Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11772 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 12/05/2017, (ud. 21/12/2016, dep.12/05/2017),  n. 11772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2314-2014 proposto da:

D.S.A., (OMISSIS), considerato domiciliato ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’avvocato BRUNO MASSUCCI giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo procuratore ad

negotia dott.ssa G.G., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo studio dell’avvocato ENRICO

CAROLI, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

GR.MI.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 132/2013 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 05/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2016 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;

udito l’Avvocato BRUNO MASSUCCI;

udito l’Avvocato LETIZIA CAROLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

D.S.A. propone ricorso per cassazione con tre motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Campobasso, depositata il 5 giugno 2013, con la quale è stato confermato il rigetto della domanda da lui proposta per il risarcimento danni alla sua autovettura a seguito dello scontro con un autocarro di proprietà di Gr.Mi., assicurato con la società Unipol. Resiste con controricorso la Unipol Sai, mentre il Gr. non presenta difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. on il primo motivo di ricorso si denunzia erronea illogica e contraddittoria valutazione degli elementi di prova in violazione dell’art. 143 C.d.S. e art. 2054 c.c.

Con il secondo motivo di ricorso si denunzia ancora erronea illogica e contraddittoria valutazione degli elementi di prova in violazione dell’art. 143 C.d.S. e art. 2054 c.c.

2. I due motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico giuridica che li lega e sono inammissibili.

Il ricorrente sostiene che dall’istruttoria svolta risulta provato, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, che l’urto era avvenuto al centro della carreggiata, che l’assenza di tracce di frenata e di scarrocciamento non aveva permesso l’individuazione del punto d’urto e che l’autocarro procedeva ad una velocità doppia rispetto a quella imposta dalla segnaletica e che quindi appariva chiaro e inconfutabile che il sinistro si era verificato a causa della condotta illegittima del convenuto, con grave responsabilità dello stesso,non potendosi affermare l’invasione della mezzeria da parte dell’attore.

3. Si osserva che solo apparentemente il ricorrente denunzia violazione di legge, ma nella sostanza richiede una nuova rivalutazione del fatto, inammissibile in sede di legittimità.

Si ricorda che siamo nella vigenza del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, nella sostanza invocato dal ricorrente, essendo stata la sentenza pubblicata in data 5-6-2013. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014.

Di conseguenza il vizio di motivazione denunziato non corrisponde al modello legale di vizio di motivazione denunciabile oggi in sede di legittimità.

3. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 92 c.p.c..

Il motivo è infondato in quanto correttamente il giudice d’appello nella regolamentazione delle spese processuali ha applicato il principio della soccombenza.

Il ricorso va rigettato e le spese del giudizio seguono la soccombenza, oltre alla condanna ex art. 385 c.p.c., comma 4.

Al presente giudizio è applicabile ratione temporis l’art. 385 c.p.c., comma 4, a norma del quale “quando pronuncia sulle spese (…) la Corte, anche d’ufficio, condanna (…) la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave”. Tale norma è stata infatti aggiunta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 13 e, per espressa previsione dell’art. 27, comma 2 medesimo decreto, si applica ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo, avvenuta il 2 marzo 2006, quale è la sentenza in oggetto.

L’art. 385 c.p.c., comma 4, è stato abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 20. Tuttavia, per espressa previsione della stessa L. n. 69 del 2009, art. 58 “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile (…) si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, vale a dire dopo 4 luglio 2009, mentre il giudizio in oggetto è stato instaurato il 29-1-2003.

Si ritiene che il ricorrente ha proposto ricorso in cassazione con colpa grave, per aver chiesto una valutazione delle prove diversa rispetto a quella compiuta dai due giudici di merito, così prospettando, senza addurre argomenti volti a confutare il diritto vivente, un motivo inammissibile per consolidato orientamento, e comunque non più consentito dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

Tenendo conto dei massimi tariffari e della pedissequa riproposizione delle difese dei primi due gradi, si liquida equitativamente per danno ex art. 385 c.p.c., comma 4° la somma di Euro 2.500,00.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali come per legge,oltre al pagamento della somma di Euro 2.500,00 ex art. 385 c.p.c., comma 4.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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