Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11747 del 17/06/2020

Cassazione civile sez. I, 17/06/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 17/06/2020), n.11747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1193/2019 r.g. proposto da:

A.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Roberto

Dalla Bona, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Marcora n.

18-20, presso lo studio dell’Avvocato Guido Faggiani;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto emesso dal Tribunale di Milano e depositato in

data 10 ottobre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/2/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con il decreto impugnata il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso proposto da A.M., cittadino del Bangladesh, contro il Ministero dell’Interno e diretto ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria ed umanitaria.

Il tribunale ha, in primo luogo, ricordato la vicenda personale del richiedente, secondo il racconto svolto da quest’ultimo; il ricorrente ha infatti narrato: i) di essere nato nel 1983 e di essere cresciuto a Sylet; il) di appartenere al gruppo etnico bangla e di professare la religione musulmana; iii) di essere sposato e padre di tre figli, tutti attualmente residenti in Bangladesh; iv) di essere figlio di un iscritto al partito (OMISSIS) e di avere i cugini, che, invece, militavano per il contrapposto partito della (OMISSIS); v) di aver subito le minacce di morte da parte dei cugini che si erano impossessati, con la violenza, delle terre del genitore.

Il Tribunale ha dunque ritenuto che: a) il racconto del ricorrente non era credibile perchè contraddittorio e dubbia era anche la connotazione politica fornita alle ragioni delle aggressioni subite dai parenti; b) pertanto, non era necessaria la nuova audizione giudiziale del richiedente, in ragione della non credibilità del racconto e dell’assenza di elementi nuovi da valutare; c) comunque non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e per la richiesta protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, in mancanza di atti di persecuzione in danno del richiedente e delle altre situazioni di danno previste dalla norma da ultimo citata; c) non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria prevista dall’art. 14, lett. c, D.Lgs., da ultimo citato, in assenza di una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata; d) non era fondata neanche la domanda di protezione umanitaria, in mancanza di una situazione di effettiva vulnerabilità, non essendo emersa una patologia mentale a carico del ricorrente in relazione ai traumi denunciati e perchè quest’ultimo non aveva neanche dimostrato un effettivo radicamento in Italia.

2. Il decreto pubblicato il 10.10.2018, è stato impugnato da A.M. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con violazione dell’art. 111 Cost., D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 35 e 35bis, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3.

2. Il secondo mezzo denuncia error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, della direttiva 2004/83/CE, ed infine del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

3.Con il terzo motivo si articola error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, e della direttiva 2004/83/CE, in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 4 t.u. imm., della direttiva 2004/83/CE, nonchè dell’art. 2 Cost. e art. 8 CEDU. Si evidenzia che il giudice del merito non aveva attivato i suoi poteri di cooperazione istruttoria officiosa e che avrebbe dovuto quanto meno indicare le C.O.I. acquisite d’ufficio, assegnando un termine, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., affinchè il richiedente potesse, tramite il suo difensore, svolgere le proprie prerogative difensive sul punto qui da ultimo in esame. 5.Con il quinto mezzo si solleva eccezione di legittimità costituzionale per la violazione dell’art. 24 Cost. del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8 e 9.

6. Il ricorso è inammissibile.

6.1 Già il primo motivo è inammissibile.

Sostiene il ricorrente che il giudice dell’opposizione D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis non è competente a decidere sulla protezione umanitaria, dato che la domanda relativa a detta protezione è soggetta al giudizio di cognizione ordinario e, dunque, anche ad eventuale appello, e che il Tribunale avrebbe dovuto decidere per l’inammissibilità di detta domanda o separarla.

Sulla questione fatta valere, questa Corte si è di recente pronunciata con l’ordinanza 9658/2019, evidenziando quanto segue: “è… carente di interesse il ricorso per cassazione ogni qual volta il ricorrente denunci la mancata adozione del rito ordinario o sommario di cognizione con riferimento alla domanda di protezione umanitaria dopo avere egli stesso instaurato il giudizio di merito mediante la proposizione di un ricorso unico e unitario ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis avente ad oggetto la richiesta di ogni forma di protezione, come è avvenuto nella presente controversia, per giunta senza eccepire in alcun modo nel giudizio camerale la mancata adozione – peraltro da lui stesso provocata – del rito ordinario per la domanda di protezione umanitaria, previa richiesta di separazione dei giudizi da lui congiuntamente instaurati. E’ poi del tutto paradossale che il ricorrente lamenti, nel ventaglio alternativo delle decisioni corrette che ipotizza, la mancata dichiarazione di inammissibilità della domanda da lui formulata, ovvero la mancata adozione di un provvedimento, ovviamente meramente ordinatorio, di separazione delle domande che egli stesso ha proposto cumulativamente, chiedendo il simultaneus processus. E’ infine il caso di notare incidentalmente che il dovere di cooperazione officiosa che grava sul giudice del procedimento volto al riconoscimento della protezione internazionale riguarda il profilo istruttorio e l’assunzione di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente e non certo le forme e le modalità di introduzione della domanda giudiziale, laddove il richiedente fruisce, eventualmente anche attraverso il patrocinio a spese dello Stato, di congrua assistenza tecnica.” (cfr. anche Cass., ord. 26552/2019).

Va, poi, aggiunto che la censura sarebbe comunque infondata, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 3, atteso che la pretesa nullità processuale sarebbe qui opposta dalla parte che vi ha dato causa.

D’altra parte “l’adozione del rito camerale in luogo di quello ordinario non induce alcuna nullità (o improcedibilità) ove, in concreto, non venga eccepito e provato che dall’erronea inversione sia derivato effettivo pregiudizio per alcuna delle parti relativamente al rispetto del contraddittorio, all’acquisizione delle prove e, più in generale, a quant’altro possa aver impedito o anche soltanto ridotto la libertà di difesa consentita nel giudizio ordinario” (Sez. 1, n. 18201/2006; conf.: Sez. 1, n. 13639/2013; Sez. 6 – 1, n. 23682/2017).

6.2 Il secondo motivo è inammissibile, per come formulato.

6.2.1 Sul punto è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito.

Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva attendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.

6.3 Il terzo motivo risulta essere anch’esso inammissibile, sia perchè genericamente formulato in ordine al contestato diniego della protezione sussidiaria e sia perchè lo stesso richiede una nuova rivisitazione delle fonti di conoscenza internazionali per un diverso scrutinio di merito in ordine al presupposto applicativo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

6.4 Il quarto motivo – che si incentra sul diniego della richiesta protezione umanitaria – è anch’esso inammissibile perchè versato in fatto e rivolto ad una rivalutazione dei presupposti applicativi dell’istituto invocato, e ciò a fronte di una motivazione che ha evidenziato la mancanza di un serio radicamento del richiedente nel contesto sociale italiano e la mancanza di una condizione di soggettiva vulnerabilità del richiedente (anche in relazione alle patologie denunciate).

6.4.1 L’ulteriore doglianza formulata in riferimento al mancato contraddittorio processuale sulle C.O.I. è anch’essa inammissibile, perchè non spiega in qual modo la consultazione delle fonti di conoscenza, acquisite officiosamente dal giudice del merito, abbia inficiato il diritto difensivo del richiedente ad interloquire sul punto nel dibattito processuale. In realtà, il ricorrente non ha neanche allegato altre e diverse fonti di conoscenza che si pongano in contrasto con le COI consultate dal tribunale, così rendendo la censura aspecifica e comunque non autosufficiente.

6.4.2 Va anche osservato, in termini più generali, che le COI sono acquisibili liberamente in quanto mutuate da fonti pubbliche accessibili a chiunque, onde è nel contraddittorio che ha luogo avanti al giudice che si sviluppa il confronto tra le parti in ordine all’attendibilità delle informazioni raccolte e alla loro idoneità ad orientare la valutazione circa la situazione interna del paese interessato. E’ poi vero che le COI, a cui abbia attinto la Commissione territoriale si riflettono nella motivazione del provvedimento da essa adottato e, dunque, essendone perciò informato, il ricorrente non può opporre la sua non conoscenza a pretesto della mancata interlocuzione su di esse (così, Cass. 1603/2020).

6.4.3 Va aggiunto che le COI non costituiscono un fatto o non integrano una questione, in ragione dei quali si possa profilare una violazione del contraddittorio, trattandosi propriamente di un elemento istruttorio ed essendo ben noto che spetta al giudice scegliere, facendo esercizio del suo prudente apprezzamento, le fonti del proprio convincimento (così, Cass. 1603/2020, cit. supra).

6.5 La questione di legittimità costituzionale, peraltro genericamente sollevata dal ricorrente, non è rilevante, nel caso di specie, in relazione alle norme di cui si invoca l’applicazione.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020

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