Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11784 del 12/05/2017

Cassazione civile, sez. III, 12/05/2017, (ud. 16/03/2017, dep.12/05/2017),  n. 11784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3670-2015 proposto da:

F.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UNIONE

SOVIETICA 8, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CERCHIARA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCA SCHIAVO

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

RISORSE PER ROMA SPA, in persona del Presidente e Amministratore

Delegato, elettivamente domiciliata dott. MASSIMO BARTOLI, in ROMA,

VIA ATTILIO FRIGGERI 106, presso lo studio dell’avvocato MICHELE

TAMPONI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CECILIA NUSINER giusta procura a margine del controricorso;

ROMA CAPITALE (OMISSIS), in persona del Sindaco Prof.

M.I.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI

GIOVE 8, presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRIGENTI, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

CAMPIDOGLIO FINANCE SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4837/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/03/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma con sentenza 17.7.2014 n. 4837 rigettava l’appello proposto da F.T. e confermava la decisione di prime cure con la quale era stata rigettata la domanda della F. volta ad accertare il legittimo esercizio del diritto di prelazione – previsto dalle Delib. Consiglio del Comune di Roma n. 139 del 2001 e della Giunta comunale n. 650/2003, come modificate dalla Delib. Consiglio comunale 22 novembre 2004, n. 221 – ed ottenere pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c. avente ad oggetto il trasferimento a suo favore della proprietà dell’immobile di proprietà dell’ente pubblico, dalla stessa condotto in locazione e nel quale risultava residente fin dall’anno 1984.

Il Giudice di appello rilevava che l’esercizio della opzione era subordinato al requisito dell’effettivo utilizzo continuato dell’immobile da parte del conduttore nei cinque anni precedenti la adozione della predetta delibera comunale, e tale fatto costitutivo non era stato provato dalla F. in quanto il certificato anagrafico di residenza risultava smentito dall’accertamento della sublocazione dell’immobile almeno fino al 31.12.1991, mentre alla mera dichiarazione, trasmessa dalla conduttrice all’ente locale in data 26.4.2004, di essere rientrata successivamente nella detenzione dell’immobile, non poteva essere attribuita efficacia probatoria in quanto atto proveniente dalla stessa parte.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dalla F. con due motivi relativi a vizi di violazione di norme di diritto e vizio di motivazione.

Resistono con controricorsi Roma Capitale e Risorse per Roma s.p.a., mentre non spiega difese la intimata Campidoglio Finance s.p.a.

Risorse per Roma s.p.a. ha depositato anche memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarata la inammissibilità del ricorso proposto nei confronti di Risorse per Roma s.p.a.

Il Giudice di prime cure ha infatti rigettato la domanda proposta dalla F. nei confronti del Comune di Roma e di Campidoglio Finance s.r.l., dichiarando la “carenza di legittimazione passiva di Risorse per Roma s.p.a., che non ha neppure avuto partecipazione alle determinazioni assunte dal Comune di Roma” (cfr. sentenza Tribunale Roma 19.3.2009 n. 7157, in motivazione, pag.8).

Tale statuizione della sentenza di primo grado non è stata investita dall’appello principale proposto dalla F. con atto notificato in data 2.10.2009, ed è divenuta pertanto irrevocabile, determinando la inammissibilità del ricorso per cassazione proposto nei confronti di Risorse per Roma s.p.a. in quanto precluso dalla formazione del relativo giudicato interno sul difetto di titolarità passiva del rapporto di diritto sostanziale controverso.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che il certificato anagrafico che attestava la ininterrotta residenza della conduttrice in (OMISSIS), costituiva prova presuntiva legale della abituale utilizzazione dell’immobile locato, sicchè la Corte d’appello, imponendo alla F. di fornire la prova della effettiva utilizzazione nel quinquennio precedente la adozione della Delib. n. 139 del 2001, era incorsa in violazione dell’art. 2697 c.c. per inversione dell’onere probatorio gravante, invece, su Roma Capitale tenuta a superare la presunzione mediate prova contraria che, nella specie, non era stata fornita.

Il motivo è infondato.

Costituisce massima giurisprudenziale consolidata che la residenza di una persona, secondo la previsione dell’art. 43 c.c.., è determinata dall’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo che si caratterizza per l’elemento oggettivo della permanenza e per l’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. Ai fini della determinazione del luogo di residenza o dimora, rileva esclusivamente il luogo ove questi dimora di fatto in modo abituale, rivestendo le risultanze anagrafiche mero valore presuntivo e potendo essere superate, in quanto tali, da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, affidata all’apprezzamento del giudice di merito, ed il relativo apprezzamento costituisce valutazione demandata al giudice di merito e sottratta al controllo di legittimità ove adeguatamente motivata (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 2230 del 27/02/1998; id. Sez. 3, Sentenza n. 17040 del 12/11/2003; id. Sez. 2, Sentenza n. 24422 del 16/11/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 15938 del 13/06/2008; id. Sez. L, Sentenza n. 26985 del 22/12/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 25726 del 01/12/2011; id. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21370 del 15/10/2011; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5201 del 30/03/2012; id. Sez. 6 2, Ordinanza n. 21570 del 30/11/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 11550 del 14/05/2013; id. Sez. 6 1, Ordinanza n. 9028 del 18/04/2014; id. Sez. 1, Sentenza n. 10170 del 18/05/2016).

Tanto premesso il Giudice di appello non ha affatto disconosciuto la efficacia di presunzione semplice (non legale) del certificato anagrafico di residenza prodotto in giudizio dalla F., ma ha ritenuto, invece, che la efficacia probatoria presuntiva del certificato era rimasta inficiata dalla dichiarazione confessoria -resa dalla F. nella nota in data 26.4.2004 – con la quale riconosceva di avere sublocato l’immobile, rappresentando di averlo nuovamente utilizzato a far data dal 1994.

Il Giudice di merito ha, dunque correttamente, fatto applicazione della regola dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., ritenendo superata la presunzione semplice di ininterrotta abituale e volontaria dimora presso l’immobile locato dalla data del 31.3.1984, fondata sul certificato anagrafico, dalla prova confessoria -contraria – della sublocazione dell’immobile, e rilevando altresì come il principio, di cui all’art. 2734 c.c., di inscindibilità della valutazione della dichiarazione confessoria stragiudiziale “complessa” (nella quale ad un contenuto confessorio di fatti sfavorevoli al confitente si aggiunge la allegazione di fatti, distinti da quello confessato, diretti ad estinguerne o modificarne gli effetti “ab estrinseco”), resa alla controparte (avendo la F., nello stesso atto trasmesso il 26.4.2004, dichiarato di volere esercitare il diritto di prelazione – in quanto rientrata nella detenzione del bene a far data dal 1994 – affermando di avere “effettivamente utilizzato” l’immobile in modo continuativo, nel quinquennio antecedente alla adozione della Delib. comunale n. 139 del 2001, così integrando il requisito prescritto dalla Delib. C.C. 22 novembre 2004, n. 221 per l’esercizio del diritto di prelazione), non consentiva nel caso di specie, attesa la contestazione dei “fatti aggiunti” effettuata dalle altre parti, di estendere anche a tali ulteriori fatti (favorevoli) la efficacia probatoria legale della confessione (dei fatti sfavorevoli) ai sensi dell’art. 2733 c.c., comma 2 e art. 2735 c.c., comma 1, rimanendo in conseguenza onerata la confitente della prova dei fatti aggiunti contestati.

La sentenza impugnata va pertanto esente dal vizio denunciato.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia il vizio di “violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 5/difetto di motivazione per violazione dell’art. 2697 c.p.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. con riferimento all’art. 167 c.p.c.”.

Indipendentemente dalla difficoltà di individuare dalla rubrica quale sia il vizio di legittimità in ordine al quale viene chiesto il sindacato della Corte, la censura, nella parte espositiva, sembra reiterare gli stessi argomenti svolti nel precedente motivo, aggiungendo però che la Corte territoriale avrebbe contraddittoriamente fatto uso della nota trasmessa dalla F. in data 26.4.2004, ritenendo dotata di efficacia probatoria soltanto la prima parte della dichiarazione, concernente l’ammissione della sublocazione, e non anche la seconda, concernente il riacquisto della detenzione dell’immobile a decorrere dal 1994.

Sostiene ancora la ricorrente che le parti convenute si erano limitate ad opporre diniego all’esercizio della prelazione, allegando soltanto la circostanza della sublocazione, e dunque non contestando il rientro della F. nell’immobile in data utile per richiederne l’acquisto, sicchè la Corte d’appello, omettendo di valutare il complessivo contenuto della lettera del 26.4.2004, avrebbe violato la regola dell’art. 2697 c.c., richiedendo alla conduttrice di fornire la prova della continuata ed abituale dimora nell’appartamento dal 1998 al 2001.

Il motivo è inammissibile, nella parte in cui tende a censurare la sentenza per vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che la nuova formulazione del testo normativo introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134(recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), applicabile alle sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012, ha infatti limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado, per vizio di motivazione, alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità. Pertanto, laddove non si contesti la “inesistenza” del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali – acquisiti al rilevante probatorio – ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

Esula del tutto, quindi, dal predetto vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il Giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., comma 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio, mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova ed operando il conseguente giudizio di prevalenza delle risultanze istruttorie (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016). Occorre opportunamente precisare, in proposito, che non è – evidentemente – consentito “riproporre” sotto altra forma paradigmatica, attraverso la denuncia del combinato disposto dell’art. 116 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la medesima censura dei “vizi di logicità” eliminati dall’attuale testo normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), atteso che per giurisprudenza consolidata il principio del “libero convincimento” ex art. 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie, riservato in via esclusiva al Giudice di merito, e come tale è insindacabile in sede di legittimità: deve ritenersi, infatti, assolutamente pacifico in giurisprudenza che la denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e dell’art. 116 c.p.c., solo apparentemente veicola un vizio di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, traducendosi, invece, nella denuncia di “un errore di fatto” che deve essere fatta valere attraverso il corretto paradigma normativo del vizio motivazionale, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 2707 del 12/02/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 12912 del 13/07/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 15107 del 17/06/2013), essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5024 del 28/03/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014). Conseguentemente la censura di violazione delle norme processuali in questione non è idonea ex se a “recuperare” il precedente vizio di motivazione per “insufficienza od incompletezza logica” come vizio di “errore di diritto” (attinente alla attività processuale), sì che il primo possa in tal modo ritornare ad essere sindacabile avanti la Corte sotto le apparenti spoglie della violazione di norma di diritto, non essendo in ogni caso autonomamente denunciabili per violazione degli artt. 115 col e 116 c.p.c. asseriti errori di “convincimento” attinenti alla valutazione della preminente rilevanza attribuita a talune “questioni” od alle stesse “argomentazioni” nelle quali si estrinseca l’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014), comportando una tale censura pur sempre l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione ai fini istruttori, che non trova accesso nel giudizio di cassazione (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 21439 del 21/10/2015).

Nella specie la ricorrente non allega fatti storici specifici e decisivi non considerati dalla Corte territoriale ma ripropone nuovamente la tesi della inscindibilità della efficacia probatoria delle dichiarazioni contenute nella lettera del 26.4.2004, inscindibilità esclusa dalla contestazione dei fatti aggiunti alla dichiarazione confessoria, avendo Roma Capitale opposto diniego all’esercizio del diritto di prelazione, disconoscendo la effettiva residenza ed utilizzazione continuativa dell’immobile da parte della F. nel quinquennio anteriore alla adozione della Delib. comunale n. 139 del 2001, dovendo al riguardo ritenersi priva di riscontro, oltre che carente di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – per mancata trascrizione del contenuto della comparsa di risposta dei convenuti -, la censura volta a far valere la violazione dell’art. 167 c.p.c. e del principio di non contestazione (apparendo la stessa peraltro – anche infondata alla stregua dalla trascrizione, parziale, delle comparse di risposta in primo e secondo grado di Risorse per Roma s.p.a.: cfr. controric. pag. 11).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata alla rifusione delle spese di lite a favore delle parti resistenti, come liquidate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso principale.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, quanto a Roma Capitale, in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, e quanto a Risorse per Roma s.p.a. in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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