Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11763 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/05/2011, (ud. 30/03/2011, dep. 27/05/2011), n.11763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12235-2007 proposto da:

D.V.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

STAZIONE DI MONTE MARIO 9, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

GULLO, rappresentato e difeso dall’avvocato MAGARAGGIA GIUSEPPE,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

GESENU S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEI CAPRETTARI 70, presso

lo studio dell’avvocato GUARDASCIONE BRUNO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato VALDINA RODOLFO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 706/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 14/04/2006 R.G.N. 1893/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato VALDINA RODOLFO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.V.L. adiva con ricorso il Tribunale di Lecce esponendo che aveva lavorato alle dipendenze delle varie imprese succedutesi nella gestione del servizio di nettezza urbana del Comune di (OMISSIS) e da ultimo alle dipendenze della S.p.a. GESENU, che lo aveva assunto nel febbraio 1998 e licenziato il 4.7.2000 per superamento del periodo di comporto; che la predetta società lo aveva declassato dal 6^ al 5^ livello, pur continuando a retribuirlo in base al 6^, senza però corrispondergli l’indennità per l’uso dell’auto propria (come in precedenza percepita) e l’indennità per la reperibilità domenicale; che egli aveva diritto, oltre che a dette indennità, al risarcimento del danno per avere espletato mansioni inferiori a quelle spettanti. Tanto premesso, chiedeva la condanna della Soc. Genesu al pagamento in suo favore della somma di L. 85.743.226, oltre accessori.

La società convenuta, resistendo alla domanda, deduceva in particolare che non era ipotizzarle una continuità aziendale con la precedente impresa appaltatrice. Precisava anche che il ricorrente aveva espressamente accettato di essere assunto come operaio specializzato, con inquadramento al 5^ livello contrattuale; che le attività amministrative e/o di gestione erano interamente svolte presso la sede centrale dell’impresa in (OMISSIS) e non vi era possibilità di utilizzare il D.V. nel ruolo e nei compiti svolti presso la precedente impresa appaltatrice; che il ricorrente aveva percepito, a titolo di miglior favore, un trattamento conforme alle previsioni contrattuali, con un compenso ad personam pari alla differenza di retribuzione tra il 6^ e il 5^.

Il Tribunale rigettava la domanda.

Proponeva appello il D.V. censurando la sentenza di primo grado innanzitutto perchè non si era ritenuto applicabile l’art. 2112 c.c..

La Corte d’appello di Lecce rigettava l’impugnazione.

Quanto alla questione della applicabilità dell’art. 2112 c.c., la Corte preliminarmente osservava che essa in realtà non doveva essere affrontata, in quanto nel ricorso introduttivo – come eccepito dalla società appellata – nulla era stato dedotto circa una pretesa successione della società medesima nel rapporto di lavoro; sicchè tale profilo della domanda doveva ritenersi inammissibile, perchè ultra petita. In ogni caso, circa il merito, osservava che la GENESU era subentrata a seguito della stipula di nuovo contratto, sicchè doveva escludersi che vi fosse stata cessione di azienda ex art. 2112 c.c., con successione nei rapporti, mentre si era verificato un mero subentro di un’azienda ad un’altra nella gestione del servizio di nettezza urbana.

Osservava poi che il c.c.n.l. di categoria distingueva nettamente l’ipotesi di “cessione, trasformazione e cessazione dell’attività” da quella di “passaggio di gestione”, con effetti diversi sui rapporti di lavoro. Nella prima ipotesi, infatti, era prevista la permanenza del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità;

nella seconda, invece, era prevista la sua risoluzione, ferma restando la corresponsione di quanto dovuto da parte dell’impresa cessante, nonchè un iter procedurale con la previsione di particolari obblighi per l’impresa cessante e per la subentrante. In particolare, il richiamato art. 4 del c.c.n.l. prevedeva che il subentrante e le organizzazioni sindacali territoriali aziendali dovessero incontrarsi per attuare le procedure relative al passaggio diretto, senza però che ne derivasse un obbligo di assunzione: al contrario, tale procedimento comportava soltanto, nell’ambito del confronto tra datore e sindacati. La verifica della situazione mirata al riassorbimento degli occupati della impresa cessante. Più precisamente, se dal confronto delle opposte esigenze emergeva la possibilità di reimpiego del personale, tali unità dovevano essere avviate alla nuova azienda con passaggio diretto senza ulteriori formalità, con l’obbligo della conservazione dei livelli retributivi precedenti.

Peraltro, quanto al dedotto svolgimento di mansioni inferiori, la Corte osservava che era stato lo stesso D.V. a riconoscere, in sede di interrogatorio, che i compiti di ordine amministrativo, prima a lui affidati dall’impresa cessante, erano stati poi svolti, presso la GENESU, dagli uffici centrali della società in (OMISSIS), i cui funzionari si recavano in (OMISSIS) di tanto in tanto. Ne era derivata la destinazione del D.V. a compiti diversi, peraltro espletati per brevissimo tempo, e cioè dal 20.1.1998 al 16.2.1998, e con il consenso del lavoratore. L’assunzione di un altro lavoratore era avvenuta quando il D.V. non prestava più alcuna attività lavorativa e, peraltro, il medesimo era stato inquadrato nello stesso livello del D.V. con compiti tecnico- operativi di capo cantiere.

Il D.V. ricorre per cassazione con quattro motivi.

La S.p.a. Genesu resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 2112 c.c., unitamente a vizio di motivazione. Si sostiene che la richiesta di applicazione dell’art. 2112 c.c. poteva considerarsi insita nella causa petendi e nel petitum posti con il ricorso introduttivo.

Il motivo non è fondato. Il principio secondo cui il giudice deve qualificare giuridicamente i fatti di causa nella maniera più adeguata in base alle norme che obiettivamente risultino applicabili, in correlazione con il principio iura novit curia, non risulta adeguato a sostenere la tesi di cui al motivo, dovendosi coordinare con i principi relativi alla necessità che la parte che propone una domanda specifichi adeguatamente la causa petendi e il petitum delle sue pretese quanto meno da un punto dei relativi elementi ed aspetti sostanziali, la cui enunciazione è imprescindibile, stante l’esigenza di un’adeguata instaurazione del contraddittorio, anche quale base di un’eventuale più corretta qualificazione delle fattispecie e dei relativi effetti giuridici da parte del giudice.

Il “trasferimento d’azienda” disciplinato dall’art. 2112 c.c. è un fenomeno che ha una sua specifica caratterizzazione sia quanto ad elementi costitutivi, sia quanto ad effetti, consistenti questi ultimi innanzitutto nella continuità dei rapporti di lavoro.

Pertanto la relativa causa petendi può ritenersi adeguatamente introdotta solo se, a prescindere anche dall’impiego di termini giuridici del tutto precisi, la parte, nel formulare la domanda, da un lato, alleghi gli elementi del trasferimento d’azienda in senso proprio oppure di quelle vicende che, secondo la giurisprudenza, anche comunitaria, comportino comunque una valutazione di continuità aziendale, e, dall’altro, postuli la verificazione dell’effetto essenziale del trasferimento d’azienda che è rappresentato dalla continuità del rapporto di lavoro, il quale a sua volta è la base della garanzia della salvaguardia della posizione del lavoratore. Nella specie si è parlato invece è parlato genericamente di assunzione da parte della soc. Genesu che era subentrata nell’appalto relativo al servizio di nettezza urbana, e si è lamentata la dequalificazione, anche in riferimento alla L. n. 300 del 1970, art. 13 e la mancata conservazione di trattamenti in essere con il precedente datore di lavoro, ma senza chiara deduzione di una continuità giuridica del rapporto di lavoro.

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2112 c.c. e vizio di motivazione. Si sostiene l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. in caso di subentro in appalti per pubblici servizi con assunzione da parte dell’impresa subentrante di tutti o parte dei lavoratori.

Il presente motivo è precluso dal rigetto del primo motivo.

Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 1362, 1363, 1364 e 1366 c.c., oltre a vizi di motivazione in relazione all’art. 4 del c.c.n.l. 24.10.1997 per i servizi di pulizia e nettezza urbana, e violazione dell’art. 421 c.p.c..

Si sostiene che in caso di subentro in appalti con passaggio diretto dei lavoratori, debbano mantenersi non solo il trattamento retributivo di base ma anche le varie indennità, l’inquadramento e le mansioni. Si lamenta anche la mancata acquisizione d’ufficio di un accordo sindacale relativo ai lavoratori da assumere con passaggio diretto e al riconoscimento ai medesimi del trattamento previsto dall’art. 4 del c.c.n.l..

Il motivo è inammissibile in quanto basato su doglianze che non si sono tradotte in un’elaborazione di censure adeguatamente riconducibili alle ipotesi di apertura di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c.. Peraltro non è indicato adeguatamente il contenuto dell’accordo di cui si lamenta la mancata acquisizione.

Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 2103 c.c. e vizio di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento del diritto del ricorrente a mantenere l’inquadramento e le mansioni precedenti.

Anche questo motivo è precluso dal rigetto del primo motivo.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio sono regolate in applicazione del criterio legale della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio, liquidate in Euro 18,00 esborsi ed Euro duemila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA