e irrogazione delle sanzioni, perchè contenente la precisa indicazione di fatti omissivi – il mancato adempimento di obblighi formali quali la regolare tenuta della contabilità e la presentazione della dichiarazione -, non suscettibili di ulteriori determinazioni, la confermava in relazione agli avvisi di accertamento ai fini dell’IVA per il 1997 e 1998. Diversa valutazione andava infatti riservata alla ricostruzione induttiva del volume d’affari, operata sulla base di controlli incrociati, e poi del reddito d’impresa, con l’imposizione conseguitane per il 1997 e 1998, non potendo al riguardo presumersi nè pretendersi la cognizione da parte del curatore, che non è soggetto avente causa del fallito, di quei rapporti pregressi, ovvero dei presupposti impositivi concretatisi prima della dichiarazione di fallimento del contribuente. Tali elementi avrebbero dovuto essere portati a conoscenza del curatore mediante l’allegazione all’avviso di accertamento notificatogli di copia del processo verbale in precedenza notificato all’imprenditore in bonis, tanto più che l’organo fallimentare non poteva nemmeno disporre della contabilità coeva ai fatti addebitati.

Nei confronti della decisione il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione sulla base di un motivo.

Il fallimento C. resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità, per difetto di legittimazione, del ricorso proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze, che non era stato parte del giudizio d’appello, instaurato dalla sola Agenzia delle entrate, nella sua articolazione periferica, successivamente al 1 gennaio 2001, con implicita estromissione dell’ufficio periferico del Ministero (Cass., sez. unite, n. 3166 del 2006); si ravvisa la sussistenza di giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

Con l’unico motivo l’Agenzia delle entrate, denunciando “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. Fall., art. 31, ai principi generali in materia di procedure concorsuali e posizione del fallito e del curatore, e in materia di motivazione dei provvedimenti impositivi. Motivazione incerta e contraddittoria”, censura la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto illegittimi gli avvisi di accertamento per difetto di motivazione, in quanto dalla posizione di asserita terzietà del curatore fallimentare rispetto al fallito sarebbe disceso “l’obbligo (rectius, l’onere) per l’ufficio di portare a conoscenza del curatore il contenuto del pvc” benchè fosse richiamato nell’avviso. Il curatore del fallimento, al contrario, quando vengano in rilievo rapporti giuridici sorti anteriormente alla dichiarazione di fallimento, deduce la ricorrente, non agirebbe in sostituzione dei creditori al fine della ricostruzione del patrimonio originario del fallito, e cioè nella veste di terzo, ma eserciterebbe un’azione trovata nel patrimonio del fallito, a tutela di un interesse a lui direttamente riconducitele, ponendosi perciò nella stessa posizione sostanziale e processuale del fallito, quale sarebbe stata anche se il fallimento non fosse stato dichiarato, al fine di far entrare nel suo patrimonio azioni che gli competevano già prima della dichiarazione di fallimento, indipendenti dal dissesto verificatosi successivamente. Ciò comporterebbe l’opponibilità al curatore di tutta la documentazione contabile ed extracontabile dell’imprenditore in bonis, ivi compresa la documentazione inerente eventuali pendenze fiscali. Nella specie, poi, il curatore non aveva eccepito la mancata conoscibilità del p.v.c. su cui si fondavano gli avvisi, limitandosi ad eccepire che esso non era stato allegato agli atti impositivi notificati alla curatela.

Il ricorso è fondato.

Questa Corte ha affermato (Cass. n. 12893 del 2007, in motivazione), circa l’incidenza della sopravvenuta dichiarazione di fallimento del contribuente, che “ogni atto del procedimento tributario deve essere emesso nei confronti del soggetto esistente al momento, e quindi l’iscrizione a ruolo, è stata correttamente posta in essere unicamente nei confronti della società in bonis. Con il fallimento la società non viene meno, ma i suoi organi perdono la legittimazione sostanziale e processuale (L. Fall., artt. 44 e 43), che viene assunta dalla curatela fallimentare, la quale, per tale ragione, subentra nella posizione della fallita. Ciò comporta che sono opponibili alla curatela… gli atti formati nei confronti della fallita, mentre, dopo la dichiarazione di fallimento, gli ulteriori atti del procedimento tributario debbono indicare quale destinataria l’impresa in procedura e quale legale rappresentante della stessa il curatore: tanto è avvenuto nella fattispecie, in cui la cartella di pagamento, emessa dopo la sentenza di fallimento, è stata notificata al curatore che per l’appunto l’ha impugnata” (nello stesso senso, Cass. n. 14894 e n. 2803 del 2010).

Il principio così affermato trova applicazione, ad avviso del Collegio, anche all’ipotesi, ricorrente nella specie, di avviso di accertamento, notificato al curatore del fallito, motivato per relationem al pubblico verbale di constatazione notificato, in epoca anteriore, al contribuente ancora in bonis.

Nel vigore della disciplina anteriore a quella dettata dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, recante lo statuto del contribuente, questa Corte aveva infatti stabilito che “in tenia di accertamento tributario motivato per relationem, la legittimità dell’avviso richiede la conoscenza o la conoscibilità dell’atto da parte del contribuente, anche se si tratti di atto extratestuale: principio affermato dalla S.C. con riguardo all’avviso di accertamento della maggiore imposta I.V.A., notificato al curatore fallimentare con un rinvio, senza allegazione, ad un processo verbale di constatazione già notificato alla società in bonis” (Cass. n. 9220 del 2008).

Ora, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, nel testo, applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis, risultante dalla modificazione introdotta dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 2, comma 1, lett. b), in attuazione dello statuto del contribuente, all’ultimo comma stabilisce, a pena di nullità, che la motivazione dell’atto di accertamento debba indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, e che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.

Al fine di consentire al contribuente di conoscere nel modo più compiuto i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste dall’ufficio finanziario a fondamento dell’atto impositivo, onde assicurargli le condizioni per apprestare un’adeguata tutela, la norma, una volta imposto a carico dell’amministrazione l’obbligo di motivazione dell’atto, stabilisce, per le ipotesi di motivazione mediante rinvio ad altro atto, l’onere di allegazione dell’atto richiamato, quando questo non sia “conosciuto nè ricevuto dal contribuente”.

Se non può dubitarsi che gravi sull’ufficio l’onere di provare che l’atto oggetto della relatio sia “conosciuto” dal contribuente, nel caso in cui esso risulti invece essere stato portato a legale conoscenza del contribuente, come è “… copia del processo verbale che era stato in precedenza notificato all’imprenditore in bonis” -, quando cioè esso sia stato “ricevuto” dal contribuente, nessun onere ulteriore può porsi a carico dell’amministrazione, che ha così ottemperato all’obbligo di motivazione, qui nella forma della motivazione per relationem, ad essa imposto dalla norma.

Sotto questo profilo, non può condividersi l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui, per ritenere assolto l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo per relationem ad un pubblico verbale di constatazione a suo tempo notificato al contribuente, ipotesi nella quale il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, u.c., stabilisce una presunzione assoluta di conoscenza, come tale insensibile alle vicende che successivamente possano toccare il contribuente, è necessario, qualora sopravvenga il fallimento, che l’amministrazione porti a conoscenza del curatore il contenuto dell’atto oggetto del rinvio “mediante l’allegazione insieme all’avviso di accertamento a lui notificato di copia del processo verbale che era stato in precedenza notificato all’imprenditore in bonis”, dovendosi altrimenti ritenere nullo l’avviso di accertamento.

Per tali ragioni, non sembra potersi condividere l’orientamento di questa Corte – espresso in un giudizio analogo al presente, ma in materia di imposte dirette -, secondo cui “è viziato da carente motivazione l’avviso di accertamento notificato al curatore fallimentare e motivato mediante il rinvio ai contenuti di un processo verbale di constatazione reso noto all’imprenditore quando era in bonis, ma non al curatore medesimo” (Cass. n. 8778 del 2008). la decisione, che pure valorizza fortemente le esigenze di effettività della difesa del fallimento del contribuente, pone particolarmente in luce la ritenuta necessità della dimostrazione della conoscenza, da parte del curatore, del contenuto del p.v.c., ma non sembra farsi carico della portata dell’obbligo di motivazione come regolato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2, ultimo periodo, aggiunto dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, (che forse, viene da dubitare, non era applicabile ratione temporis alla fattispecie), disposizione “parallela” a quella, in materia di IVA, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, u.c..

Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

PQM

La Corte accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze e dichiara compensate le spese del relativo giudizio.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2010

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