Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11756 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/05/2017, (ud. 09/02/2017, dep.11/05/2017),  n. 11756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12962-2016 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVICO

PASTOR 12, presso lo studio dell’avvocato CHRISTIAN PADALINO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ASL FG;

– intimata-

avverso la sentenza n. 2456/2015 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata

il 27/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/02/17 dal Consigliere Dott. Gabriele Positano.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 4 giugno 2013 F.A. ha evocato in giudizio, davanti al Giudice di Pace di Foggia, la ASL FG lamentando di avere subito un danno quantificato sulla base di un preventivo, chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento del pregiudizio “da quantificarsi in almeno Euro 1000 o nella somma ritenuta di giustizia entro il limite per valore”;

il Giudice di Pace, con sentenza del 12 marzo 2014, ha accolto la domanda limitatamente all’importo di Euro 600;

avverso tale decisione proponeva appello l’Azienda ospedaliera e il Tribunale di Foggia, con sentenza pubblicata il 12 novembre 2015, in accoglimento dell’appello, in riforma della sentenza emessa, rigettava la domanda proposta da F. che condannava al pagamento delle spese relative al doppio grado di giudizio;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione F.A. sulla base di due motivi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme processuali, in particolare dell’art. 339 codice di rito. Rileva il ricorrente che la formula di stile utilizzata nell’atto di citazione (“o quell’altra maggiore o minore somma che risulterà in corso di causa”) sarebbe inidonea a modificare il criterio della competenza o, comunque, non potrebbe costituire l’unico elemento da prendere in esame per dimostrare la volontà dell’attore di chiedere una somma superiore ad Euro 1032, importo che consente la decisione secondo equità necessaria. Rispetto a tale decisione l’appello, a motivi limitati, previsto dall’art. 339, comma 3 codice di rito costituirebbe l’unico rimedio impugnatorio ammesso;

con il secondo motivo lamenta l’adozione, da parte del giudice a quo, di una motivazione apparente o del tutto carente. Alla luce delle prove raccolte, trattandosi di danneggiamento verificatosi all’interno di un parcheggio custodito, sussisteva la responsabilità dell’ente convenuto;

il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità, poichè il ricorrente deduce che, ricorrendo una controversia di valore inferiore a Euro 1100, in difetto delle eccezioni previste all’art. 339, comma 3 codice di rito, la causa avrebbe dovuto essere necessariamente decisa secondo equità, con ciò inibendone l’appellabilità. Richiama altresì un precedente del Tribunale di Milano relativo a una domanda formulata nell’ambito di tale valore, con l’ulteriore clausola di stile tesa ad ottenere una maggiore o minore somma, rispetto a quella dedotta, che risulterà in corso di causa. Alcuna doglianza, invece, riguarda la specifica motivazione del Tribunale di Foggia, che ha precisato che l’attore ha richiesto il risarcimento del danno “da quantificarsi in almeno Euro 1000 o nella somma di giustizia entro il limite del valore”, interpretando tale valore, naturalmente, nella fascia di Euro 5000 e ciò sulla base anche del preventivo di spesa ammontante ad Euro 1738;

il secondo motivo è destituito di fondamento, ai sensi dell’art. 366, n. 3 codice di rito, poichè manca del tutto l’esposizione sommaria dei fatti di causa. Nella premessa del ricorso non è neppure specificato l’oggetto della controversia, la data della decisione del Giudice di Pace, la motivazione dallo stesso adottata e le argomentazioni, nel merito, poste a sostegno della decisione del Tribunale. Per comprendere l’oggetto della controversia occorre leggere pagina 3 della sentenza del Tribunale. La doglianza è, altresì, infondata per mancata individuazione delle norme violate, delle specifiche ipotesi previste dall’art. 360 codice di rito, cui il ricorrente non fa riferimento e per il chiaro rinvio all’inadeguatezza della motivazione (ipotesi non più prevista, trovando applicazione il nuovo testo dell’art. 360, n. 5 codice di rito) con richiesta di nuova valutazione delle prove raccolte in primo grado, genericamente accennate, senza alcun riferimento alla collocazione degli atti, contenuto degli stessi e alla valenza processuale, oltre che alla ritualità della produzione. Istanze che non possono costituire oggetto di sindacato di legittimità;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; nessun provvedimento va adottato riguardo alle spese non avendo controparte espletato attività difensiva, in questa sede. Occorre, invece, dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

PQM

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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