Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1178 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 18/09/2020, dep. 21/01/2021), n.1178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 22911 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.S., in proprio e nella qualità di (ex)titolare della

ditta individuale ” P.S.”, rappresentato e difeso, giusta

procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv.to Stefano

D’Acunti, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore

in Roma, Viale delle Milizie n. 9;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, n. 1003/14/2014, depositata in data 19 febbraio

2014, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 settembre 2020 dal Relatore Consigliere Dott.ssa Putaturo Donati

Viscido di Nocera Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 1003/14/2014, depositata in data 19 febbraio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio, accoglieva l’appello proposto da P.S., titolare di ditta individuale, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 286/58/13 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva rigettato il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio aveva contestato nei confronti della ditta P., maggiore reddito imponibile, ai fini Irpef, add. reg. e add. com., Irap e Iva, per l’anno 2004, sulla base della rilevata incongruità dei ricavi dichiarati rispetto a quelli desumibili dallo studio di settore e della reiterata antieconomicità del comportamento individuale, con applicazione di una maggiore percentuale di ricarico (dal 20% indicata al 64,37% con un modesto abbattimento rispetto a quella prevista dagli studi di settore) sul costo del venduto;

-in punto di diritto, la CTR ha osservato che:1) l’accertamento in questione basato sull’applicazione degli studi di settore era nullo in quanto l’Agenzia delle entrate non aveva previamente instaurato il contraddittorio con il contribuente; 2)dalla documentazione emergeva infatti che l’Agenzia, con le comunicazioni del 23.5.2008 e del 30.3.2009, aveva convocato il contribuente in ufficio con la richiesta di fornire documentazione, in nessuno dei due casi contestando una presumibile discordanza rispetto al reddito dichiarato, emersa solo nell’avviso di accertamento;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso il contribuente;

– il contribuente ha depositato memoria ex art. 380bis.1. c.p.c.;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

-preliminarmente infondata si profila l’eccezione di inammissibilità dell’intero ricorso per difetto di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, poichè l’esposizione dei fatti di causa e delle ragioni a sostegno dei motivi proposti, con indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, appaiono sufficienti per la comprensione del thema decidendum;

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’avviso di accertamento in questione, in quanto emesso in base alle risultanze dello studio di settore, fosse nullo per mancata preventiva instaurazione del contraddittorio, ancorchè, nella specie, nell’atto impositivo l’Amministrazione avesse fatto riferimento non soltanto allo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione degli studi di settore ma anche all’antieconomicità dell’attività svolta, caratterizzata da redditività negativa e indicatori economici non coerenti, senza, peraltro, che il contribuente, regolarmente convocato dall’Ufficio con la richiesta di fornire documentazione, avesse giustificato i dati risultanti dalla dichiarazione;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio, per non avere la CTR considerato che – come eccepito dall’Agenzia nelle controdeduzioni al ricorso introduttivo – il contribuente – nel corso del contraddittorio regolarmente svoltosi – non aveva mai provveduto a fornire documentazione contabile o extracontabile atta a giustificare la rilevata anomala gestione aziendale;

– va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del primo motivo in quanto, ad avviso del controricorrente, finalizzato alla revisione di una valutazione in fatto già operata dal giudice di appello. E, invero, l’inquadramento dell’accertamento in questione in quello effettuato “mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore” ovvero in quello analitico-induttivo “misto” di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può per conseguenza formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quel che concerne la descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni, sul piano degli effetti, conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (in termini, Cass., ord. 5 dicembre 2017, n. 29111; n. 8473 del 2018); da qui, la corretta evocazione in rubrica delle norme che la ricorrente assume violate, per avere la CTR, ad avviso dell’Agenzia, applicato alla fattispecie concreta una norma che ad essa non si addice;

– risulta priva di pregio anche l’altra eccezione di inammissibilità del motivo per avere l’Amministrazione sollevato, per la prima volta in appello, l’argomentazione circa, in ogni caso, l’avvenuto espletamento del contraddittorio con il contribuente (a seguito di regolare invito e due incontri con il contribuente), trattandosi di una argomentazione che, nell’impianto del motivo, risulta svolta ad abundantiam, non incidendo sulla ragione sottesa alla censura della non obbligatorietà del contraddittorio medesimo, come formale invito a contraddire, in caso di accertamento analitico-induttivo “misto”;

– il primo motivo è fondato;

– va premesso che nella parte in fatto della sentenza impugnata si evince che – come rilevato anche dal contribuente nell’atto di appello l’accertamento in questione era basato sulla rilevata incongruità dei ricavi dichiarati rispetto agli studi di settore (rivendita di abbigliamento femminile) nonchè sulla riscontrata antieconomicità del comportamento imprenditoriale, ricondotta agli ultimi otto esercizi, con applicazione da parte dell’Ufficio di una percentuale di ricarico dal 20% indicato al 64,37% con un modesto abbattimento rispetto a quella prevista per gli studi di settore;

-pertanto, posto che, nella specie, era incontestata la natura dell’accertamento in questione fondato in quanto tale non solo sull’applicazione degli studi di settore ma anche sulla rilevata antieconomicità del comportamento, la CTR ha erroneamente sussunto la fattispecie concreta nella tipologia dell’accertamento standardizzato-retto dalla regola del necessario preventivo contraddittorio – in luogo che in quella dell’accertamento analitico-induttivo “misto” di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, per il quale non vi era necessità del contraddittorio preventivo; infatti, trattandosi di un accertamento “misto”, il preventivo contraddittorio – inteso come formale invito a contraddire- non era previsto a pena di nullità (v. in tal senso, da ultimo, Cass. n. 1505 del 2020; n. 10905 del 2019 n. 27401 del 2017); ciò, fatto salvo il rispetto, in tema di Iva, nei casi – come nella specie di accertamento a tavolino – dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione, purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass., sez. 5, n. 1505 del 2020; Cass., sez. 5, n. 20036 del 2018; Cass., sez. un., n. 24823 del 2015); nel caso in esame, il contribuente non ha assolto correttamente alla c.d. prova di resistenza, in quanto, pur elencando in controricorso le circostanze, ulteriori a quelle già esposte, che avrebbe rappresentato se fosse stato promosso dall’Ufficio il contraddittorio nei suoi confronti, in violazione del principio di autosufficienza, ha omesso di riprodurre, nelle parti rilevanti, il contenuto del ricorso introduttivo nel quale avrebbe dedotto tali circostanze nè tantomeno ha allegato al controricorso il ricorso introduttivo, onde permettere a questa Corte di verificare gli esatti termini della questione e di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza della censura, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa;

– l’accoglimento del primo motivo di ricorso rende inutile la trattazione del secondo, con assorbimento dello stesso;

– in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; con cassazione della sentenza e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso; assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione;

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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