Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11755 del 17/06/2020

Cassazione civile sez. I, 17/06/2020, (ud. 21/02/2020, dep. 17/06/2020), n.11755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7497/2019 r.g. proposto da:

B.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Giacomo Cainarca, con cui elettivamente domicilia in Roma, Viale

Regina Margherita n. 239, presso lo studio dell’Avvocato Valentina

Valeri;

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data

9.1.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/2/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso presentato D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, da B.M., cittadino ivoriano, volto al riconoscimento della protezione internazionale nella forma dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ovvero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie o del diritto di asilo, confermando, pertanto, il provvedimento di diniego della commissione territoriale.

Il tribunale ha, inoltre, ricordato la vicenda personale del ricorrente, secondo il racconto svolto da quest’ultimo; il richiedente ha infatti narrato: i) di essere nato ad (OMISSIS) e di avere sempre vissuto a (OMISSIS); il) di essere di etnia (OMISSIS) e di religione musulmana; iii) di temere di essere ucciso come il padre, il quale si era macchiato di efferati crimini.

Il tribunale ha ritenuto, inoltre, non necessario procedere a nuovo colloquio personale con il richiedente, considerata la completezza degli atti istruttori provenienti dalla fase amministrativa.

Il tribunale ha dunque ritenuto che: a) il narrato del ricorrente non fosse credibile in ragione dell’intrinseca contraddittorietà del racconto e perchè non provato da riscontri esterni; b) il ricorrente non aveva lasciato il proprio paese d’origine per ragioni di natura persecutoria; c) non ricorrevano i presupposti applicativi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, considerata l’inattendibilità della vicenda e l’assenza di una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata nel Paese di origine (come attestato dalle fonti di conoscenza internazionale: Human Rights Watch 2018; UNHCR 31 agosto 2017); d) non poteva essere accolta la domanda di protezione umanitaria, in quanto lo stesso ricorrente aveva riferito di non avere avuto alcun problema nel proprio paese di origine fino alla presunta scoperta dei misfatti da parte del padre, potendo peraltro contare sullo svolgimento di un’attività lavorativa; e) anche documentazione attestante lo svolgimento di attività lavorativa e formativa in Italia durante il periodo di accoglienza non era indicativa di un effettivo radicamento in Italia.

2. Il decreto, pubblicato il 9.1.2019, è stato impugnato da B.M. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 10 e 11, in relazione alla mancata audizione del ricorrente.

2. Il secondo mezzo denuncia la violazione dell’art. 10 Cost., comma 3. Si evidenzia che il richiedente era fuggito da una condizione di rischio dovuta alla militanza del proprio fratello, situazione che ad oggi comporta ancora gravissimi rischi e che la Costa d’Avorio presenta un quadro diffuso di difficoltà nella tutela dei diritti inviolabili o addirittura di adozione di misure liberticide, di abusi dei diritti umani. Si osserva ancora che le fonti più accreditate indicano che la regione di provenienza è caratterizzata da gravi ed oggettive difficoltà economiche, di diffusa povertà e limitato accesso ai più elementari diritti inviolabili della persona.

3.Con il terzo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria.

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1 Già il primo motivo non merita positivo apprezzamento.

Sul punto giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di indisponibilità della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, salvo che il richiedente non abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 14148 del 23/05/2019).

Ne consegue che la mancanza di videoregistrazione determina l’obbligo della fissazione della udienza di comparazione delle parti e non già quello dell’audizione del richiedente.

4.2 Il secondo motivo è anch’esso inammissibile.

4.2.1 Risulta utile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 19 novembre 2007, n. 251, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui al D.Lgs.25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6. Ne consegue che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione (cfr., tra le altre, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 10686 del 26/06/2012; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16362 del 04/08/2016).

Ciò posto, non è dunque prospettabile l’invocata tutela umanitaria sotto l’egida formale del vizio di violazione del parametro normativo costituzionale sopra ricordato.

4.2.2 Nel resto, la doglianza si compone di censure generiche che, peraltro, non intercettano la ratio decidendi sottesa al diniego della invocata protezione umanitaria, e cioè la non sussistenza di una condizione di effettiva integrazione del contesto sociale italiano.

4.3 Il terzo motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna della Costa d’Avorio, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che nella regione di provenienza del ricorrente non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata.

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020

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