Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11781 del 14/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 14/05/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 14/05/2010), n.11781

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i

cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, sono domiciliati;

– ricorrenti –

contro

D.T.A.;

– intimata –

avverso la sentenza della C.T.R. del Molise, n. 198/1/02, depositata

in data 16 settembre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienze del 12

gennaio 2010 dal consigliere Dott. Pietro Campanile;

Udito l’Avv. Generale dello Stato Alessia Urbani Neri, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Wladimiro De Nunzio, il quale ha concluso per l’accoglimento

del ricorso.

 

Fatto

1.1 D.T.A., quale erede del coniuge P.G. F., proponeva ricorso avverso avviso di mora relativo ad IRPEF ed interessi su redditi soggetti a tassazione separata conseguiti dal predetto dante causa nell’anno 1979, all’esito di cessione d’azienda. Veniva eccepita tanto la prescrizione del credito erariale, quanto il vizio derivante dall’omessa notifica, alla ricorrente, degli atti impositivi.

1.2 – La Commissione tributaria provinciale di Campobasso, con decisione n. 381/03/1999, accoglieva il ricorso.

1.3 – La Commissione tributaria regionale del Molise, con la decisione indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dall’Ufficio delle Entrate di Campobasso, affermando, fra l’altro, che mancava qualsiasi prova di quanto dedotto dall’appellante, secondo cui l’avviso di mora impugnato dalla D.T. era stato preceduto da una serie di atti, emessi nel corso di un giudizio, successivamente conclusosi, promosso proprio da costei con riferimento all’avviso di accertamento emesso nei confronti del defunto marito.

1.4 Avverso detta decisione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e L’Agenzia delle Entrate hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico e complesso motivo. La parte intimata non si è costituita.

Diritto

2.1 – Con unico motivo di ricorso è stata dedotta omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 e art. 2946 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5.

Si è sostenuto, in particolare, che la motivazione della decisione impugnata non troverebbe “alcuna corrispondenza nei fatti di causa come riportati nell’atto di impugnazione”, poichè “l’ufficio aveva dedotto e provato (merce la produzione, in allegato al gravame, di tutti gli atti processuali relativi) la circostanza della tempestiva notifica alla contribuente odierna intimata, nella qualità di erede, dell’avviso di accertamento della maggiore imposta … e della conseguente, tempestiva impugnazione di quest’ultimo (la data del 22.1.1986 riferendosi, appunto, all’impugnativa dell’avviso di accertamento e non già della fantomatica cartella menzionata dalla CTR)”.

Il ricorso è inammissibile, essendo del tutto evidente che i ricorrenti denunciano esclusivamente un travisamento dei fatti.

Infatti oltre a rilevarsi che la Commissione tributaria regionale avrebbe erroneamente affermato che sarebbe stata impugnata una cartella e non un avviso di mora, sarebbe stato altresì disatteso il dato, così come emergente dalla documentazione prodotta, relativo al giudizio – le cui cadenze sarebbero incompatibili con la ritenuta prescrizione – promosso dalla stessa D.T., e concernente proprio l’impugnazione dell’avviso di accertamento, giudizio da cui era derivata la successiva iscrizione a ruolo a titolo provvisorio effettuata sulla base della sentenza di primo grado.

Appare evidente come le censure dei ricorrenti, pur formulate con riferimento alla violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 e dell’art. 2946 c.c., nonchè a un vizio motivazionale, siano caudatarie dell’attribuzione al giudice di secondo grado di premesse di natura fattuale – la D.T. avrebbe impugnato per la prima volta nell’anno 1995 una cartella e non già un avviso di mora, preceduto da una serie di atti che erano stati ritualmente notificati – che, nella misura in cui si risolvono in un palese errore di percezione, concretano un vizio di natura revocatoria. Ben vero, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, che il collegio condivide e intende in questa sede confermare, l’errore revocatorio, previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, è quello dovuto alla falsa percezione di una circostanza decisiva in contrasto con quanto manifestamente emergente dagli atti, ossia l’errore che, consistendo in una mera svista materiale, abbia indotto il giudice ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto che i documenti e gli atti di causa escludevano, ovvero l’inesistenza di un fatto che, da tali atti e documenti, risultava invece positivamente affermato (Cass. S.U. 1997/5303; Cass. 1999/1232; 1999/12983; 2000/2057; 2004/9198;

2006/3190; 2006/7127; 2006/9396).

Pertanto, l’errore di fatto non deve cadere su di un punto controverso , sul quale il giudice si sia pronunciato e deve avere il carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza la necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche (Cass. 1999/6388; 1999/9120;

2002/15522; 2004//23592; 2006/7812; 2007/2713), con la conseguenza che l’errore di fatto, quale errore meramente percettivo (Cass. 2008/5075), non può concernere l’attività valutativa, da parte del giudice, di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (Cass. 94/9979; 2000/314; 2005/6198; 2006/14766) e quindi l’erroneo apprezzamento di risultanze processuali (Cass. 2000/14840; 2003/15466; 2006/10807), o il vizio di ragionamento sui fatti assunti, ricorrendo in tali ipotesi errore di giudizio (Cass. 2008/5075), qualora i fatti segnalati abbiano formato oggetto di esatta rappresentazione e poi di discussa valutazione (Cass. 1998/4859; 1999/4145; 1999/4196; 2006/2478).

La ratio decidendi della decisione impugnata si fonda sulla decorrenza del termine decennale di prescrizione, in assenza della dimostrazione dell’esistenza di eventi interruttivi. A tale conclusione si perviene affermando – contrariamente al vero, secondo i ricorrenti – che non sarebbe stata allegata alcuna documentazione relativa all’impugnazione proposta dalla D.T. nell’anno 1986, così confermandosi la decisione di primo grado nella quale, come emerge dallo stesso ricorso, “l’iscrizione a ruolo in esame, oltre ad essere nulla per assoluta carenza di motivazione, sarebbe illegittima perchè non preceduta da altri atti impositivi nei confronti della D.T. e probabilmente neppure nei confronti dello stesso coniuge”.

Appare quindi evidente il carattere decisivo dell’errore di percezione consistente nell’affermazione dell’inesistenza della documentazione richiamata dall’ufficio appellante, come tale riconducibile nell’ipotesi prevista dall’art. 395 c.p.c., n. 4, secondo un costante orientamento di questa Corte, che ha sempre ribadito che il mancato esame di documenti che il giudice motivi con l’affermazione che non risultino inclusi tra gli atti del processo non può che essere prospettato come errore di fatto nel quale il giudice sarebbe incorso per una mera svista materiale, errore rispetto al quale l’unico rimedio esperibile è quello della revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 (Cass., 18 marzo 2004, n. 5475; Cass., 16 maggio 2000, n. 6319; Cass. 17 luglio 1997, n. 6556; 23 marzo 1998, n. 3074; Cass., 20 maggio 1992, n. 6082, dove si precisa che, come verificatosi nella specie, la questione dell’esistenza del documento non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata).

Non va adottata alcuna statuizione in merito alle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile – tributaria, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2010

 

 

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