Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11754 del 17/06/2020

Cassazione civile sez. I, 17/06/2020, (ud. 21/02/2020, dep. 17/06/2020), n.11754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3511-2019 r.g. proposto da:

G.G., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Giacomo

Cainarca, con cui elettivamente domicilia in Roma, Viale Regina

Margherita n. 239, presso lo studio dell’Avvocato Valentina Valeri;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data

3.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/2/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso presentato D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, da G.G., cittadino del Mali, volto al riconoscimento della protezione internazionale nella forma dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ovvero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie o del diritto di asilo, confermando, pertanto, il provvedimento di diniego della commissione territoriale.

Il tribunale ha, in primis, ricordato la vicenda personale del ricorrente, secondo il racconto svolto da quest’ultimo; il richiedente ha infatti narrato: i) di essere nato e cresciuto a Kayes con la nonna, essendo rimasto orfano da bambino; di essersi trasferito presso lo zio a G., ove, in occasione di una sparatoria per mano di terroristi jihadisti, lo zio ed i componenti della sua famiglia erano rimasti uccisi e di essere stato rapito e costretto a lavorare come pastore, finchè non era riuscito a scappare in Algeria; iii) di essere stato nuovamente rapito e di essere stato anche incarcerato in Libia; iv) di temere, nel caso di rimpatrio nel paese di origine, di essere ucciso dai terroristi jihadisti che lo avevano minacciato di morte, nel caso in cui fosse scappato.

Il tribunale ha ritenuto, inoltre, non necessario procedere a nuovo colloquio personale con il richiedente, considerata la completezza degli atti istruttori provenienti dalla fase amministrativa.

Il tribunale ha dunque ritenuto che: a) il narrato del ricorrente non fosse credibile, in quanto generico, contraddittorio e comunque privo di riscontri;

b) in ogni caso, non sussistevano i presupposti per l’inquadramento della vicenda narrata nel paradigma applicativo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8;

c) non ricorrevano neanche le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione alla richiesta protezione sussidiaria; d) non poteva esser accolta, più in particolare, la richiesta protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. C, in quanto nella regione di provenienza del richiedente non era riscontrabile una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata, a differenza delle regioni settentrionali del Mali considerate altamente pericolose; e) la situazione personale del ricorrente evidenziava la mancanza di uno stabile inserimento nella realtà socio-lavorativa che portava a ritenere non sussistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

2. Il decreto, pubblicato il 3.12.2018, è stato impugnato da G.G. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 257 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, non essendo stata disposta l’audizione del ricorrente ed essendosi limitato il tribunale alla fissazione di un’udienza di comparizione personale delle parti.

2. Il secondo mezzo denuncia la violazione dell’art. 10 Cost., comma 3. Si evidenzia che il richiedente era fuggito da una condizione di minaccia cui lo stesso aveva dovuto soggiacere per conseguenza delle gravi difficoltà economiche che lo avevano portato a perdere la sua unica fonte di sostenimento e che aveva lasciato il ricorrente stesso in una condizione socio-familiare, tale da spingerlo all’espatrio per dare una possibilità di sopravvivenza alla famiglia. Si evidenzia che risulta notoria l’assenza di protezione giudiziaria e la corruzione delle forze di sicurezza, nel paese di provenienza.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Si evidenzia che, in caso di rimpatrio, il richiedente protezione farebbe rientro in Mali, ove esiste una situazione di violenza indiscriminata anche nella parte meridionale, e si manterrebbe in una condizione di povertà e soggetto ad atti di violenza.

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1 Già il primo motivo non merita positivo apprezzamento.

Sul punto è utile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di indisponibilità della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, salvo che il richiedente non abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Sez. 6 1, Ordinanza n. 14148 del 23/05/2019).

Ne consegue che la mancanza di videoregistrazione determina l’obbligo della fissazione della udienza di comparazione delle parti e non già quello dell’audizione del richiedente.

4.2 Il secondo motivo è anch’esso inammissibile.

4.2.1 Giova in primo luogo ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 19 novembre 2007, n. 251, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui al D.Lgs.25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6. Ne consegue che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione (cfr., tra le altre, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 10686 del 26/06/2012; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16362 del 04/08/2016).

Ciò posto, non è dunque prospettabile l’invocata tutela umanitaria sotto l’egida formale del vizio di violazione del parametro normativo costituzionale sopra ricordato.

4.2.2 Nel resto, la doglianza si compone di censure generiche che, peraltro, non intercettano la ratio decidendi sottesa al diniego della invocata protezione umanitaria, e cioè la mancanza di una condizione di effettiva integrazione del contesto sociale italiano.

4.3 Il terzo motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. C, – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del Mali, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che nella regione di provenienza del ricorrente (Kayes) non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020

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