Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11783 del 14/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 14/05/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 14/05/2010), n.11783

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, è domiciliata.

– ricorrente –

contro

T.M., nella qualità di unico erede di T.

V. elettivamente domiciliato in Roma, Via Innocenzo XI, n. 8

(studio Avv. Orazio Castellana), nello studio dell’avv. Savito

Tommaso, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– intimato –

avverso la sentenza della C.T.R. della Sicilia, Sezione distaccata di

Siracusa, n. 19, depositata in data 9 marzo 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienze del 12

gennaio 2010 dal consigliere Dott. Pietro Campanile;

Udito l’Avv. Generale dello Stato Alessia Urbani Neri, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Wladimiro De Nunzio, il quale ha concluso per l’accoglimento

del secondo motivo del ricorso.

 

Fatto

1.1 – La Commissione tributaria provinciale di Siracusa, con decisione n. 411/01/2000, accoglieva il ricorso proposto da T. V. avverso l’avviso di accertamento nei suoi confronti emesso dall’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette in relazione ad IRPEF ed ILOR per l’anno 1990, con cui, ritenute inesistenti le operazioni relative ad acquisti risultanti da alcune fatture di acquisto, venivano recuperati a tassazione i relativi costi, accertandosi un reddito di impresa pari a L. 92.690.000.

1.2 – La Commissione tributaria regionale della Sicilia, con la decisione indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dall’Ufficio, richiamando, in particolare, la sentenza di assoluzione pronunciata in sede penale nei confronti del T..

1.3 Avverso detta decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Si è costituito con controricorso T.M., quale unico erede dell’intimato, nelle more deceduto, eccependo, in via pregiudiziale, l’inammissibilità, in quanto tardivamente proposto, del ricorso, del quale ha chiesto, in ogni caso, il rigetto.

Diritto

2.1 – Va preliminarmente rilevata l’infondatezza dell’eccezione di tardività del ricorso, sollevata dal controricorrente, secondo cui la relativa notifica, effettuata in data 26 aprile 2006, sarebbe intervenuta oltre il termine previsto dall’art. 327 c.p.c., a fronte del deposito della sentenza di secondo grado, non notificata, in data 9 marzo 2005.

Giova innanzitutto richiamare il principio dell’applicabilità al processo tributario dell’art. 330 c.p.c., e, conseguentemente, il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui detta disposizione, nella parte in cui afferma che, dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza, l’impugnazione, se è ancora ammessa, si deve notificare alla parte personalmente, deve essere interpretata nel senso che essa si riferisce al termine di decadenza indicato nell’art. 327 c.p.c., il quale, dopo l’entrata in vigore della L. 7 ottobre 1969, n. 742, rispetto alle cause in cui opera la sospensione feriale dei termini, ha la maggior durata corrispondente al periodo di detta sospensione feriale, il quale va dal 1 agosto al 15 settembre di ciascun anno (Cass., 4 luglio 2007, n. 15123; Cass., 12 novembre 2004, n. 21514; Cass. 15 settembre 2004, n. 18572; Cass. 11 novembre 2003 n. 16945; Cass. Sez. un. 20 dicembre 1993 n. 12593).

Deve altresì rilevarsi – quanto alla proposta eccezione – che, non potendosi la data della consegna all’ufficiale giudiziario del ricorso ricavare dal timbro apposto su tale atto recante il numero cronologico e la data, mancando qualsiasi sottoscrizione o sigla dell’ufficiale giudiziario (Cass., Sez. Un. 20 giugno 2007, n. 14294;

Cass. 1 settembre 2008, n. 22003), l’Agenzia della Entrate ha prodotto una certificazione dell’ufficiale giudiziario, dalla quale emerge che il ricorso per cassazione in questione, spedito il 26 aprile 2006, era stato registrato, e quindi consegnato, il precedente 24 aprile 2006. Tale circostanza, trattandosi dell’ultimo giorno utile per la notifica del ricorso, comporta la tempestività del ricorso alla procedura di notificazione. Invero, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002 – con la quale è stata dichiarata l’illegittimità del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3, nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario, anzichè a quella, antecedente, della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, deve ritenersi già operante nel diritto positivo, senza bisogno di un nuovo intervento da parte del giudice delle leggi, un principio generale secondo il quale – qualunque sia la modalità di trasmissione – la notifica di un atto processuale, almeno quando essa debba compiersi entro un determinato termine, si intende perfezionata, per il notificante, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario che funge da tramite necessario nel relativo procedimento vincolato, senza quindi che possa influire negativamente per la parte il mancato tempestivo perfezionamento della medesima notifica, ove non a lei imputabile (cfr., ex multis, Cass. n. 6906 del 2004).

2.2. – Con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 18, comma 2, deducendosi che il ricorso introduttivo sarebbe stato formulato – con riferimento all’esposizione dei motivi in maniera del tutto insufficiente, con il richiamo a un precedente ricorso, e che, inoltre, in appello non sarebbero state riproposte delle richieste subordinate, da intendersi, pertanto, abbandonate.

2.2. a – Quanto al primo profilo, deve premettersi che l’inammissibilità del ricorso introduttivo derivante dalla carenza dei motivi, essendo rilevabile, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22 in ogni stato e grado del giudizio, “anche se la parte resistente si costituisce”, non è sanabile, come sostenuto nel controricorso, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, (Cass., 10 marzo 2008, n. 6359; Cass. 15 maggio 2000, n. 6214).

2.2.b – Nè può ritenersi che, essendo stata la questione proposta per la prima volta con il ricorso per cassazione, si siano verificate delle preclusioni in merito alla sua deducibilità: in particolare, deve escludersi che, in relazione al ricorso introduttivo del giudizio tributario, quale disciplinato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 18 e 22 possa formarsi, per essere stata la causa decisa nel merito, ed in analogia a quanto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte in tema di giurisdizione (Cass., Sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883), una sorta di giudicato implicito sul1’ammissibilità o meno del ricorso (cfr., in motivazione, Cass., 29 aprile 2009, n. 10027).

2.2. c – Il motivo in esame non può neppure considerarsi inammissibile per difetto di autosufficienza, come pure sostenuto dal Procuratore Generale d’udienza, in quanto, se è vero che, anche quando venga denunciato un error in procedendo la parte ricorrente deve indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame, e, quindi, perchè il corrispondente motivo sia ammissibile, lo stesso deve contenere, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale, tale regola incontra, secondo un consolidato orientamento di questa Corte (Cass., 11 febbraio 2009, n. 3338, con riferimento alla disciplina, rilevante nella specie, anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006; Cass., 8 ottobre 2008, n. 24791), il limite della rilevabilità d’ufficio del vizio denunciato.

2,2d – Tanto premesso, deve osservarsi che la censura in esame si rivela tuttavia infondata, in quanto, anche se non può considerarsi consentito richiamare i motivi formulati in un precedente ricorso (cfr., per un caso analogo, Cass., 17 dicembre 1994, n. 10860), l’atto in questione presenta un contenuto minimo – quanto ai motivi – tale da escludere la ricorrenza della denunciata inammissibilità. In proposito giova ricordare come questa Corte abbia già affermato (Cass., 8 settembre 2004, n. 18088; Cass., 30 ottobre 2005, n. 21170), considerata la natura di tale sanzione – caratterizzata, come evidenziato, dalla rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e da insanabilità, che le norme che la prevedono debbono essere interpretate in senso restrittivo, cioè riservando loro un limitato campo di operatività, comprensivo, cioè, di quei soli casi nei quali il rigore estremo è davvero giustificato, in tal modo tenendo presente l’insegnamento fornito dalla Corte costituzionale, con particolare riguardo al processo tributario, secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della “tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità” (sentenze nn. 189 del 2000 e 520 del 2002).

2.2. e – Deve escludersi che il ricorso introduttivo in questione possa considerarsi inammissibile. Invero la stessa ricorrente, oltre a denunciare la formulazione per relationem di determinate censure, enumera (pag. 1 del ricorso) le altre doglianze proposte dal T. (per aver già versato l’imposta, per essere stato identico avviso già annullato, per erronea applicazione delle sanzioni), cosi evidenziando la presenza di ragioni a sostegno dell’impugnazione del provvedimento tali, a prescindere dalla loro fondatezza o meno, da far considerare adempiuta la prescrizione di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 18, comma 2, lett. e).

2.3 – Quanto al secondo profilo, concernente la mancata riproposizione, in appello, delle doglianze in merito alle sanzioni (eccezione formulata nell’ambito di un quesito comprensivo della questione precedentemente esaminata, della cui ammissibilità o meno si prescinde, trattandosi di ricorso avverso sentenza depositata prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, che ha introdotto l’art. 366 bis c.p.c.), va rilevato che, secondo un principio più volte ribadito da questa Corte, l’onere di espressa riproposizione in appello delle eccezioni non accolte in primo grado, – intendendosi per tali quelle sulle quali il Giudice non abbia espressamente pronunciato, – riguarda esclusivamente le eccezioni in senso proprio, attinenti cioè a fatti modificativi, estintivi o impeditivi, e non anche le contestazioni sull’esistenza del fatto costitutivo della domanda o di elementi dello stesso, le quali devono ritenersi implicitamente comprese nella richiesta di rigetto dell’appello formulata dall’appellato vittorioso nel giudizio di primo grado (Cass., 20 giugno 2005, n. 13218; Cass., 3 febbraio 1996, n. 927). Nel caso in esame, poichè la decisione impugnata ha confermato quella di primo grado, con la quale, annullandosi l’avviso di accertamento, sono state interessate, in via consequenziale, anche le sanzioni, il problema della riproposizione delle eccezioni ad esse relative, non assume, a ben vedere, autonoma rilevanza.

3. Anche il secondo motivo è inammissibile. Invero si denuncia violazione dell’art. 654 c.p.p., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 e art. 2727 e ss. c.c., nonchè vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5 unicamente sotto il profilo del valore probatorio accordato dalla commissione regionale all’assoluzione del contribuente in sede penale. Deve tuttavia rilevarsi come, sia pure in termini sintetici, il rigetto dell’appello dell’Ufficio viene motivato, in via principale, sotto il profilo del mancato assolvimento, da parte dello stesso, dell’onere probatorio inerente all’evasione dell’imposta, senza che nei confronti di tale ratio decidendi sia stato svolto alcun rilievo.

Deve:, pertanto, trovare applicazione il principio secondo cui, quando la statuizione impugnata sia fondata su più ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali sia giuridicamente e logicamente idonea a sorreggere la pronuncia, l’omessa censura di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto d’interesse, il motivo di ricorso per cassazione relativo alle altre, in quanto la sua eventuale fondatezza non potrebbe mai condurre all’annullamento della sentenza, essendo divenuta definitiva la motivazione autonoma non impugnata (Cass., 26 gennaio 1988, n. 631; Cass. 8 febbraio 2006, n. 2811; Cass., Sez. Un. 8 agosto 2005, n. 16602).

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo, specificamente, al rilievo ufficioso dell’inammissibilità del secondo motivo e all’infondatezza dell’eccezione di tardivita del ricorso, per l’integrale compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile – tributaria, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2010

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