Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11765 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/05/2011, (ud. 30/03/2011, dep. 27/05/2011), n.11765

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12079-2007 proposto da:

L.P.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato MALANDRINO GIANLUIGI,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ S.I.D.A. (Società Italiana di Assicurazioni) S.P.A. in

liquidazione, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELANGELO

TILLI 43, presso lo studio dell’avvocato GRAZIANI LUCA, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3077/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/06/2006 R.G.N. 5458/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato MALANDRINO GIANLUIGI;

udito l’Avvocato GRAZIANI LUCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Roma, con sentenza depositata il 26.6.2006, confermava la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva rigettato la domanda, proposta da L.P.R. ai sensi dell’art. 98, L. Fall., di opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della s.p.a. S.I.D.A., e di ammissione del credito relativo all’indennità sostitutiva del preavviso, ex art. 13 dell’Accordo Nazionale Agenti Imprese del 1981, per la cessazione del rapporto di agente assicurativo, e dell’indennità supplementare ex art. 12, comma 4, del medesimo AEC. La Corte di merito, per quanto ancora rileva, premesso che, nella fattispecie in esame, la risoluzione del rapporto d’agenzia costituiva evento nascente direttamente dalla legge e, in maniera specifica, dal D.L. 26 settembre 1978, n. 576, art. 6 convertito nella L. 24 novembre 1978, n. 738 (che si riferisce indistintamente a tutte le imprese di assicurazione poste in liquidazione coatta amministrativa), osservava che detta normativa estintiva dei rapporti di agenzia, costituiti con impresa di assicurazioni, prevale quale disciplina speciale, con la conseguenza che non sono richiamabili le generali disposizioni di cui agli artt. 2118 e 2119 c.c..

La Corte di merito osservava anche, più specificamente, che il citato D.L. n. 576 del 1978, art. 6, art. 6 pone a carico della liquidazione coatta amministrativa dell’impresa di assicurazioni soltanto l’indennità di fine rapporto, sicchè non sono sostenibili, in virtù di detta normativa e della sua lettura giurisprudenziale, le argomentazioni della parte appellante intese al riconoscimento dell’indennità di preavviso di cui all’art. 13 dell’Accordo nazionale del 1981 e dell’indennità supplementare di cui all’art. 12, commi 4 e segg., basate sull’applicazione analogica della normativa civilistica e su di un’interpretazione del detto accordo collettivo nel senso della previsione del riconoscimento delle dette indennità nelle ipotesi in cui il recesso sia ascrivibile all’impresa preponente e non sia sorretto da giusta causa, ipotesi nell’ambito delle quali sarebbe riconducibile anche il caso di messa in liquidazione coatta amministrativa non dimostrata come incolpevole da parte dell’impresa.

Tali argomentazioni, secondo la Corte d’appello, sono incompatibili con il citato art. 6, il cui disposto è correlato ad una valutazione legislativa volta al contemperamento della tutela patrimoniale dell’agente con quella degli altri creditori, e alla previsione, contenuta nello stesso art. 6, sulla automatica ricostituzione dei rapporti con l’impresa cessionaria del portafoglio (che rende priva di funzione la corresponsione dell’indennità di preavviso e di quella supplementare, collegata quest’ultima alla perdita della clientela a norma dell’art. 12, comma 4 e segg., della contrattazione nazionale).

La ex agente ricorre per cassazione con quattro motivi. La S.p.a.

SIDA in l.c.a. resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. con riferimento all’art. 12 AEC 1981, unitamente a vizio di motivazione. Si lamenta che si sia esclusa l’equiparazione della sottoposizione dell’impresa a liquidazione coatta amministrativa al recesso dell’impresa, ai fini del diritto all’indennità sostitutiva del preavviso prevista dall’art. 12, art. comma 4, AEC 1981.

1.2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 576 del 1978, art. 6 convertito nella L. n. 738 del 1978. Si sostiene che l’art. 6 cit. nel suo complesso non intende sottrarre agli agenti alcuno dei diritti riconosciuti dal accordi economici collettivi, che sono espressamente richiamati.

1.3. Il terzo motivo denuncia errata applicazione del principio, di cui all’art. 14 preleggi, secondo cui la norma speciale deroga a quella generale.

Si afferma che, mentre l’AEC, che l’art. 1753 c.c. promuove al rango di fonte normativa primaria per i rapporti relativi agli agenti di assicurazione, stabilisce chiaramente che ogni ipotesi risolutoria attuata per iniziativa o per causa comunque riconducibile all’impresa comporta il diritto dell’agente a percepire l’indennità aggiuntiva di cui all’art. 12, non è configurabile alcuna deroga a tale disciplina da parte del D.L. n. 576 del 1978, art. 6 che si limita a stabilire che le indennità di risoluzione sono a carico della liquidatela.

2.1 tre motivi che precedono vengono esaminati congiuntamente, stante la loro potenziale connessione.

2.1. Il D.L. n. 576 del 1978, art. 6, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 738 del 1978, recita: “I rapporti di agenzia costituiti con l’impresa posta in liquidazione coatta sono risoluti di diritto alla data di pubblicazione del decreto con cui è promossa la liquidazione coatta. L’indennità di fine rapporto è a carico della liquidazione.” I commi 2 e 3 prevedono, in relazione all’ipotesi – normalmente ricorrente – di trasferimento del portafoglio dell’impresa posta in l.c.a. ad altra impresa di assicurazione, la ricostituzione dei rapporti di agenzia con la nuova impresa e la disciplina dei medesimi, in linea di massima, secondo le condizioni precedentemente in essere.

E’ opportuno preliminarmente ricordare che sulla tematica proposta dal ricorso questa Corte si è pronunciata più volte, prevalentemente enunciando il principio secondo cui il citato art. 6 deve essere interpretato nel senso che la indennità la cui corresponsione è fatta salva dalla norma è solo quella collegata ad ogni causale di risoluzione del rapporto, compresa la risoluzione ipso iure prevista in caso di sottoposizione dell’impresa di assicurazione a l.c.a., con esclusione invece delle indennità previste dagli accordi economici collettivi in caso di risoluzione del rapporto per volontà delle parti e specificamente per volontà dell’impresa preponente (Cass. n. 3348/1994, 1592/1996, 21650/2005, 23266/2005, 19210/2009).

E’ ravvisatine però un parziale contrasto tra le pronunce richiamate, che, implicitamente o esplicitamente, qualificano come inderogabile tale disciplina, e Cass. n. 17602/2007, secondo cui invece la disposizione di legge non trova applicazione nel caso (di cui peraltro non è affermata la ricorrenza nella presente sede) in cui sia la stessa contrattazione collettiva (nella specie l’art. 12 dell’AEC del 28.7.1994) a prevedere espressamente la corresponsione anche in caso di l.c.a. delle ulteriori indennità di fine rapporto in genere correlata ai casi di scioglimento del rapporto per volontà delle parti. Peraltro Cass. n. 4310/1999, senza espressamente esaminare la questione sulla derogabilità o meno del D.L. n. 576 del 1978, art. 6 aveva ritenuto insindacabile in cassazione l’interpretazione del giudice di merito dell’art. 12 dell’AEC agenti di assicurazione nel senso che prevedesse la corresponsione di una determinata indennità di fine rapporto non solo in caso di recesso del preponente, ma anche in ogni altro caso di interruzione del rapporto per causa anche indirettamente imputabile al medesimo come la sia sottoposizione a l.c.a..

2.2. Passando all’esame specifico dei motivi di ricorso, può rilevarsi che il primo di essi, censurando l’interpretazione compiuta dal giudice di merito di un accordo collettivo nazionale, potrebbe richiedere la preliminare risposta al quesito circa l’applicabilità del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 3 anche nel caso in cui si controverta nel giudizio di cassazione circa l’interpretazione di un contratto o un accordo collettivo nazionale stipulato per la disciplina non dei rapporti di lavoro subordinato ma di rapporti relativi a lavoratori autonomi, come gli agenti. Non è però necessario risolvere tale punto, perchè ha in ogni caso rilievo, rispetto all’ammissibilità del motivo, il fatto che la parte, pur affidando in sostanza il fondamento della sua pretesa alla disciplina degli accordi contrattuali collettivi, ha omesso di fornire un’adeguata specificazione delle sue censure mediante una esposizione circostanziata e completa delle disposizioni contrattuali rilevanti, peraltro omettendo anche completamente il deposito dell’accordo collettivo stesso, in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

2.3. Quanto al secondo motivo, deve rilevarsene l’inammissibilità in relazione all’inadeguatezza del quesito di diritto. In effetti, considerata la data della sentenza impugnata, trova applicazione l’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ed abrogato dalla L. n. 69 del 2009 con decorrenza dal 4 luglio e con riferimento ai ricorsi per cassazione proposti contro sentenze depositate successivamente a detta data (art. 58, comma 5).

La prima parte dell’art. 366-bis richiede che, nelle ipotesi di ricorso di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si concluda a pena di ammissibilità con la formulazione di un quesito di diritto, e la sua seconda parte richiede che, nel caso previsto dall’art. 360, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo contenga, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Come è stato più volte osservato da questa Corte, il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris in quanto tale idonea sia a risolvere la specifica controversia che a ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr. Cass. S.U. n. 3519/2008 e 18759/2008; Cass. n. 11535/2008).

Tale funzione non è conseguita nel caso in esame. Si è chiesto infatti “se la corretta interpretazione del D.L. 26 settembre 1978, n. 576, art. 6 (…) comporti il diritto per l’agente receduto di vedersi riconoscere l’indennità aggiuntiva di cui all’art. 12 40 comma AEC 1981”, omettendosi così sotto molteplici profili (omessa adeguata indicazione della fattispecie, mancata specificazione del contenuto della disciplina contrattuale richiamata, ecc.) di identificare gli estremi di un compiuto principio di diritto.

2.4. Il terzo motivo, corredato da un conclusivo quesito quasi identico, va parimenti qualificato come inammissibile.

3. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.. Si sostiene che avrebbe dovuto procedersi a compensazione delle spese del giudizio per giusti motivi, per l’esistenza di contrasti di giurisprudenza sia in sede di merito che di legittimità.

Anche di questo motivo deve affermarsi l’inammissibilità, vista l’assoluta genericità del conclusivo quesito, con il quale si chiede se, in caso di concorso di giusti motivi, deve essere operata la compensazione delle spese del giudizio.

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio sono regolate in applicazione del criterio legale della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro duemilacinquecento per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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