Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11759 del 08/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 08/06/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 08/06/2016), n.11759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

INPS ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati CARUSO SEBASTIANO, CIRIELLO

CHERUBINA, LANZETTA ELISABETTA, giusta mandato speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.G., C.L., C.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6523/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

14/10/2013, depositata il 11/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ARIENZO ROSA;

udito l’Avvocato CARUSO SEBASTIANO difensore del ricorrente si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 11.5.2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Napoli, T. G., C.L. e C.C., già dipendenti dell’I.N.P.S., convenivano in giudizio l’Istituto per ottenere la restituzione del contributo di solidarietà del 2%, di cui alla L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 5, sulle retribuzioni di servizio per il periodo successivo all’1/10/1999. Il Tribunale accoglieva la domanda.

Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli rigettava il gravame proposto dall’I.N.P.S. ritenendo che i dipendenti non fossero tenuti a versare il suddetto contributo.

Per la cassazione di tale sentenza l’I.N.P.S. propone ricorso fondato su un unico motivo.

I dipendenti sono rimasti intimati.

Denuncia l’Istituto ricorrente: Violazione e falsa applicazione della L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, commi 3 e 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene che la interpretazione secondo la quale vanno escluse dal contributo di solidarietà le prestazioni integrative “maturate” alla data del 30 settembre 1999, finchè le stesse, con la cessazione dal servizio, non siano entrate nel patrimonio dell’avente diritto, confonde i concetti di esigibilità e maturazione del trattamento pensionistico e non tiene conto del significato complessivo della disposizione dell’art. 64 citato che, difatti, nel comma 3, riconosce il diritto alla pensione integrativa calcolata sulla base delle normative regolamentari e “delle anzianità contributive maturate” alla data del 1^ ottobre 1999; ne consegue che per prestazioni integrative – sulle quali deve gravare il previsto contributo di solidarietà – devono intendersi (come peraltro, all’evidenza, emerge anche dalla lettura dei lavori preparatori) sia le prestazioni (già) “erogate” agli ex dipendenti alla data in questione, sia gli importi di pensione integrativa “maturati”, ai sensi del precedente comma 3, dai dipendenti ancora in servizio ed iscritti al Fondo a quella stessa data; con l’ulteriore conseguenza della legittimità del prelievo contributivo operato sulle relative retribuzioni.

A conforto della opzione ermeneutica proposta richiama la norma di interpretazione autentica della citata L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 5, contenuta nel D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 18, comma 19, convertito, con modificazioni, nella L. 15 luglio 2011, n. 111.

Il ricorso si palesa manifestamente fondato alla stregua del principio enunciato in molteplici e recenti decisioni di questa Corte (cfr. Cass. n. 22973 del 4/11/2011, id. n. 1497 del 2/2/2012, n. 11087 del 3/7/2012, nonchè Cass. 26671 – 26673, 26675/2014).

Come in tali decisioni osservato, la L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, nel disporre (comma 2), a decorrere dall’1 ottobre 1999, la soppressione dei Fondi per la previdenza integrativa dei dipendenti degli enti di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70 (e, quindi, anche dell’I.N.P.S.), con contestuale cessazione delle corrispondenti aliquote contributive previste per il finanziamento dei fondi medesimi, ha riconosciuto (comma 3) agli iscritti ai Fondi soppressi “il diritto all’importo del trattamento pensionistico calcolato sulla base delle normative regolamentari in vigore presso i predetti fondi che restano a tal fine confermate anche ai fini di quiescenza e delle anzianità contributive maturate alla data dell’1/10/1999”.

Attraverso questa disposizione, anche coloro che – alla data della soppressione (1 ottobre 1999) – non avevano ancora conseguito i requisiti prescritti dalla normativa del Fondo e quindi non avrebbero avuto alcun diritto nei suoi confronti, finiscono con l’acquisire comunque la prestazione integrativa; in altri termini “tutti” i dipendenti di questi enti “maturano” la pensione integrativa nella misura conseguita al 1^ ottobre 1999, ancorchè la sua concreta erogazione competa poi solo al momento dell’acquisizione della pensione obbligatoria, secondo la regola, ormai generalizzata, di cui alla L. 27 dicembre 1997, art. 59, comma 3, per cui la pensione integrativa si consegue solo in presenza dei requisiti e con la decorrenza previsti per l’assicurazione generale obbligatoria di appartenenza; inoltre – parte finale del comma 3 gli importi maturati al 1^ ottobre 1999, vengono rivalutati annualmente sulla base degli indici Istat, di talchè, al momento del conseguimento della pensione obbligatoria, i dipendenti in servizio avranno diritto alla pensione integrativa nel maturato al 1^ ottobre 1999, incrementato della rivalutazione per ciascuno degli anni che li separano dalla pensione.

Infine, l’art. 64 (comma 5) introduce, dalla medesima data del 1^ ottobre 1999, un contributo di solidarietà del 2% su dette pensioni integrative, precisando che lo stesso è dovuto “sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria erogate o maturate presso i fondi…”.

La questione che si è posta è la seguente: se detto contributo di solidarietà del 2% debba gravare solo su coloro che percepiscono la pensione integrativa, oppure anche (attraverso ritenute sulla retribuzione) sui dipendenti in servizio, i quali, pur non ricevendola concretamente, la abbiano già maturata. Il combinato disposto di queste norme aveva indotto alcuni giudici di merito ad accogliere la tesi dell’I.N.P.S., ritenendo che la formula legislativa “prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria erogate o maturate presso i fondi…” dovesse essere intesa con riferimento non solo ai trattamenti integrativi in atto, ma anche con riferimento alla somma maturata, (sempre a titolo di trattamento pensionistico integrativo) dai dipendenti in servizio sulla base degli accantonamenti effettuati fino al 30/9/1999, dovendo, quindi, il contributo di solidarietà essere versato anche da tali dipendenti (su quel “maturato”) attraverso una corrispondente trattenuta sulle retribuzioni. Si privilegiava, in tal senso, il riferimento fatto dalla legge al “maturato”, e si considerava anche la peculiarità del sistema per cui anche le pensioni “maturate” al 1^ ottobre 1999 dai dipendenti in servizio, ma non liquidate, si rivalutavano annualmente in base agli indici Istat, (in deroga al principio generale per cui si rivaluta solo la pensione liquidata), di talchè costoro avrebbero percepito il maturato all’ottobre 1999 incrementato dalla rivalutazione annuale a partire da quella data fino al pensionamento (decorrente anche molti anni dopo) senza pagare alcunchè; con la conseguenza che, mentre per i pensionati del Fondo detta rivalutazione trovava copertura nel contributo di solidarietà, per coloro che erano ancora in servizio, ove ritenuti esenti dal contributo di solidarietà, la rivalutazione non avrebbe trovato alcuna forma di copertura, con conseguente squilibrio finanziario.

La giurisprudenza di legittimità era, però, orientata (tra le tante Cass. n. 11732 del 2009; n. 13454 del 2010; n. 3452 del 2011) a ritenere che il contributo di solidarietà non dovesse gravare sulle retribuzioni dei dipendenti in servizio, dando preminente rilievo al fatto che la legge lo impone sulle “prestazioni integrative”, da intendersi, con tale espressione, le prestazioni riguardo alle quali (ancorchè non erogate, stante la contrapposizione ricavabile dall’utilizzo, nell’art. 64, comma 5, della disgiuntiva “o”) si sia perfezionato il relativo diritto; diritto che sorge – secondo la richiamata giurisprudenza di legittimità, non soltanto per effetto delle “anzianità contributive maturate alla data dell’1/10/1999” (riconosciute dal comma 3), ma nella ricorrenza di tutti gli altri presupposti costitutivi – contemplati dalla legge e dalle disposizioni regolamentari – tra cui l’intervenuta cessazione dal servizio.

Con il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 18, comma 19, convertito in L. 15 luglio 2011, n. 111, il legislatore è intervenuto, con norma dichiaratamente di interpretazione autentica, affermando quanto segue: “Le disposizioni di cui alla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, comma 5, si interpretano nel senso che il contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria è dovuto sia dagli ex dipendenti già collocati a riposo che dai lavoratori ancora in servizio. In questo ultimo caso il contributo è calcolato sul maturato di pensione integrativa alla data del 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione percepita in costanza di attività lavorativa”. La regola espressa dalla norma risultante dalla disposizione interpretata e dalla disposizione di interpretazione autentica è molto chiara: il contributo di solidarietà è dovuto sia dagli ex dipendenti sulle prestazioni integrative in godimento, sia dai lavoratori ancora in servizio e, in questo caso, è calcolato sul “maturato” della pensione integrativa al 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione.

La verifica della conformità a Costituzione di questa norma –

imposta dalla incidenza delle norme della CEDU in riferimento alla garanzia del giusto processo (art. 6), che fa dubitare della possibilità che durante il suo corso mutino “le regole del gioco” (ossia le norme applicabili alla fattispecie concreta) perchè interviene, come ius superveniens con efficacia retroattiva, una diversa regolamentazione della fattispecie astratta – va compiuta alla luce dei principi enunciati dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 257/2011 in tema di legge interpretativa (concernente, in quel caso, la materia pensionistica: si trattava della L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 153, che interpretava autenticamente la L. n. 457 del 1972, art. 3 in tema di pensioni degli operai agricoli a tempo determinato). Nella indicata sentenza la Corte costituzionale – dopo avere ribadito, come nelle sue precedenti pronunzie, non essere decisiva la verifica sul carattere effettivamente interpretativo oppure innovativo con efficacia retroattiva, perchè il divieto di retroattività della legge non è stato elevato a dignità costituzionale (salva, per la materia penale, la previsione dell’art. 25 Cost.), per cui il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di interpretazione autentica, che determinano la portata precettiva della norma interpretata, fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purchè la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti – ha confermato, altresì, il principio per cui, qualora l’interpretazione ad opera del legislatore – che si sovrapponga a quella dei giudici – sia, non solo dichiaratamente, ma anche effettivamente di interpretazione autentica, deve escludersi che si prospetti un dubbio non manifestamente infondato di costituzionalità, neppure con riferimento al parametro interposto costituito dall’art. 6 CEDU. Conseguentemente ha negato la Corte la fondatezza della questione di legittimità costituzionale di quella disposizione interpretativa –

sollevata con riferimento all’art. 111 Cost. (in quanto la sua applicabilità ai giudizi in corso violerebbe i principi del giusto processo, in particolare sotto il profilo della parità delle parti) e all’art. 117 Cost., comma 1 (per violazione degli obblighi internazionali dello Stato, in specie, come già detto, dell’art. 6 CEDU).

Che il D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 19, convertito nella L. n. 111 del 2011 sopra riportato, sia una disposizione non solo dichiaratamente di interpretazione autentica, ma anche effettivamente tale emerge con certezza dal raffronto tra quest’ultima e la disposizione interpretata (appunto, la L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 5). Nella disposizione in parola, in effetti, l’espressione “prestazioni integrative maturate” può legittimamente essere letta, ai fini della imposizione del contributo di solidarietà, anche come alternativa a “prestazioni integrative erogate”, ove si consideri sia la disgiuntiva “o” posta tra di esse, come pure la circostanza che quando il legislatore ha voluto limitare la contribuzione di solidarietà ai soli trattamenti pensionistici già in godimento lo ha precisato in modo chiaro, usando il termine “corrisposti” (equivalente di erogati) e senza alcun richiamo a quelli semplicemente maturati (si veda, ad esempio, la L. 23 agosto 2004, n. 243, art. 1, comma 2, lett. u). Inoltre non può non rilevarsi che la norma oggetto di interpretazione autentica è inserita in una legge di riordino degli enti previdenziali con la precisa finalità di ridurre gli oneri a carico di quelli presso i quali sono istituiti i Fondi, sia attraverso l’abolizione dei Fondi stessi (che attribuiscono agli iscritti una posizione pensionistica privilegiata), sia attraverso l’imposizione di un contributo di solidarietà sulle prestazioni pensionistiche integrative – che, nell’ottica appena indicata, non possono non essere tutte quelle acquisite (siano esse già erogate o solo maturate) – quale meccanismo utile a garantire un sistema tendenzialmente autosufficiente, cosi da non gravare in alcun modo sulla generalità degli altri assicurati.

Per tutto quanto detto era, in definitiva, plausibile una interpretazione letterale e logico sistematica della L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 5, che conducesse ad includere le prestazioni integrative “maturate” tra quelle gravate del contributo di solidarietà: ed è in questi termini che si è espresso il legislatore, in tal modo superando la situazione di oggettiva incertezza derivante dall’ambiguo tenore della disposizione normativa in parola, così come evidenziata dai diversi indirizzi interpretativi seguiti dalla giurisprudenza di merito e da quella di legittimità, senza con ciò incidere su posizioni giuridiche definitivamente acquisite, non ravvisabili in mancanza di una consolidata giurisprudenza dei giudici nazionali. E’ stato cosi (riaffermato il seguente principio di diritto: In materia di contribuzione previdenziale, è manifestamente infondata, con riferimento all’art. 6 CEDU, art. 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, la questione di costituzionalità relativa al D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 18, comma 19, convertito, con modificazioni, nella L. 15 luglio 2011, n. 111, secondo cui “le disposizioni di cui alla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, comma 5, si interpretano nel senso che il contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria è dovuto sia dagli ex dipendenti già collocati a riposo che dai lavoratori ancora in servizio”, e che prevede che “in questo ultimo caso il contributo è calcolato sul maturato di pensione integrativa alla data del 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione percepita in costanza di attività lavorativa”. Difatti, come enunciato dalla sentenza n. 257 del 2011 della Corte costituzionale, non viola i principi regolatori del giusto processo l’intervento legislativo d’interpretazione autentica che accolga una delle possibili opzioni ermeneutiche dell’originario testo normativo, con la finalità di superare un’incertezza oggettiva derivante dall’ambiguità del tenore letterale della norma, senza incidere su situazioni giuridiche soggettive definitivamente acquisite, non ravvisabili in mancanza di una consolidata giurisprudenza dei giudici nazionali.

Quanto affermato è poi in linea con la sopravvenuta sentenza n. 156 del 2014 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 102, 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU – del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 18, comma 19, convertito, con modificazioni, nella L. 15 luglio 2011, n. 111, “il quale, nel fornire un’interpretazione autentica della L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 5, prevede che, nel settore del cosiddetto Parastato, il previsto contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria è dovuto sia dagli ex-

dipendenti già collocati a riposo che dai lavoratori ancora in servizio, dovendo essere calcolato, in quest’ultimo caso, sul maturato di pensione integrativa alla data del 30 settembre 1999 e trattenuto sulla retribuzione percepita in costanza di attività lavorativa”; nella suddetta sentenza, il Giudice delle leggi ha, in primo luogo ricordato che il legislatore può emanare norme retroattive (sia innovative che di interpretazione autentica), purchè la retroattività trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale” ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU; la Corte costituzionale ha, poi, rilevato che essendo la disposizione impugnata intervenuta in una materia nella quale, prima di tale intervento chiarificatore, vi era una situazione di oggettiva incertezza, con relativo contrasto giurisprudenziale, in ordine all’applicabilità o meno del menzionato contributo oltre che agli ex-

dipendenti già collocati a riposo anche ai lavoratori ancora in servizio, la stessa non contrasta con alcuno dei parametri evocati dai rimettenti in quanto, da un lato, non incide su posizioni giuridiche acquisite, nè su un affidamento che non poteva essere riposto su una disciplina di così controversa esegesi ed applicazione e, dall’altro, risponde ad obiettivi d’indubbio interesse generale, e di rilievo costituzionale, quali, in primo luogo, quello della certezza del diritto e, parallelamente, quelli del ripristino dell’uguaglianza e della solidarietà, all’interno di un sistema di previdenza.

In conclusione, si propone l’accoglimento del ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la decisione della causa nel merito, con il rigetto delle domande proposte dai dipendenti, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla richiamata giurisprudenza di legittimità, e che le stesse conducano all’accoglimento del ricorso.

Non essendo poi necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito nel senso sopra indicato, del rigetto delle domande di cui agli originari ricorsi.

L’esito complessivo della lite, tenuto conto della situazione di oggettiva incertezza interpretativa rispetto alla quale interveniva il richiamato ius superveniens che, con la recente sentenza n. 156 del 2014, ha superato il vaglio di legittimità costituzionale, consigliano l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande proposte dai dipendenti.

Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2016

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