Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11770 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 05/05/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 05/05/2021), n.11770

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17068/2015 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI 12;

– ricorrente – principale –

contro

B.N., B.A., A.G., tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VALADIER n. 43, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI ROMANO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 4431/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 24/06/2015 R.G.N. 8979/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2020 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 4431 del 2014, pronunciando sull’impugnazione proposta da B.N., B.A. e A.G., nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Benevento, come si legge nel dispositivo della sentenza ha accolto l’appello proposto e per l’effetto in riforma della sentenza impugnata ha dichiarato il diritto di B.N. alla rideterminazione dell’assegno personale della L. n. 549 del 1995, ex art. 3, comma 232, con la inclusione del compenso per la produttività collettiva pari ad Euro 2.225,91 annui. Condannava, altresì, il Ministero a pagare in favore dell’appellante la somma di Euro 18.282,91, a titolo di differenze retributive, oltre accessori dalla maturazione al saldo.

2. Gli appellanti, trasferiti dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato al Ministero dell’economia e delle finanze, avevano adito, con distinti ricorsi, il Tribunale di Benevento chiedendo l’accertamento e conseguentemente la condanna dell’Amministrazione convenuta al pagamento del compenso per la produttività collettiva dalla data della prima ricollocazione ad oggi, oltre accessori, nonchè l’accertamento del diritto a godere del trattamento economico maturato presso l’Amministrazione di provenienza, come rideterminato all’esito del giudizio incardinato, in caso di esercizio dell’opzione di assegnazione ai ruoli degli enti in cui prestavano attualmente servizio, salvo il trattamento di maggior favore riconosciuto ad essi da tali enti in relazione al nuovo inquadramento e/o alla progressione economica.

Il Tribunale rigettava la domanda.

3. La Corte d’Appello, dopo aver ricordato il contenuto precettivo della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 232 e della L. n. 342 del 2000, art. 89, comma 1, richiamati dai lavoratori, tenuto conto delle previsioni della contrattazione collettiva, ha affermato che il compenso per la produttività collettiva non costituiva una voce eventuale ed ipotetica, legata al raggiungimento di obiettivi, ma fissa e continuativa, in quanto la stessa remunerava in concreto la prestazione lavorativa in sè e per sè considerata.

Pertanto, doveva trovare applicazione il principio di effettività di conservazione del trattamento retributivo, anche accessorio, in ipotesi di passaggio aziendale.

Rilevava, quindi, che i conteggi prodotti dagli appellanti non erano stati oggetto di contestazioni.

Pertanto, nel corpo della motivazione della sentenza, il giudice di appello affermava che l’appello andava accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale, andava dichiarato il diritto di B.N., B.A. e A.G. alla rideterminazione dell’assegno personale della L. n. 549 del 1995, ex art. 3, comma 232, con la inclusione del compenso per la produttività collettiva pari ad Euro 2.225,91 annui; condannava l’Amministrazione a pagare in favore di B.N. la somma di Euro 18.282,91, di Euro 16.000,55 in favore di B.A. ed Euro 18.282,91 in favore di A.G. a titolo di differenze retributive oltre accessori dalla maturazione al saldo.

In ragione della novità della questione il giudice di appello ravvisava giusto motivo di compensazione delle spese del doppio grado.

Nel dispositivo la statuizione di accertamento e condanna dell’Amministrazione è stata pronunciata solo rispetto alla sola posizione di B.N..

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il Ministero prospettando un motivo di impugnazione.

5. I lavoratori hanno resistito con controricorso, e hanno proposto ricorso incidentale, deducendo due motivi di impugnazione.

6. In prossimità dell’adunanza camerale i lavoratori hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con l’unico motivo del ricorso principale è dedotta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; vizio di omessa pronuncia, in relazione all’art. 112, c.p.c..

Espone l’Amministrazione che la Corte d’Appello non si sarebbe pronunciata in relazione all’eccezione sollevata nel giudizio di appello di intervenuta prescrizione quinquennale del diritto vantato. La ricorrente riporta l’eccezione proposta in appello, e la motivazione della sentenza di appello dalla quale non si rilevava pronuncia sul punto.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. La deduzione di omessa pronuncia su un’eccezione che si assume proposta in appello, sia pure dedotta come vizio di violazione di legge, integra un motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dovendosi in tal senso qualificare la censura.

In tali casi il vizio della sentenza impugnata discende direttamente dal modo in cui processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver procurato, si spiega il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale, in caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso, ovviamente, come fatto processuale (tra le tante: Cass. n. 14098 del 2009; Cass. n. 11039 del 2006).

2.2. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, hanno precisato che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), “sicchè l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato”.

La parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, affinchè il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. n. 6225 del 2005; Cass. n. 9734 del 2004).

2.3. Tanto non è accaduto nella specie laddove, nel corpo del motivo di ricorso, non sono indicati i contenuti della difesa dell’Amministrazione in primo grado e le statuizioni del Tribunale in modo tale da individuare il dedotto vizio processuale con riguardo all’eccezione proposta in appello e alla prospettata mancata pronuncia. Pertanto il ricorso principale va dichiarato inammissibile.

3. Può passarsi all’esame del ricorso incidentale.

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale, con cui è illustrato il vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, i lavoratori si dolgono che la sentenza di appello, benchè l’impugnazione in secondo grado fosse stata proposta da tutti e tre, ha pronunciato in dispositivo solo nei confronti di B.N., peraltro quantificando erroneamente la somma riconosciutagli (che avrebbe dovuto ammontare a Euro 25.423,17), e senza alcun riferimento alle somme spettanti agli altri ricorrenti in appello.

Espongono che l’istanza proposta alla Corte d’Appello per la correzione di errore materiale era stata respinta atteso che non vi sarebbe stato alcun errore materiale, ma un vizio che poteva costituire oggetto di impugnazione.

4.1. Il motivo è inammissibile.

4.2. La censura ha un duplice contenuto.

Da un lato, i ricorrenti si dolgono della mancata riproduzione materiale nel dispositivo dell’accertamento e condanna affermati nella motivazione della sentenza rispetto a ciascuno di essi, e dunque sottopongono alla Corte istanza di correzione materiale. Dall’altro, contestano la quantificazione della somma dovuta a titolo di differenze retributive a B.N..

4.3. Di talchè il primo profilo di censura, nel sottoporre alla Corte il raffronto tra motivazione e dispositivo della sentenza di appello, va esaminato avendo riguardo alla giurisprudenza di legittimità in materia di correzione di errore materiale e ricorso per cassazione.

4.4. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il procedimento di correzione di errori materiali (di cui agli artt. 287 c.p.c. e segg.) è funzionale alla eliminazione di errori di redazione del documento cartaceo, ma non può in alcun modo incidere sul contenuto concettuale della decisione, con la conseguenza che l’ordinanza che lo conclude non è soggetta ad impugnazione, neppure con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. (atteso il carattere non giurisdizionale, ma meramente amministrativo di tale provvedimento), mentre resta impugnabile, con lo specifico mezzo di impugnazione per essa di volta in volta previsto (il cui termine decorre dalla notifica del provvedimento di correzione), la sentenza corretta, anche al fine di verificare se, mercè il surrettizio ricorso al procedimento “de quo”, sia stato in realtà violato il giudicato ormai formatosi nel caso in cui la correzione sia stata utilizzata per incidere (inammissibilmente) su errori di giudizio (ex multis, da ultimo Cass., n. 20309 del 2019).

4.5. Si osserva, inoltre, che nel rito del lavoro soltanto il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione in difetto della quale prevale il dispositivo.

Tale insanabilità deve, tuttavia, escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga; in tal caso è configurabile l’ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l’esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall’altro, deve qualificarsi come inammissibile l’eventuale impugnazione diretta a far valere il contrasto tra dispositivo e motivazione (Cass., n. 21618 del 2019).

4.6. E’ ben vero che questa Corte (Cass., n. 29029 del 2018) ha affermato che, per ragioni di ragionevole durata e di economia processuale, la correzione dell’errore materiale deve ritenersi purtuttavia possibile anche in sede di legittimità; ma ciò è stato affermato per l’ipotesi in cui l’istanza di correzione sia stata veicolata dalla parte attraverso un ricorso per cassazione contenente (anche) altri e diversi motivi di impugnazione, sicuramente rientranti nella cognizione di questa Corte.

In tal caso, si è osservato, il principio di economia processuale può prevalere solo in forza del fatto che la Corte di legittimità risulti essere stata ammissibilmente investita – appunto su altre domande – di potestà decisionale.

4.7. Tuttavia l’ammissibilità nei limiti anzidetti dell’istanza di correzione di errore materiale, non ne esclude la necessaria devoluzione nel rispetto dei requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, occorrendo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti, di talchè venga offerto al giudice di legittimità il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, e dunque la censura, indispensabile per comprendere il significato e la portata della stessa.

4.8. Tali condizioni non sono nella specie osservate, atteso che nell’istanza di correzione materiale non vi sono allegazioni relative a quegli elementi – quali l’indicazione del contenuto dei separati ricorsi introduttivi del giudizio, del provvedimento della loro eventuale riunione, delle parti e delle statuizioni della sentenza di primo grado, delle deduzioni svolte in appello – volti a far constatare l’effettiva sussistenza di un mero errore materiale come prospettato.

Tale mancanza rileva ancor più laddove si consideri che, come espongono i ricorrenti, la Corte d’Appello avrebbe rigettato la domanda di correzione di errore materiale in quanto non vi sarebbe stato alcun errore materiale.

4.9. Analogamente, in quanto priva di specificità e non circostanziata con riferimento ad allegazioni e prova, in relazione ai requisiti da ultimo richiamati al punto 4.7., è inammissibile la censura volta a contestare la quantificazione delle differenze retributive riconosciute a B.N..

5. Con il secondo motivo del ricorso incidentale è prospettata la violazione e falsa applicazione del combinato disposto ex art. 91 c.p.c., comma 1 e ex art. 92 c.p.c., comma 2.

E’ censurata la decisione che ha compensato tra le parti le spese del doppio grado di giudizio, in quanto la Corte d’Appello avrebbe dovuto indicare le gravi ed eccezionali ragioni, e cioè una ragione effettivamente ed oggettivamente rilevante, che sottendevano il decisum della compensazione, mentre si sarebbe limitata ad enunciare una clausola di stile.

6. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 132 del 2014 e in ragione della sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92 c.p.c., comma 2 (Cass., n. 3977 del 2020, n. 4696 del 2019).

Tale evenienza si è verificata nel caso in esame, laddove la compensazione delle spese del doppio grado è stata disposta in ragione della novità della questione, che costituisce ragione per la compensazione oltre il caso della reciproca soccombenza.

7. Il ricorso incidentale deve essere rigettato.

8. Le spese di giudizio sono compensate tra le parti in ragione della reciproca soccombenza.

9. Come ritenuto dalle Sezioni Unite della Corte, con sentenza n. 9938 del 2014, stante la non debenza delle amministrazioni pubbliche del versamento del contributo unificato, non deve darsi atto, con riguardo all’Amministrazione ricorrente incidentale, della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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