Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1175 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 18/01/2017, (ud. 13/10/2016, dep.18/01/2017),  n. 1175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13946-2014 proposto da:

B.S., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati BRUNO VITTORIO MIRANDA, NICOLA

MIRANDA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA TRASPORTI MILANESI SERVIZI S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CIRO MENOTTI N.24, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

FERRI, rappresentata e difesa dall’avvocato ALBERTO RHO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 603/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/12/2013, r.g.n. 1675/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato FERRI MAURIZIO per delega RHO ALBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 603/2013, depositata il 17/12/2013, la Corte di appello di Milano respingeva il gravame di B.S. nei confronti della sentenza del Tribunale di Milano, che ne aveva respinto la domanda diretta alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento allo stesso intimato il 28/1/2011 dall’Azienda Trasporti Milanesi Servizi S.p.A. per mancato superamento del periodo di prova, disponendo la compensazione per metà delle spese di lite e condannando conseguentemente l’appellante a pagare alla controparte la somma di Euro 990,00 oltre oneri di legge.

La Corte osservava che la risoluzione del rapporto risultava adeguatamente giustificata attraverso il richiamo alla valutazione del servizio prestato con giudizio negativo e cioè ad una delle ipotesi previste dall’art. 14 del Regolamento All.to A al R.D. n. 148 del 1931, così che potevano dirsi soddisfatte le esigenze di chiarezza e di motivazione previste dalla norma. Rilevava, poi, come tale Regolamento, in maniera coerente con le ipotesi di risoluzione espressamente indicate, non prevedesse alcun obbligo di motivazione ulteriore, neppure all’esito di specifica richiesta in tal senso svolta dal lavoratore, regolando esclusivamente il procedimento di formazione della volontà di recesso interna all’azienda e la comunicazione agli enti competenti; nè vi era spazio integrativo per gli obblighi di comunicazione stabiliti dalla L. n. 604 del 1966, art. 2 la cui applicabilità residuale era destinata esclusivamente a supplire ad eventuali carenze ma non a consentire un ingresso automatico di norme nei casi in cui tali carenze non erano ravvisabili.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il B. con tre motivi, illustrati da memoria; l’Azienda ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 13 e 14 del Regolamento (Allegato A) R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, n. 5, censurandosi la sentenza impugnata per avere ritenuto adeguatamente motivata la risoluzione del rapporto da parte di ATM Servizi S.p.A., nonostante che la comunicazione del mancato superamento della prova per “giudizio negativo” non rispettasse alcuno dei requisiti imposti dalle norme citate.

Con il secondo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, censurandosi la sentenza per avere erroneamente escluso l’applicabilità al rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri della disciplina generale di cui alla norma richiamata e, di conseguenza, escluso il diritto del ricorrente ad essere chiaramente edotto delle ragioni del suo licenziamento, il quale, pertanto, nell’inosservanza delle disposizioni di legge, doveva essere considerato inefficace.

Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 92 c.p.c., come modificato dalla L. n. 69 del 2009, per avere la sentenza di appello condannato il ricorrente, previa compensazione parziale, alla rifusione di metà delle spese sostenute dalla controparte, senza considerare che la naturale posizione di subalternità psicologica e, soprattutto, economica del prestatore di lavoro è tale da integrare di per sè, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata della norma, l’esistenza di “gravi ed eccezionali ragioni” di compensazione.

Si osserva preliminarmente che il primo e il secondo motivo risultano inammissibili nelle parti in cui rispettivamente censurano la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per “insufficiente e contraddittoria motivazione” e per “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” circa un punto decisivo della controversia.

Essi, infatti, non si conformano al modello legale del nuovo vizio “motivazionale”, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, pur a fronte di sentenza depositata in data 17 dicembre 2013 e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore (11 settembre 2012) della novella legislativa.

Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

I motivi in esame risultano poi infondati, nelle parti in cui censurano la sentenza per il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

In particolare, con riferimento al primo motivo, si deve rilevare che la Corte territoriale non è incorsa nella violazione o falsa applicazione degli artt. 13 e 14 del Regolamento All.to A) al R.D. n. 148 del 1931 là dove ha esaminato la lettera, con la quale è stata data comunicazione al lavoratore della volontà aziendale di considerare risolto il rapporto di lavoro.

Risulta invero esatto il riferimento compiuto dalla Corte all’art. 14 del Regolamento, quale disciplina da applicarsi alla fattispecie concreta, in luogo dell’art. 13, posto che il lavoratore, assunto il 29 gennaio 2010 con patto di prova della durata di dodici mesi, è stato licenziato il 28 gennaio 2011 (con decorrenza dal giorno seguente; ultimo giorno di lavoro lo stesso 28/1/2011, come precisato nella lettera) e, pertanto, prima che maturasse per intero (ciò sarebbe avvenuto il 29/1/2011) il periodo fissato in sede di assunzione per l’esperimento.

L’art. 14 cit. riguarda, infatti, le condizioni sostanziali e procedimentali perchè possa disporsi da parte dell’azienda l’esonero anticipato dei lavoratori in prova, rispetto alla normale scadenza del periodo, in particolare prevedendo, sotto il profilo sostanziale, che a ciò possa farsi luogo in presenza di una delle ipotesi tassativamente configurate alle lettere a), b), c) e d) e, sotto il profilo procedimentale, che la relativa decisione sia assunta dal direttore nelle forme di una deliberazione motivata.

Nella specie, il giudice di merito ha accertato, senza che sul punto risultino formulate censure specifiche da parte del ricorrente, il rapporto di totale “equipollenza”, e quindi di piena equivalenza sul piano logico e giuridico, esistente tra le espressioni adoperate nella lettera dal Direttore Risorse Umane e Organizzazione, ove l’espressione finale di un “giudizio negativo” è esplicitamente riferita al “servizio” prestato dal lavoratore “nel periodo di prova”, e le ipotesi delineate nell’art. 14, fra le quali compare, alla lett. b), proprio la mancata dimostrazione, durante il periodo di prova, del possesso di qualità soddisfacenti per un regolare disimpegno del servizio.

Quanto al secondo motivo di ricorso, nella parte in cui viene dedotta la violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2 se ne deve rilevare la palese infondatezza. Come precisato da Cass. n. 11929/2009, la giurisprudenza di legittimità è orientata univocamente nel senso che il rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri è disciplinato da una normativa speciale costituente un corpus compiuto ed organico, onde il ricorso alla normativa generale è possibile soltanto ove si riscontrino in essa lacune tali che non siano superabili neanche attraverso l’interpretazione estensiva o analogica di altre disposizioni appartenenti allo stesso corpus (conformi Cass. n. 12734/2006; Cass. n. 5551/2013), con la conseguenza che non trova applicazione a tale rapporto di lavoro la disciplina dell’impugnazione dei licenziamenti di cui alla L. n. 604 del 1966.

Parimenti infondato è il terzo motivo.

Esso, infatti, muove non da una lettura della norma, di cui all’art. 92 c.p.c., che ne adegui il dettato ai valori e ai principi della legalità costituzionale, ma da una nuova formulazione di essa, che, invertendo il rapporto di regola/eccezione, imponga in ogni caso, all’esito del giudizio di lavoro, e per la sola condizione di una delle parti, qualificata astrattamente nella sua dimensione tipologica e sociale, la compensazione per intero delle spese di lite, fatti salvi i ricorsi che dovessero risultare palesemente pretestuosi.

Nè i dubbi di illegittimità costituzionale della norma vigente (nella più restrittiva versione applicabile ratione temporis, a seguito dell’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, con effetto dal 4 luglio 2009) sembrano poter superare il vaglio di non manifesta infondatezza, tanto sul versante del principio di eguaglianza (art. 3), quanto sul versante del diritto di difesa (art. 24), entrambi richiamati dal ricorrente, e ciò sul rilievo che la condizione del lavoratore subordinato, come quella degli altri soggetti titolari dei rapporti indicati nell’art. 409 c.p.c., ha già formato oggetto di una speciale disciplina da parte del legislatore, attraverso la previsione di un rito specificamente dedicato alla tutela degli interessi sostanziali inerenti a tale condizione e comprensiva di una pluralità di strumenti concorrenti alla loro protezione: dalla previsione di un giudice specializzato, alla brevità dei termini di introduzione della lite; dalla oralità e tendenziale concentrazione del processo in una sola udienza (o in poche udienze ravvicinate) alla previsione di estesi poteri di istruzione diretti all’emersione della verità sostanziale dei fatti e alla più completa conoscenza dei termini effettivi della controversia, nonchè di poteri specificamente volti ad assicurare, già nel corso del processo, una tutela immediata ed effettiva.

Il ricorso deve conclusivamente essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Il ricorrente, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non è tenuto, nonostante il rigetto dell’impugnazione, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (cfr., fra le altre, Cass. 2 settembre 2014 n. 18523).

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge; dispone non applicarsi il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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