Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11743 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 05/05/2021, (ud. 02/03/2021, dep. 05/05/2021), n.11743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5642-2020 proposto da:

S.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI TRE

OROLOGI N. 10/E, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GULLUNI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO BODERONE;

– ricorrente-

contro

SKY ITALIA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1387/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 26/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 02/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CRICENTI

GIUSEPPE.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1.- S.C. ha agito in giudizio, riassumendo una causa iniziata dalla controparte davanti a giudice territorialmente incompetente, al fine di far accertare l’infondatezza della pretesa con cui SKY Italia srl ha richiesto il pagamento di una penale per indebito utilizzo della smart card, che, rilasciata ad uso privato, era invece sfruttata all’interno di un Hotel.

La domanda della S. è stata rigettata sia in primo che in secondo grado.

La Corte di Appello di Catanzaro ha osservato che le prove assunte erano sufficienti ad affermare che la smart card era indebitamente utilizzata, che la clausola penale riproduceva il contenuto di una norma e dunque non poteva ritenersi vessatoria.

2.- Questa ratio è contestata con due motivi. Non v’è costituzione della società intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.- Con il primo motivo si denuncia, in particolare, violazione del codice del consumo, art. 34.

La ricorrente contesta il giudizio di vessatorietà formulato dalla corte di merito, basato su due circostanze: il fatto che la clausola riproduca il contenuto di una norma, e la circostanza che comunque quella clausola non è vessatoria, non comportando alcuno squilibrio significativo nel rapporto tra le parti.

Secondo la ricorrente la prima ratio è infondata, in quanto la clausola non riproduce il contenuto precettivo di una norma di legge, e la seconda lo è in quanto la somma prevista a titolo di penale è manifestamente eccessiva.

Il motivo è infondato.

Meglio, è fondato nella contestazione della prima delle due rationes decidendi.

Ossia, una clausola contrattuale può ritenersi non vessatoria quando riproduca il contenuto precettivo di una norma di legge (Cass. 1351/ 2008), che nel caso di specie non è riprodotto affatto, in quanto la L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, come modificato dalla L. n. 248 del 2000, prevede come reato la violazione dei diritti di autore attraverso indebita loro utilizzazione, mentre la clausola in questione regola le conseguenze dell’uso diverso da quello pattuito di una prestazione contrattuale. Dunque, non traduce affatto nel proprio contenuto quello della citata legge.

Tuttavia, pur se erronea la prima ratio, la seconda è sufficiente a sorreggere la decisione, in quanto la corte di merito, con apprezzamento in fatto motivato, ha escluso che la clausola penale comporti uno squilibrio tra le parti del rapporto contrattuale cosi ponendosi come vessatoria; in realtà, a parte l’insindacabilità di una tale valutazione, in quanto rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, a parte ciò, il ricorrente non adduce ragioni di vessatorietà se non quella consistente nella manifesta eccessività della penale, che come è noto, non la rende vessatoria, ma semmai autorizza ad una riduzione, che avrebbe potuto essere effettuata anche d’ufficio da parte del giudice di merito, ma sulla quale omissione non v’è doglianza tra i motivi di ricorso.

4.- Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c. oltre che difetto di motivazione.

La ricorrente contesta alla corte di merito di avere ritenuto valida la testimonianza della dipendente di società incaricata da SKY dei controlli sull’uso delle smart card, che però era entrata nel domicilio privato senza autorizzazione, e ritiene peraltro che la corte abbia in modo insufficiente motivato su questo suo convincimento, ossia sulla tesi per cui la dipendente di società privata poteva accedere al domicilio con le stesse modalità consentite alla polizia postale.

Il motivo è inammissibile.

Esso postula infatti che la dipendente della società incaricata da SKY abbia violato il domicilio, ossia sia entrata nel locale in modo illegittimo, senza il consenso o senza altra autorizzazione; il che non è dimostrato, nè risulta che la questione sia stata posta in tali termini al giudice di appello.

Ammesso comunque che lo sia, non tutte le prove raccolte in modo illegittimo sono inutilizzabili, ma solo quelle che siano state raccolte in violazione di divieti specifici, e senza tacere del fatto che il giudizio del giudice di merito, sotto questo aspetto qui non sindacabile, si è formato non solo sulla dichiarazione della dipendente, ma anche su altre prove, sulle quali la censura è nel merito, e dunque qui inammissibile.

Il ricorso va rigettato.

PQM

La corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 2200,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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