Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1178 del 18/01/2018
Civile Sent. Sez. 1 Num. 1178 Anno 2018
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: ACIERNO MARIA
Data pubblicazione: 18/01/2018
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SENTENZA
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sul ricorso 27254/2015 proposto da:
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Cocco Anna Paola, elettivamente domiciliata in Roma, Via G.
Il
Ramusio n.6,
presso lo studio dell’avvocato
rappresentata e difesa dall’avvocato
Tinari Alfonso,
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-ricorrente contro
Pietropaolo Piero,
domiciliato in
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Ciancaglini Sonia, giusta
procura in calce al ricorso;
Roma, Piazza Cavour, presso la
Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso
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dall’avvocato
Vassalli
Silvana,
giusta
procura
in
calce
al
controricorso;
-controricorrente –
avverso la
sentenza
n.
931/2015
della
CORTE
D’APPELLO di
L’AQUILA, depositata il 22/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
14/07/2017 dal con s. ACIERNO MARIA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale ZENO
IMMACOLATA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato S. Vassalli che ha chiesto il
rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte d’Appello di L’Aquila ha dichiarato efficace la sentenza
pronunciata
il
15
novembre
2012
dal
Tribunale
Ecclesiastico
Regionale Abruzzese di Chieti, ratificato dal Tribunale ecclesiastico di
Benevento e resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura
Apostolica, con la quale è stata dichiarata la nullità del matrimonio
celebrato con rito concordatario tra Pietro Pietrapaola e Anna Paola
Cocco.
A sostegno della decisione, per quel che ancora interessa,
ha
affermato:
a) La nullità è stata dichiarata per grave difetto di discrezione di
giudizio nell’attore circa
i diritti ed
i doveri
matrimoniali
essenziali per mancanza di libertà interiore;
b) La contrarietà al parametro dell’ordine pubblico della sentenza
ecclesiastica per essere stata la convivenza matrimoniale più
estesa del triennio non sussiste perché al di là della mera
coabitazione, protrattasi per circa dieci anni, tra i coniugi non si
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è instaurata quella “consuetudine di vita coniugale, stabile e
continuata nel tempo, ed esteriormente riconoscibile attraverso
corrispondenti,
specifici
fatti
e
comportamenti”
richiesta
secondo i principi consolidati nel nostro ordinamento. Dopo un
primo periodo di serenità tra i coniugi erano sorti presto
dissapori causati da scelte non condivise circa un possibile
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trasferimento della famiglia e circa la conduzione in locazione di
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un appartamento al mare oltre che incomprensioni provocate
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dalla prematura morte della figlia.
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c) La mancanza di libertà interiore del Pietropaolo al momento
della
celebrazione
Tribunale
del
ecclesiastico
matrimonio
è stata
sulla
del
base
pare
accertata
dal
tecnico
del
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consulente tecnico d’ufficio. Tale accertamento non può essere
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sindacato in sede di delibazione.
Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione
Anna paolo Cocco con due motivi.
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Nel primo viene dedotto il vizio di motivazione e la violazione della l.
n. 121 del 1985, art. 8, dell’art. 123 cod. civ. e dell’art. 29 Cost.
Viene rilevato in particolare che nel giudizio di separazione personale
il Pietropaolo nulla ha dedotto in ordine al vizio genetico che ha dato
luogo alla nullità dichiarata dal Tribunale ecclesiastico e che la crisi
coniugale è sopravvenuta successivamente all’instaurazione di un
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rapporto stabile e continuativo per più di tre anni. L’intollerabile
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prosecuzione della convivenza è stata fondata su cause oggettive e
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non sulla responsabilità di uno dei due coniugi. E’ mancata nella
sentenza della Corte d’Appello l’individuazione di un riferimento
temporale al quale ancorare la crisi coniugale. L’esistenza di conflitti
non può essere considerato un presupposto sufficiente ad escludere
la convivenza effettiva ovvero quella consuetudine di vita coniugale
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comune, stabile e continua nel tempo esteriormente riconoscibile
attraverso corrispondenti specifici fatti e comportamenti che danno
vita ai diritti ed ai doveri di solidarietà inderogabili, propri del
rapporto coniugale.
Nel secondo motivo viene lamentato che nonostante le specifiche
istanze istruttorie al riguardo non si è dato luogo ad un accertamento
effettivo della riconoscibilità esteriore della convivenza coniugale.
Inoltre è stato ritenuto errato il mancato esame nel merito delle
condizioni psichiche del Pietropaolo al momento del matrimonio, da
ritenersi legittime quando il giudizio ecclesiastico si è svolto nella
contumacia della parte convenuta.
Il primo motivo deve essere dichiarato inammissibile dal momento
che la Corte d’Appello ha svolto un insindacabile accertamento di
fatto in ordine alla mancanza di un’effettiva comunione di vita
coniugale nonostante la formale durata del vincolo per 10 anni. Al
riguardo la parte ricorrente ha contrapposto soltanto una diversa
valutazione dei fatti fondata sull’esistenza dell’affectio coniugalis per
un periodo superiore a tre anni. Tale affermazione, tuttavia, oltre ad
essere del tutto generica, in particolare sotto il profilo cronologico,
richiede lo svolgimento da parte del giudice di legittimità di un
accertamento di fatto che gli è precluso. E’ inammissibile anche la
censura formulata ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., all’interno del
primo motivo, in quanto prospettata sulla base del parametro
normativa
antevigente
della
norma
(“omessa,
insufficiente
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contraddittoria motivazione”) e non di quello applicabile ratione
temporis alla sentenza impugnata in quanto emessa dopo 1’11
settembre 2012 (”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti”).
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Nel secondo motivo viene dedotta al violazione degli artt. 796 e ss.
cod. proc. civ. per non avere la Corte d’Appello esteso la delibazione
al merito della decisione ecclesiastica, nonostante il giudizio davanti
al
tribunale
ecclesiastico si
fosse
svolto
in
contumacia
della
ricorrente. Viene, infine, censurata, l’omessa ammissione d’istanze
istruttorie
che
comunione
di
avrebbero
vita
determinato
coniugale.
La
l’accertamento
censura
della
è manifestamente
infondata. I limiti di sindacabilità del giudizio ecclesiastico sono
identici se la parte è costituita o contumace quando non si riscontri
un vizio relativo all’instaurazione del contraddittorio. Peraltro in
quest’ultima ipotesi, la sentenza non può essere dichiarata efficace
ma non si determina l’effetto indicato nel motivo. Ma la mera
contumacia non determina alcuna conseguenza sull’oggetto del
giudizio in questione. Per quanto riguarda l’omessa valutazione delle
istanze istruttorie, la censura è inammissibile per genericità perché
non risultano riprodotte nel motivo le predette istanze.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato con applicazione del
principio della soccombenza in ordine alle spese processuali del
presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle
spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in E 3000 per
compensi ed E 200 per esborsi oltre accessori di legge.
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Così deciso nella camera di consiglio del 14 luglio 2017 .