Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11738 del 17/06/2020

Cassazione civile sez. I, 17/06/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 17/06/2020), n.11738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11895/2019 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Conca D’oro 184

190, presso lo studio dell’avvocato Discepolo Maurizio, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/02/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona, con decreto depositato in data 12.3.2019, ha rigettato la domanda di S.S., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo stato il suo racconto ritenuto credibile (il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dal Bangladesh per il timore di essere picchiato o ucciso dai familiari della sua ragazza, che si era peraltro suicidata, appartenente ad un ceto più abbiente del suo).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione S.S. affidandolo a cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente ai soli fini di un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4.

Lamenta il ricorrente la nullità del provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per essere stato tradotto nella sua lingua madre solo il dispositivo e non la motivazione.

2. Il motivo è infondato.

Va osservato che questa Corte ha più volte statuito, in tema di protezione internazionale, che l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 10, comma 4, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove la censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un “vulnus” all’esercizio del diritto di difesa (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11871 del 27/05/2014, Rv. 631323, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 420 del 13/01/2012, Rv. 621178).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha avuto cura di precisare se e in che misura la mancata traduzione del provvedimento di cui sopra in una lingua, a suo dire, sconosciuta abbia determinato una violazione del suo diritto di difesa, tenuto conto che lo stesso si è regolarmente difeso in tutti i gradi del giudizio.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 5.

Espone il ricorrente di aver dato prova della sua vicenda personale con i documenti prodotti in giudizio (certificati medici, certificato di morte della sua ragazza).

4. Con il terzo motivo è stata censurata la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d), dell’art. 1 Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8.

Lamenta il ricorrente di essere perseguitato dai familiari della ragazza che frequentava, appartenente ad un ceto più abbiente del suo, ed evidenzia che, in caso di rientro in patria, sarebbe oggetto di persecuzioni e violenze ed esposto al rischio per la propria vita.

5. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), artt. 5 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Reitera il ricorrente il suo timore, in caso di rientro in patria, di essere picchiato o ucciso dai familiari della ragazza con cui ha avuto una relazione, rappresentando che non troverebbe protezione dalle autorità locali, data la arretratezza e la corruzione serpeggiante nel sistema giudiziario del Bangladesh.

Infine, allega la violazione dell’art. 14, lett. c) legge cit. in relazione alla situazione nazionale di conflitto armato interno esistente in Bangladesh, con conseguente pericolo per la sua persona.

Infine, censura che il giudice di primo grado non ha tenuto conto dei rapporti sul Bangladesh del 2018, come evincibili dal sito (OMISSIS).

6. Il secondo, il terzo motivo ed il quarto motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni affrontate, sono inammissibili.

Va, in primo luogo, osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014), essendo state indicate in modo succinto, ma adeguato, le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile (vedi pagg. 2 decreto impugnato), tra cui la mancata narrazione circostanziata della sua vicenda (nomi, tempo e luogo), con particolare riferimento al rischio di essere denunciato a seguito della gravidanza della donna amata. Con tali argomentazioni il ricorrente non si è minimamente confrontato (se non affermando genericamente di aver fornito prova della sua storia), ignorando i summenzionati rilievi del giudice di merito e non allegando neppure la eventuale grave anomalia motivazionale del decreto impugnato, come detto, unico vizio attualmente censurabile in Cassazione.

Ne consegue che in ordine al dedotto rischio di persecuzione da parte di agenti non statali e di danno grave legato alla sua vicenda personale, le censure del ricorrente si appalesano inammissibili, non essendo il suo racconto stato ritenuto coerentemente credibile dal giudice di merito.

Quanto alla protezione sussidiaria richiesta D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), questa Corte, anche recentemente, ha statuito che la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato, alla luce di fonte internazionali qualificate, come il rapporto EASO del dicembre 2017, l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato in Bangladesh ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente sul punto si configurano come di merito, e, come tali inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

Infine, inammissibile per difetto di autosufficienza è la censura che il Giudice avrebbe omesso di valutare ulteriori autorevoli fonti di documentazione dallo stesso allegate.

Il ricorrente non ha neppure prospettato il luogo e modo con cui avrebbe sottoposto all’esame del Tribunale le ulteriori fonti citate, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

7. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, lett. d), art. 19, comma 2 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Il ricorrente evidenzia la sussistenza di una condizione di vulnerabilità alla luce della propria vicenda personale, che lo espone ad un pericolo per la propria incolumità, e della circostanza che dovrebbe essere rimpatriato in zona caratterizzata da situazioni di conflittualità.

Inoltre, espone di aver intrapreso un proficuo percorso di integrazione sociale in Italia.

8. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità del richiedente, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente, non ha, in primo luogo, minimamente correlato la dedotta esistenza di una situazione conflittuale nella regione d’origine alla propria condizione personale, se non con il riferimento alla propria condizione personale, ritenuta dal Tribunale non credibile con argomentazioni immuni da vizi logico.

In ogni caso, il richiedente si duole che non si è tenuto conto del suo percorso di integrazione – e all’uopo ha prodotto in giudizio, in violazione dell’art. 372 c.p.c. documenti non dimessi nella fase di merito – non considerando che tale elemento, secondo il costante insegnamento di questa Corte, può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

La declaratoria di inammissibilità non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, in considerazione della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020

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