Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11772 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/05/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 27/05/2011), n.11772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26899-2007 proposto da:

Z.G., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAMERINO 15, presso lo

studio dell’avvocato CIPRIANI ROMOLO GIUSEPPE, rappresentata e difesa

dall’avvocato BEVILACQUA GIAMPAOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POLICLINICO S. MARCO S.P.A., in persona del legale rappresentante

prò tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 24, presso lo

studio dell’avvocato CECI PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato

AZZARINI LEONELLO, giusta delega in atti;

– controrscorrente –

avverso la sentenza n. 87/2007 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 28/05/2007 R.G.N. 62/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per l’inammissibilità e in subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 874/1999 il Giudice del lavoro del Tribunale di Venezia in accoglimento delle domande proposte da Z.G. (e da altri dipendenti, tutti ausiliari sociosanitari inquadrati nel terzo livello funzionale) nei confronti della Policlinico San Marco s.p.a., riconosceva il diritto dei ricorrenti all’inquadramento nel quarto livello nella vigenza del contratto collettivo del 1987 e, per il tempo successivo, il diritto (per il contratto collettivo del 1990) di conservare ad personam il solo trattamento economico e normativo. In particolare il giudice riteneva che l’art. 9 del ccnl del 1987. condizionando “l’attribuzione definitiva delle mansioni superiori allo svolgimento prevalente in senso meramente quantitativo – e cioè orario – delle mansioni superiori era in contrasto con l’art. 2103 c.c..

Con sentenza n. 100/2001 la Corte d’Appello di Venezia respingeva sia l’appello principale della società sia l’appello incidentale dei lavoratori.

Avverso la detta sentenza la società proponeva ricorso per cassazione e la Corte di Cassazione con sentenza n. 4946/2004, affermando che la norma collettiva citata non era in contrasto con l’art. 2103 c.c., accoglieva il ricorso. cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Corte di Appello di Trieste.

Quest’ultima, in sede di rinvio, con sentenza depositata il 28-5- 2007, rigettava le domande degli iniziali ricorrenti e compensava le spese di ogni grado e fase del processo.

Per la cassazione di tale sentenza la Z. ha proposto ricorso con un unico motivo.

La Policlinico San Marco s.p.a. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, denunciando vizio di motivazione, premesso che unico compito del giudice di rinvio era quello di riesaminare il materiale probatorio raccolto in primo grado al fine di verificare se, alla luce della previsione contenuta nell’art. 9 ccnl, le mansioni ascrivibili al superiore 4^ livello fossero state espletate con carattere di prevalenza temporale, la ricorrente lamenta che in tale riesame la Corte di Trieste non avrebbe considerato i turni lavorativi svolti, l’organizzazione del lavoro all’interno del Policlinico San Marco nonchè il tempo impiegato nello svolgimento delle mansioni proprie del profilo di appartenenza, il tutto come emerso dalle prove assunte in primo grado (in particolare dalle testimonianze P., F. e S.), dalle quali si sarebbe dovuto “in via deduttiva” concludere che le mansioni proprie dell’ausiliare, di 3^ livello, occupavano il 40/50% del turno mattutino, il 25% di quello pomeridiano e una minima parte di quello notturno, di guisa che la maggior parte della turnazione complessiva veniva impegnata dalla ricorrente in mansioni di diretta assistenza ai degenti.

Il motivo risulta in parte infondato e in parte inammissibile.

Come è stato affermato da questa Corte e va qui ribadito “in caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine ai punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente – indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione – non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento (v. Cass. 14-6-2006 n. 13719).

Al di fuori, poi, della verifica del rispetto dello schema e delle indicazioni di cui alla sentenza rescindente, per il resto il giudizio di merito del giudice di rinvio, ove sia sorretto da motivazione congrua e priva di vizi logici, resta insindacabile, non potendo comunque il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, equivalere “alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità” (v., fra le altre, da ultimo Cass. 7-6-2005 n. 11789 , Cass. 6-3-2006 n. 4766).

Nella fattispecie la sentenza di questa Corte n. 4946/2004, nell’accogliere il ricorso della casa di cura sia per violazioni di legge che per vizi di motivazione, ha affermato che la Corte veneziana “in presenza di una specifica norma contrattuale, non poteva applicare automaticamente il criterio della prevalenza delle mansioni superiori, ma doveva darsi carico di rapportare detto criterio alla “prevalenza nel tempo” dell’espletamento delle mansioni superiori rispetto a quelle di appartenenza”.

La stessa sentenza ha poi rilevato che la pronuncia della Corte di Venezia si rivelava viziata anche per una non corretta interpretazione dell’art. 2103 c.c., in quanto, esulando dai principi inderogabili fissati dalla detta norma, “la possibilità di assegnare al lavoratore mansioni promiscue così come l’individuazione del parametro per l’accertamento della mansione prevalente, ai fini dell’assegnazione della qualifica al lavoratore dipendente, è legittimamente riservata alla contrattazione collettiva, che non può essere disapplicata nè modificata dal giudice di merito”.

Pertanto la sentenza rescindente ha affermato il principio “per cui la norma contrattuale la quale, nell’ipotesi di mansioni promiscue ed ai fini del riconoscimento della qualifica superiore, esiga la prevalenza della mansione superiore nel tempo, precludendo il riconoscimento solo ove questa sia temporanea ed occasionale, non è in contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 2103 c.c., comma 1”.

Orbene i giudici di rinvio, conformemente al principio ed alle indicazioni dettati da questa Corte, dopo aver esaminato analiticamente tutte le risultanze testimoniali, in sostanza hanno valutato anche i turni lavorativi, l’organizzazione del lavoro ed i tempi emersi ed hanno concluso che “nulla di rilevante è risultato in merito ai periodi di attesa ed alla cura, in siffatti periodi, di mansioni di livello superiore o di preparazione ed attesa per detti soli incarichi” e che “nulla in concreto si desume sulla ripartizione temporale e quantitativa delle mansioni dei ricorrenti in seno ad un turno o ad una settimana di turno”, osservando, tra l’altro, che “di notte, per il certo minore presenziamento infermieristico, dette mansioni erano verosimilmente più improntate verso l’alto, atteso che è notorio che di notte non si curano le pulizie dei locali per non arrecare disturbo, ma la notte era uno solo dei turni su un gruppo di quattro turni” e che “inoltre nulla si sa dell’impegno temporale che imponeva lo svolgimento di mansioni di 4^ livello”.

Tale accertamento di fatto, congruamente motivato, risulta conforme al dictum della sentenza rescindente e resiste alla censura dei ricorrenti, che. del resto, da un lato lamentano la mancata considerazione di alcune risultanze testimoniali, il cui contenuto, peraltro, non viene neppure testualmente riportato nel ricorso, così violandosi il principio di autosufficienza del ricorso stesso, e dall’altro, invocano una diversa valutazione dell’intero quadro probatorio ed in sostanza un riesame del merito, inammissibile in questa sede.

Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore della controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese liquidate in Euro 19,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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