Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1174 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 15/09/2020, dep. 21/01/2021), n.1174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 477-2015 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 262-264, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE

TAVERNA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNA

STEFANINI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE

PROVINCIALE LATINA UFFICIO CONTROLLI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2997/2014 della COMM.TRIB.REG. Del LAZIO

SEZ.DIST. di LATINA, depositata il 12/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott.ssa MARIA CASTORINA ROSARIA.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2997/40/2014, depositata in data 12.5.2014, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello di G.F., esercente, con il fratello M., l’attività di riparazione carrozzerie di autoveicoli, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza n. 543/3/2010 che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2002 con il quale l’Ufficio aveva rettificato il reddito dichiarato dalla ditta e recuperato a tassazione maggiori imposte dovute per Irpef, Irap e Iva.

La CTR, per quanto di interesse, affermava che a fronte della condotta anomala riscontrata e delle movimentazioni sul conto bancario dell’ex moglie del fratello M., era fondata la presunzione legale di riferibilità delle operazioni all’attività, mentre il contribuente non aveva fornito alcuna prova contraria agli elementi accertativi.

Avverso la sentenza della CTR il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati con memoria L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di giudicato esterno formulata, da parte ricorrente, nella memoria.

/ In materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, sicchè è esclusa l’efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie “tendenza permanenti” in quanto/ suscettibili di variazione annuale”. (Cass. n. 4832 del 2015). Nella detta pronuncia, si è affermato che “l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche (quali le imposte sui redditi, IVA, vari tributi locali, ecc), è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti aventi, per legge, efficacia permanente o pluriennale, fatti, cioè, che, pur essendo unici, producono, per previsione legislativa, effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d’imposta, ed in cui l’elemento della pluriennalità, come affermato dalle sezioni unite nella citata sentenza, costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa, che unifica più annualità d’imposta in una sorta di “maxiperiodo”: gli esempi tipici sono quelli delle esenzioni o agevolazioni pluriennali, o della “spalmatura” in più anni dell’ammortamento di un bene o, in generale, della deducibilità di una spesa. E a tali casi può equipararsi quello in cui l’accertamento concerna la qualificazione di un rapporto contrattuale ad esecuzione prolungata (come nel caso deciso dalla citata Cass. n. 25762 del 2014). Al di fuori di dette ipotesi, va esclusa l’efficacia estensiva del giudicato; e ciò anche per quelle fattispecie che le sezioni unite definiscono “tendenzialmente” permanenti (come le “qualificazioni giuridiche”), ma che, proprio per essere tali, ben possono variare di anno in anno e delle quali, quindi, per ciascun anno va accertata la persistenza: del resto, la stessa sentenza delle sezioni unite precisa che l’efficacia preclusiva del giudicato opera “fino a quando quella qualificazione (…) non sia venuta meno fattualmente o normativamente”, il che equivale a dire che il giudice tributario deve comunque accertarne l’esistenza in relazione all’annualità d’imposta in considerazione, senza essere vincolato da un giudicato concernente un periodo diverso” (punto 2.5. della parte motiva). Al detto indirizzo ha dato seguito Cass. 15 settembre 2017, n. 21395 e Cass. 28 settembre 2018, n. 23495.

Nella specie la sentenza il cui giudicato si invoca ha annullato l’avviso sul presupposto che dall’estratto di conto corrente si evinceva un importo dei versamenti assolutamente diverso e molto più basso di quello accertato, circostanza, evidentemente, riferibile al solo anno di imposta oggetto della decisone.

2.Con il primo e il secondo motivo G.F. deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 e art. 2700 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamenta che la CTR aveva erroneamente ritenuto motivato l’avviso di accertamento e affermato la fondatezza dello stesso sulla base dell’esposto presentato, a carico della ditta, dall’ex moglie del fratello M. e sulla base degli estratti conto di quest’ultima, senza che fosse stata fornita la prova che in essi fossero confluiti i ricavi evasi.

Le censure non sono fondate.

Presupposto dell’accertamento è un pvc della Guardia di Finanza emesso all’esito di una verifica successiva all’esposto della ex moglie del fratello del ricorrente, partecipante all’attività di autocarrozzeria con una quota del 49%, la quale aveva denunciato che i due fratelli effettuavano lavori in nero di carrozzeria a clienti privati e che gli introiti relativi alla quota di spettanza di G.M. venivano versati su un conto corrente bancario a lei intestato.

E’ incontestato che l’atto impositivo faccia riferimento, per relationem, al PVC della Guardia di Finanza debitamente notificato al contribuente.

La CTR ha ritenuto motivato l’accertamento nel quale l’amministrazione finanziaria aveva evidenziato l’andamento della movimentazione del conto bancario della donna ed omissioni o mancata registrazione di fatture i cui risultati erano risultati anomali rispetto all’attività di impresa familiare ed alle conclusioni di cui alla dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta in contestazione.

In tema di contenzioso tributario,

l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l'”an” ed il “quantum debeatur”, sicchè lo stesso è correttamente motivato quando fa riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, senza che l’Amministrazione sia tenuta ad includervi notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti o a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto (Cass. 27800/2019).

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4. Con il quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3 e dell’art. 2729 c.c..

Con entrambi i motivi lamenta la violazione delle norme tributarie disciplinanti l’utilizzo delle presunzioni negli accertamenti sui conti correnti bancari.

Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta. Esse non sono fondate.

La presunzione, stabilita dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dai successivi D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti.

La presunzione in virtù della quale le movimentazioni bancarie di denaro, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio, si presumono conseguenza di operazioni imponibili, può essere, pertanto, vinta dal contribuente solo qualora il medesimo offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, ovvero che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass. 9573/2007; 21132/2011; 1418/2013). E tuttavia, a tal fine non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, essendo, per contro, necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero della loro estraneità alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale delle stesse (Cass. 1739/2007; 13818/2007; 9146/2010; 21303/2013).

Tanto chiarito sul piano dell’efficacia probatoria di dette acquisizioni bancarie, va, però, soggiunto che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7, (nel testo vigente “ratione temporis”), secondo cui gli Uffici finanziari e la Guardia di Finanza, previa autorizzazione degli organi a ciò deputati, possono richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente, non prevede alcuna limitazione all’attività di indagine volta al contrasto dell’evasione fiscale, nel senso di circoscrivere l’analisi ai soli conti correnti bancari e postali o ai libretti di deposito intestati esclusivamente al titolare dell’azienda individuale o alla società. L’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società contribuente delle somme movimentate sui conti intestati ai soci, o anche ai loro congiunti, ben possono, invero, essere giustificati da alcuni elementi sintomatici come il rapporto di stretta contiguità familiare, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l’infedeltà della dichiarazione e l’attività di impresa compatibile con la produzione di utili, incombendo in ogni caso sulla contribuente la prova che le ingenti somme rinvenute sui conti dei loro familiari non siano ad essa riferibili (Cass. 374/2009; 26173/2011; 11145/2011).

E non può certo dubitarsi, al riguardo, del fatto che un elemento fortemente presuntivo sia costituito, nella specie, dall’essere, quella verificata, una impresa familiare costituita da due fratelli.

In tal caso, infatti, per intuibili ragioni, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei familiari, debbano – in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario – ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (cfr. Cass. 18083/2010; 12624/2012; 12625/2012; Cass. 26829/2014).

Ebbene, nel caso di specie, la CTR ha affermato la legittimità della ricostruzione contabile operata dall’ufficio e la mancanza di idonei chiarimenti forniti dal contribuente, i onei a confermare la gravità, precisione e concordanza delle presunzioni semplici.

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 4100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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