Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11766 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/06/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 18/06/2020), n.11766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21303-2018 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliata in Roma, Via Ugo

Bartolomei 23, presso lo studio dell’avvocato Enrico Ivella, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Marco Dori;

– ricorrente –

contro

E.A., rappresentata e difesa dall’avvocato Pierpasquale

Antonio Maria Monea con studio in Bologna, p.zza Trento e Trieste n.

4;

– controricorrente –

R.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2767/2017 della Corte d’appello di Bologna,

depositata il 21/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/11/2019 dal Consigliere Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente ricorso per cassazione riguarda la sentenza di rigetto dell’appello proposto avverso la pronuncia del Tribunale di Bologna che aveva respinto la domanda revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., introdotta con citazione del 2009 da parte di F.F. nei confronti di R.F. e E.A. ed avente ad oggetto l’atto di vendita della quota di proprietà pari al 50% dell’immobile ceduto ai convenuti con atto notarile del (OMISSIS);

– il tribunale bolognese aveva rigettato la domanda attorea ritenendo, ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 3, che l’alienazione dell’unico bene del debitore era avvenuta per l’adempimento di un debito scaduto che ne aveva giustificato il pignoramento nel 1999 e la cui cessione aveva consentito di ricavare il danaro con cui erano stati tacitati i creditori intervenuti nella procedura esecutiva;

– la corte d’appello con la sentenza qui impugnata aveva ritenuto corretta la statuizione del giudice di prime cure;

– la cassazione della pronuncia d’appello è chiesta dall’amministratore di sostegno del sig. F.F. sulla scorta di un unico motivo, cui resiste E.A. con controricorso, mentre non ha svolto attività difensiva l’intimato R.F..

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 2901 c.c., comma 3, per avere la pronuncia impugnata erroneamente ritenuto che l’operazione di vendita di cui è stata chiesta la revoca era finalizzata all’adempimento di un credito scaduto, senza considerare l’ulteriore requisito che per l’esenzione occorre che la vendita rappresenti l’unico mezzo per reperire la liquidità necessaria ad adempiere al debito scaduto (cfr. Cass. 7747/2016);

– il motivo è infondato perchè la vendita ha rappresentato l’unico mezzo per procurarsi il danaro (non applicandosi il principio della par condicio, sancito a tutela di tutti i creditori nell’esecuzione concorsuale) e salva restando la revocabilità degli ulteriori atti con i quali il debitore abbia disposto della somma residua (cfr. Cass. 14557/2009);

– nè il principio di diritto richiamato, e sancito oltre che nella pronuncia di questa Corte n. 7747/2016 anche in Cass. 14420/2013, risulta violato, atteso che non vi erano altri beni del debitore pignorati, con ciò risultando provato che la vendita di esso era l’unico modo per soddisfare i debiti scaduti;

– atteso l’esito del ricorso ed in applicazione della soccombenza parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente costituita nella misura liquidata in dispositivo;

– parte controricorrente ha inoltre formulato domanda di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., commi 1 e 3;

– la domanda va riqualificata ai sensi dell’art. 385 c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis dal momento che il procedimento cui si riferisce il presente ricorso per cassazione è iniziato con notifica eseguita il 23 giugno-3 luglio 2009 e cioè prima del 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 58, con cui la disposizione in esame è stata abrogata;

– ciò posto la domanda può essere accolta ricorrendone i relativi presupposti;

– è stato ripetutamente affermato da questa Corte che in tema di responsabilità per lite temeraria nel giudizio di cassazione, la condanna ex art. 385 c.p.c., comma 4, non presuppone la domanda di parte nè la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, almeno la colpa grave della parte soccombente, la quale sussiste nell’potesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, situazione che deve ritenersi senz’altro sussistente quando vengano reiterate tesi giuridiche già reputate infondate dal giudice di merito, riproponendo i medesimi argomenti da quel giudice compiutamente ed analiticamente confutati, senza tenere nella minima considerazione le ragioni per le quali erano state ritenute inaccoglibili e senza sottoporre ad alcuna critica tali ragioni (cfr. Cass. 28658/2017; 17814/2019; 4930/2015);

– ciò posto, nel caso di specie la ricorrente non ha fatto altro che reiterare in termini apodittici l’assunto favorevole all’accoglimento della domanda revocatoria senza offrire alcuna argomentazione critica all’orientamento invocato dalla corte territoriale;

– poichè tale orientamento esprime un’interpretazione consolidata nel tempo (cfr. Cass. 11764/2002; 14557/2009; 7747/2016) la carenza argomentativa del ricorso appare fondatamente riconducibile alle fattispecie della colpa grave come enucleate dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata;

– quanto alla determinazione dell’importo dovuto alla controparte appare equo fissarla, nel rispetto dei limiti indicati dall’art. 385 c.p.c., u.c., in Euro 2000,00;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente e liquidate in Euro 5200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre 15% per rimborso spese generali ed oltre accessori di legge. Visto l’art. 385 c.p.c., u.c., condanna la ricorrente al pagamento di Euro 2000,00 a favore del controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile-2, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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