Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11749 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 05/05/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 05/05/2021), n.11749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3396-2018 proposto da:

COMUNE di PRIOLO GARGALLO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DOMENICO MIGNOSA;

– ricorrente –

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA

30, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO GIORDANO, rappresentato

e difeso dagli avvocati SEBASTIANO DI LUCIANO, GAETANO COSTA;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2016/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 06/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA

GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 2016/2017, depositata in data 6/11/2017, – in controversia promossa, nel 2004, da C.S. nei confronti del Comune di Priolo Gargalo, al fine di sentire condannare il convenuto al pagamento delle indennità, relative ad alcuni terreni occupati e trasformati dal Comune, per la realizzazione di una strada, in assenza di decreto di esproprio, per una parte (il valore residuo di alcuni “relicta” risultanti da stacchi di terreno) come concordato in un accordo di bonario componimento, approvato con Delib. comunale n. 28 del 1992, con maggiorazione derivante dalla qualità dell’attore di coltivatore diretto, – ha riformato la decisione di primo grado, che aveva condannato il Comune al pagamento della somma di Euro 4.825,85 (assumendo come base di calcolo il valore espresso dalle parti nell’accordo bonario), oltre rivalutazione monetaria dal 29/6/1990 (data dell’accordo bonario) ed interessi legali, a titolo di risarcimento del danno per l’illegittima occupazione di mq 1.512 di terreno, ricadenti nella particella (OMISSIS), respinte le altre domande attrici, in punto di indennità per i relicta e di maggiorazione per la qualità di coltivatore diretto).

In particolare, i giudici d’appello hanno anzitutto respinto il motivo di gravame proposto dal C. relativo alla mancata maggiorazione (si chiedeva triplicarsi il valore concordato in sede di accordo di bonario componimento) per la qualità da esso rivestita di coltivatore diretto, in relazione al risarcimento del danno per l’occupazione contra ius liquidato in primo grado, ed hanno, invece, accolto il motivo concernente il rigetto della richiesta di indennizzo per “gli stacchi di terreno relitti”, sostenendo che tali porzioni di terreno (tre aree di forma irregolare della complessiva estensione di mq 8.626), come stimato dal consulente tecnico, senza contestazione tra le parti, erano inutilizzabili (essendo inaccessibili dalla strada per effetto della realizzazione dell’opera pubblica e comunque non sfruttabili economicamente per la loro configurazione) e che, nell’accordo di cessione volontaria tra le parti sull’indennità di esproprio, era stato previsto espressamente che, anche per dette porzioni residuate del fondo oggetto di cessione, dopo il frazionamento delle particelle occupate dall’opera pubblica, sarebbe stata ristorata la perdita del relativo valore residuo, fissandosi il prezzo unitario di valutazione dell’eventuale relictum, la cui “materiale individuazione” era stata “rinviata ad una fase successiva”, senza che poi il Comune provvedesse ai relativi incombenti ed al relativo pagamento.

Di conseguenza, il Comune doveva essere condannato al pagamento della ulteriore somma complessiva di Euro 82.550,82 (tenuto conto della base di calcolo costituita dal prezzo di cessione di vecchie “E 6.180” al mq, moltiplicato per i mq e “triplicato”, in relazione alla qualifica del C. di coltivatore diretto, sempre in virtù di quanto pattuito espressamente nell’accordo di cessione, come da Delib. comunale del 1992 che lo aveva recepito), per il valore economico delle aree residue predette, ad integrazione di quanto già liquidato in primo grado, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Avverso la suddetta pronuncia, il Comune Priolo Gargallo propone ricorso per cassazione, notificato il 15/1/2018, affidato ad un motivo, nei confronti di C.S. (che resiste con controricorso e ricorso incidentale in unico motivo, notificato il 21/2/2018). Il controricorrente-ricorrente incidentale ha depositato memoria con documenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Comune ricorrente lamenta, con unico motivo, l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla dichiarata inutilizzabilità dei terreni, essendosi recepite acriticamente le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio.

2. Il controricorrente-ricorrente incidentale lamenta, nell’unico motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1224 e 1282 c.c., in punto di mancato riconoscimento, sulla somma liquidata a titolo di indennizzo dovuto per i relicta, della rivalutazione monetaria e degli interessi legali dalla data dell’atto di cessione volontaria (il 29/6/1990) al saldo, come peraltro già affermato in primo grado, con statuizione avente valenza di giudicato interno, in difetto di impugnazione sul punto ad opera del Comune.

3. Preliminarmente, il ricorso principale deve essere dichiarato improcedibile.

Invero, alle pagg. 5 e 6, prima dell’illustrazione dei motivi di ricorso, il Comune ricorrente specifica che la sentenza impugnata di appello le veniva notificata dal C. sia a mezzo PEC, il 14/11/2017, sia a mezzo di Ufficiale Giudiziario, personalmente, il 30/11/2017.

Ora, in atti non si è rinvenuta copia autentica della suddetta sentenza con la relata di notifica, essendo stata prodotta unicamente copia autentica della sentenza pubblicata il 6/11/2017, priva della relata di notifica.

Il controricorrente-ricorrente incidentale, in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., ha depositato documentazione relativa alla fase inibitoria svoltasi dinanzi alla Corte d’appello di Catania in relazione ad istanza del Comune di Priolo Gargallo di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza d’appello n. 2016/2017 (respinta dalla Corte di merito), ai fini della liquidazione delle relative spese; dai documenti prodotti emerge che entrambe le parti davano pacificamente atto della notifica della sentenza della Corte d’appello di Catania, da parte del C. al Comune soccombente, avvenuta il 30/11/2017. I documenti prodotti dal C., unitamente alla memoria, nel presente giudizio di legittimità, possono essere esaminati in quanto documenti attinenti all’ammissibilità del ricorso e non all’allegata fondatezza del medesimo, seppure dopo la scadenza del termine di cui all’art. 369 c.p.c., e ai sensi dell’art. 372 c.p.c. (Cass. 10967/2013; Cass. 9685/2020).

Il ricorrente principale avrebbe dovuto quindi produrre la copia autentica della sentenza con relata di notifica entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1 (secondo il quale, il ricorso per cassazione deve essere depositato, a pena di improcedibilità, nel termine di giorni venti dall’ultima notificazione, ed insieme con il ricorso deve essere depositata, sempre a pena di improcedibilità, per quanto qui interessa, copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta).

Orbene, nell’ipotesi in cui il ricorrente per cassazione non alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, “la Corte di cassazione deve ritenere che lo stesso ricorrente abbia esercitato il diritto di impugnazione entro il c. d. termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., procedendo all’accertamento della sua osservanza” e “tuttavia, qualora o per eccezione del contro ricorrente o per le emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio emerga che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, la S.C., indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno del rispetto del termine breve, deve accertare se la parte ricorrente abbia ottemperato all’onere del deposito della copia della sentenza impugnata entro il termine di cui al primo coma dell’art. 369 c.p.c. e, in mancanza, deve dichiarare improcedibile il ricorso, atteso che il riscontro della improcedibilità precede quello dell’eventuale inammissibilità. La previsione – di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta – è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione, a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale, della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve” (Cass. S.U. 9005/2009; Cass. 6706/2013; Cass. L. 7469/2014, Cass. 1295/2018).

5. Il ricorso incidentale, in quanto notificato il 21/2/2018, oltre il termine di cui all’art. 325 c.p.c. rispetto a sentenza impugnata pubblicata il 6/11/2017, ma notificata il 30/11/2017 dallo stesso C., deve essere qualificato come tardivo, poichè esso risulta proposto dalla parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione principale (c.d. impugnazione incidentale in senso stretto, Cass. 5503/2002; Cass. 7049/2007; Cass. 1120/2014; Cass. SU 23903/2020) e, seppure entro il termine di cui all’art. 371 c.p.c. (quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale), oltre il termine breve per impugnare, che trova applicazione nella specie in ragione del fatto che la sentenza impugnata è stata notificata. Come tale esso soggiace al disposto dell’art. 334 c.p.c., comma 2, essendo “subordinato” all’ammissibilità e procedibilità del ricorso principale, e va dichiarato inefficace.

Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. 9741/2008; conf. Cass. 2381/2014; Cass. 19188/2018; Cass. 14497/2020) ha infatti chiarito che all’ipotesi di inammissibilità del ricorso principale va equiparata quella di sua improcedibilità, ai fini di cui all’art. 334 c.p.c.: “qualora il ricorso principale per cassazione venga dichiarato improcedibile, l’eventuale ricorso incidentale tardivo diviene inefficace, e ciò non in virtù di un’applicazione analogica dell’art. 334 c.p.c., comma 2, dettato per la diversa ipotesi dell’inammissibilità dell’impugnazione principale – bensì in base ad un’interpretazione logico-sistematica dell’ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un’impugnazione (tra l’altro anomala) possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità”.

6. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato improcedibile il ricorso principale ed inefficace il ricorso incidentale.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente principale (Cass. 15220/2018: “In caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al “decisum” evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale”; Cass. 4074/2014).

Nulla può essere liquidato per le spese relative alla fase di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, svoltasi, con esito vittorioso per il C., dinanzi alla Corte d’appello di Catania, perchè “nel giudizio di legittimità la richiesta di pronuncia sull’istanza di rimborso delle spese processuali affrontate dalla parte per resistere vittoriosamente all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di merito impugnata può essere esaminata alla condizione che venga notificata, con i relativi documenti da produrre, alla controparte, ovvero che il contraddittorio con la medesima sia stato, comunque, rispettato, con la conseguenza che detta istanza è inammissibile ove venga proposta in un procedimento soggetto a rito camerale mediante memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. e dell’art. 372 c.p.c., comma 2, non notificata alla controparte” (Cass. 24201/2018; Cass. 21198/2015). Nella specie, non vi è prova della suddetta notifica al Comune.

Ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico della sola parte ricorrente in via principale. Invero, “il controricorrente, il cui ricorso incidentale tardivo sia dichiarato inefficace a seguito di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, non può essere condannato al pagamento del doppio del contributo unificato, trattandosi di sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater” (Cass. 18348/2017).

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso principale ed inefficace quello incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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