Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11782 del 14/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 14/05/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 14/05/2010), n.11782

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

T.M., nella qualità di unico erede di T.

V. elettivamente domiciliato in Roma, Via Innocenzo XI, n. 8

(studio Avv. Orazio Castellana), nello studio dell’avv. Savito

Tommaso, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– intimato –

avverso la sentenza della C.T.R. della Sicilia, Sezione distaccata di

Siracusa, n. 18, depositata in data 9 marzo 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienze del 12

gennaio 2010 dal consigliere Dott. Pietro Campanile;

Udito l’Avv. Generale dello Stato Alessia Urbani Neri, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Wladimiro De Nunzio, il quale ha concluso per l’accoglimento

del ricorso.

 

Fatto

1.1 – La Commissione tributaria provinciale di Siracusa, con decisione n. 412/01/2000, accoglieva il ricorso proposto da T.V. avverso l’avviso di accertamento nei suoi confronti emesso dall’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette in relazione ad IRPEF ed ILOR per l’anno 1992, con cui, ritenute inesistenti le operazioni relative ad acquisti risultanti dalle fatture emesse dalla società Halaesa Olii, venivano recuperati a tassazione i relativi costi, accertandosi un reddito di impresa pari a L. 128.918.000.

1.2 – La Commissione tributaria regionale della Sicilia, con la decisione indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dall’Ufficio, richiamando, in particolare, la sentenza di assoluzione pronunciata in sede penale nei confronti del T..

1.3 Avverso detta decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Si è costituito con controricorso T.M., quale unico erede dell’intimato, nelle more deceduto, eccependo, in via pregiudiziale, l’inammissibilità, in quanto tardivamente proposto, del ricorso, del quale ha chiesto, in ogni caso, il rigetto.

Diritto

2.1 – Va preliminarmente rilevata l’infondatezza dell’eccezione di tardività del ricorso, sollevata dal controricorrente, secondo cui, la notifica, effettuata in data 26 aprile 2006, sarebbe intervenuta oltre il termine previsto dall’art. 327 c.p.c., a fronte del deposito della sentenza di secondo grado, non notificata, in data 9 marzo 2005.

Giova innanzitutto richiamare il principio dell’applicabilità al processo tributario dell’art. 330 c.p.c., e, conseguentemente, il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui detta disposizione, nella parte in cui afferma che, dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza, l’impugnazione, se è ancora ammessa, si deve notificare alla parte personalmente, deve essere interpretata nel senso che essa si riferisce al termine di decadenza indicato nell’art. 327 c.p.c., il quale, dopo l’entrata in vigore della L. 7 ottobre 1969, n. 742, rispetto alle cause in cui opera la sospensione feriale dei termini, ha la maggior durata corrispondente al periodo di detta sospensione feriale, il quale va dal 1 agosto al 15 settembre di ciascun anno (Cass., 4 luglio 2007, n. 15123; Cass., 12 novembre 2004, n. 21514; Cass. 15 settembre 2004, n. 18572; Cass. 11 novembre 2003 n. 16945; Cass. Sez. un. 20 dicembre 1993 n. 12593).

Tanto premesso, va osservato che dall’esame del timbro apposto dall’Ufficiale giudiziario sul margine destro del frontespizio del ricorso, completo – contrariamente a quanto si afferma nel controricorso – della relativa sottoscrizione mediante sigla, si rileva chiaramente la data di consegna dell’atto, 24 aprile 2006, ultimo giorno utile per la notifica del ricorso, che, pertanto, è tempestiva, essendo ormai principio più volte enunciato da questa Corte di legittimità che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002 – con la quale è stata dichiarata l’illegittimità del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3, nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario, anzichè a quella, antecedente, della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, deve ritenersi già operante nel diritto positivo, senza bisogno di un nuovo intervento da parte del giudice delle leggi, un principio generale secondo il quale – qualunque sia la modalità di trasmissione – la notifica di un atto processuale, almeno quando essa debba compiersi entro un determinato termine, si intende perfezionata, per il notificante, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario che funge da tramite necessario nel relativo procedimento vincolato, senza quindi che possa influire negativamente per la parte il mancato tempestivo perfezionamento della medesima notifica, ove non a lei imputabile (cfr., ex multis, Cass. n. 6906 del 2004). Deve altresì ribadirsi che, ove non venga esibita la ricevuta di cui al D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 129, art. 109 la prova della tempestiva consegna all’ufficiale giudiziario dell’atto da notificare può essere ricavata dal timbro apposto su tale atto recante il numero cronologico e la data; solo in caso di contestazione – in realtà, non sollevata nel caso si specie – della conformità al vero di quanto da esso indirettamente risulta, l’interessato dovrà farsi carico di esibire idonea certificazione dell’ufficiale giudiziario, la quale, essendo diretta a provare l’ammissibilità del ricorso, potrà essere esibita secondo le previsioni dell’art. 372 c.p.c. (Cass., Sez. Un. 20 giugno 2007, n. 14294; Cass. 1 settembre 2008, n. 22003).

2.2 – Nella decisione impugnata vengono dedicate poche righe alle questioni sollevate con l’atto d’appello dall’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Siracusa: “L’Ufficio non prova che l’evasione si sia verificata e lo stesso Tribunale di Messina, in sede penale, ha assolto il T. con la formula sopra menzionata”.

2.3. – Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa pronuncia in ordine ai motivi d’impugnazione relativi alla distribuzione dell’onere della prova e al suo assolvimento nella presente fattispecie. Con il secondo motivo si deduci violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 e art. 2727 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, richiamandosi, in particolare, la diversità dei canoni probatori vigenti nel provvedimento penale ed in quello tributario.

2.4 – Il ricorso, è stato proposto rispettando, “ante litteram” (la decisione impugnata è stata pubblicata il 9 marzo 2005), i requisiti formali richiesti dall’art. 366 bis c.p.c. : per tale ragione non vi è luogo per la verifica della corretta formulazione dei quesiti di diritto, risultando, del resto, adeguatamente osservato il principio di autosuffcienza.

Tanto premesso, entrambi i motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, in quanto intimamente collegati, sono fondati.

Invero la Commissione tributaria regionale, nella motivazione oltremodo sintetica sopra richiamata, non ha proceduto all’esame delle questioni, introdotte con l’atto di appello, inerenti agli aspetti di natura probatoria, in quanto, pur avendo enunciato, in narrativa, i rilievi dell’appellante circa l’onere, a carico del contribuente, di fornire la prova contraria di quanto contestato, ha apoditticamente affermato – senza esaminare adeguatamente il tema inerente all’onus probandi, che “l’Ufficio non prova che l’evasione si sia verificata”.

Deve in ogni caso richiamarsi, a tale riguardo, il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni deve essere fornita dal contribuente mediante l’esibizione dei documenti contabili legittimanti (Cass. n. 1727/07). Ed infatti, se è vero che l’Amministrazione non può limitarsi ad una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, è altrettanto vero che resta onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni (arg. da Cass. n. 21953/07).

Per altro verso, deve richiamarsi il consolidato principio, disatteso nella sentenza impugnata, secondo cui, ai sensi dell’art. 654 c.p.p. l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna e, pertanto, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Il giudice tributario, quindi, non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributar, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cass., 18 gennaio 2008, n. 1014, proprio in tema di utilizzazione di fatture relative a operazioni inesistenti;

Cass., 14 maggio 2007, n. 10960).

3. Il ricorso, nei termini sopra precisati, deve essere pertanto accolto; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia, che si atterrà nel decidere, ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.

PQM

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile – tributaria, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2010

 

 

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