Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11737 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2011, (ud. 13/04/2011, dep. 27/05/2011), n.11737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24390/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO DAPS PUBBLICITA’ SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO

CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato BARBANTINI Maria Teresa,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TRICARICO

GIUSEPPE, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 35/2005 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 15/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/04/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE STEFANO ALESSANDRO, che ha

chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato TRICARICO GIUSEPPE, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

1. Con sentenza n. 35/03/05, depositata il 15.6.05, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna accoglieva l’appello proposto dal Fallimento della D.A.P.S. s.r.l. avverso la decisione dalla Commissione Tributaria Provinciale di Modena, con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti dell’avviso di rettifica, con il quale l’amministrazione finanziaria aveva riliquidato l’IVA dovuta dalla società per l’anno 1995, non riconoscendo il diritto alla detrazione del credito di imposta dell’anno precedente, essendo stata la dichiarazione annuale presentata oltre il termine previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28.

2. Il giudice di appello riteneva, invece, detraibile detto credito, avendo il contribuente regolarmente annotato le fatture di acquisto ed effettuato la detrazione del credito nelle liquidazioni periodiche, operate per i mesi di competenza, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28.

3. Per la cassazione della sentenza n. 35/03/05, hanno proposto ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, articolando un unico motivo, al quale l’intimato ha replicato con controricorso, contenente una censura – in via incidentale all’impugnata sentenza, nella parte in cui aveva omesso di pronunciarsi sull’eccepita non irrogabilità delle sanzioni.

Diritto

1. Osserva, in via pregiudiziale, la Corte che il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva dell’amministrazione ricorrente.

Ed invero, va osservato che, qualora – come nei caso di specie – al giudizio di appello abbia partecipato solo l’Agenzia delle Entrate – succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle Finanze nel giudizio di primo grado, ossia in epoca successiva all’1.1.01, data nella quale le Agenzie sono divenute operative in forza del D.Lgs. n. 300 del 1999 – e il contribuente abbia accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, o addirittura – come nella specie – abbia instaurato il contraddittorio soltanto nei confronti di quest’ultimo, deve ritenersi verificata, ancorchè per implicito, l’estromissione del Ministero delle Finanze dal giudizio. Ne consegue che l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale è l’Agenzia delle Entrate; per cui il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva (cfr., tra le tante, Cass. 24245/04, 6591/08).

2. Passando, quindi, all’esame dei motivi di ricorso, va rilevato che, con l’unica censura mossa all’impugnata sentenza, l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 28, 30 e 37, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

2.1. La CTR dell’Emilia Romagna avrebbe, invero, erroneamente escluso – ad avviso dell’amministrazione ricorrente – la decadenza del Fallimento della D.A.P.S. s.r.l. dal diritto alla detrazione del credito di imposta dell’anno precedente, per avere il contribuente regolarmente annotato le fatture di acquisto, ed operato la detrazione del credito nelle liquidazioni periodiche, operate per i mesi di competenza. Il giudice di appello avrebbe, infatti, a parere dell’Ufficio, erroneamente interpretato il disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28 – nel testo applicabile, ratione temporis alla fattispecie concreta – nel senso che il diritto alla detrazione si perderebbe solo nel caso in cui questa non venisse computata, nè nel mese di competenza, nè nella dichiarazione IVA annuale.

Per contro – secondo l’amministrazione ricorrente – dal combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28, art. 30, comma 2 e art. 37 (nel testo temporalmente applicabile) si desumerebbe che il ritardo superiore a trenta giorni, nella presentazione della dichiarazione annuale, equivarrebbe ad omissione della dichiarazione, e che da essa deriverebbe la perdita dal diritto alla detrazione del credito di imposta. Sicchè, avendo, nel caso concreto, il contribuente presentato la dichiarazione annuale per l’anno 1995 con un ritardo superiore – sia pure di un solo giorno – al termine di trenta giorni previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 37 (rispetto al termine ultimo del 15 marzo, ex art. 28, comma 1, la dichiarazione era stata spedita con raccomandata il 15 aprile 1995, laddove il trentesimo giorno era il 14 aprile 1995), ne sarebbe conseguita, a parere dell’Ufficio, la perdita del diritto alla detrazione del credito di imposta dell’anno precedente.

2.2. Il motivo di ricorso, a giudizio della Corte, è fondato e deve, pertanto, essere accolto.

2.2.1. Dall’esame del ricorso dell’amministrazione finanziaria, si evince, infatti, che il Fallimento della D.A.P.S. s.r.l., nella dichiarazione IVA per l’anno 1995, aveva esposto e portato in detrazione un credito di imposto dell’anno precedente, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2. Tale credito era costituito dall’eccedenza di imposta detraibile, aumentato delle somme versate mensilmente, rispetto all’imposta dovuta in relazione alle operazioni imponibili poste in essere nell’anno precedente a quello della dichiarazione (1994). Tuttavia, avendo il contribuente presentato – come dianzi rilevato – la dichiarazione IVA annuale con un ritardo superiore a trenta giorni, l’Ufficio aveva disconosciuto la detrazione, dovendo, la dichiarazione presentata con siffatto ritardo, ritenersi omessa a tutti gli effetti, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 37.

2.2.2. Premesso quanto precede, osserva la Corte che l’art. 28, comma 4 – nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie concreta – prevede che “il contribuente perde il diritto alle detrazioni non operate nei mesi di competenza e non indicate nella dichiarazione annuale”.

Orbene, il disposto della norma suindicata era stato inteso da un precedente indirizzo di questa Corte – al quale è riconducibile anche la pronuncia n. 544/97, citata dall’impugnata sentenza – nel senso che il diritto alla detrazione si perdeva solo quando essa non fosse stata esercitata sia nel mese di competenza, che in sede di dichiarazione IVA annuale.

Sicchè sarebbe stato sufficiente, per evitare la decadenza dal diritto alla detrazione del credito di imposta, che il contribuente – come è accaduto nel caso concreto – avesse annotato le fatture di acquisto ed effettuato la detrazione del credito nelle liquidazioni periodiche, operate per i mesi di competenza, sebbene non avesse presentato, poi, la dichiarazione annuale.

Successivamente, però, tale orientamento è stato sottoposto a revisione critica (cfr., in particolare, Cass. 1823/01, 17158/05, entrambe in motivazione), sul presupposto essenziale dell’assoluta centralità che, nel sistema dell’IVA, riveste la dichiarazione annuale. Tale dichiarazione, invero, tra le altre funzioni, ha quella di rappresentare la liquidazione definitiva del debito o del credito all’amministrazione, la quale è – in tal modo – messa in condizione di esercitare gli opportuni controlli, sicchè la sua mancata presentazione legittima senz’altro l’amministrazione finanziaria a procedere all’accertamento induttivo “dell’imposta dovuta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità” (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55). Si spiega, allora, perchè le dichiarazioni non presentate nel termine essenziale previsto dalla legge, si considerano omesse, ma costituiscono, tuttavia, pur sempre titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 37, del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7).

In tal senso si è, pertanto, concluso che “vi è nel sistema una continuità che conferma, appunto, l’indefettibilità della dichiarazione per il riconoscimento di un qualunque effetto favorevole al contribuente” (Cass. 17158/05, in motivazione). Ed il successivo orientamento della Corte si è andato – di conseguenza – consolidando nel senso che la dichiarazione annuale costituisca l’unico strumento imprescindibile per riconoscere al contribuente il diritto alla detrazione dell’imposta. Per il che, il contribuente che, pur avendo operato le detrazioni per i mesi di competenza, abbia poi omesso di computarle nella dichiarazione annuale, perde il diritto a dette detrazioni, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28, comma 4 (nel testo previgente, applicabile alla fattispecie concreta) (cfr., oltre alle decisioni già citate, Cass. 16477/04, 17067/06, 21947/07).

2.2.3. Orbene, naturale corollario di tali affermazioni di principio, fondate sull’assoluta centralità della dichiarazione annuale nel sistema dell’IVA, è la conseguente affermazione secondo cui il contribuente perde il diritto alla detrazione, qualora la dichiarazione annuale sia presentata con un ritardo superiore ai trenta giorni, dovendo tale dichiarazione considerarsi a tutti gli effetti omessa, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 37 (temporalmente applicabile al caso concreto), senza alcuna possibilità di sanatoria (cfr., in tal senso, Cass. 17158/05, 19204/06, 4986/07).

Ne discende, con riferimento al caso di specie, che – avendo il Fallimento della D.A.P.S. s.r.l. presentato la dichiarazione per l’anno 1995 con un ritardo superiore -sia pure di un giorno – al termine di trenta giorni previsto dalla norma suindicata, deve ritenersi – contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello – che il medesimo abbia definitivamente perduto, per omessa dichiarazione annuale, il diritto alla detrazione del credito dell’anno precedente.

Nè può ritenersi applicabile alla fattispecie in esame – contrariamente a quanto sostenuto nel controricorso dal Fallimento della D.A.P.S. s.r.l. – il disposto del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7, come modificato dal D.P.R. n. 542 del 1999, che – con contestuale abrogazione (art. 9) del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 37 – ha stabilito che devono considerarsi omesse le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni. Trattasi, invero, di disposizione normativa entrata in vigore successivamente alla già maturata decadenza del contribuente dal diritto di operare la detrazione del credito di imposta, dalla quale è, pertanto, conseguita l’estinzione definitiva del diritto ad operare detta detrazione.

Non può dubitarsi, invero, del fatto che il termine previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 37 (applicabile ratione temporis alla fattispecie concreta) sia un termine di decadenza (cfr., in tal senso, Cass. 523/02), atteso l’obiettivo interesse dell’ordinamento – some sopra evidenziato – al compimento dell’atto (la dichiarazione IVA annuale) indefettibilmente entro un termine perentorio stabilito dalla legge. Ne consegue che l’estinzione del diritto alla detrazione si verifica ipso iure per effetto del decorso del termine previsto dalla norma, senza che possano rivestire rilevanza alcuna le situazioni soggettive ed oggettive verificatesi medio tempore, e dalle quali sia – in ipotesi – dipeso l’inutile decorso del termine, e neppure la modesta entità della violazione del termine perentorio (nella specie, di un solo giorno) (Cass. 3078/10). A fortiori, pertanto, non potrebbe in alcun modo incidere – com’è del tutto evidente – sulla già avvenuta estinzione del diritto per decadenza, una nuova legge che introduca un termine, per il compimento dell’azione, più lungo di quello previsto dalla norma previgente, e non rispettato dall’interessato con il compimento del particolare atto richiesto a pena di decadenza dal diritto.

2.2.4. Ciò posto, va tuttavia osservato che, in un sistema, come quello dell’IVA, caratterizzato dalla neutralità dell’imposta, e cioè dall’obbligo di riversarla per l’operatore che l’incassa e dalla possibilità di recuperarla per l’operatore che la paga, la perdita di tale ultima facoltà costituisce un’eccezione alla regola generale. Ne consegue che il mancato computo dell’imposta nelle dichiarazioni periodiche e nella dichiarazione annuale, se comporta la perdita del diritto alla detrazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28 – che prevede l’unica decadenza in tal senso – non implica anche la perdita del diritto del contribuente al rimborso di quanto versato in eccedenza, in applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, nei termini e con le formalità previste dalla legge (la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata in tal senso: cfr. Cass. 1823/01, 17067/06, 21947/07).

Da tutto quanto suesposto consegue, pertanto, che il motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate deve essere ritenuto pienamente fondato e deve, pertanto, essere accolto.

3. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.

4. Va rilevato, infine, che l’intimato ha replicato al ricorso principale con controricorso, contenente una censura – in via incidentale – all’impugnata sentenza, nella parte in cui aveva omesso di pronunciarsi sull’eccepita non irrogabilità delle sanzioni.

Ritiene, infatti, la Corte che – avendo l’intimato censurato la decisione di appello sotto tale profilo, chiedendo anche, nel controricorso, la declaratoria di non irrogabilità della sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, l’atto difensivo del medesimo, notificato alla amministrazione ricorrente, debba essere considerato – ad onta dell’intestazione “controricorso ex art. 370 c.p.c.” – sostanzialmente un ricorso incidentale.

Tale ricorso va, pertanto, riunito al ricorso principale.

4.1. Premesso quanto precede, osserva la Corte che effettivamente il giudice di appello non ha in alcun modo preso in considerazione il motivo di gravame proposto, in via subordinata, dal Fallimento della D.A.P.S. s.r.l., e concernente la non irrogabilità delle sanzioni, calcolate, invece, dall’Ufficio nell’avviso di rettifica impugnato nel presente giudizio.

E, tuttavia, siffatta omissione non può comportare un accoglimento del ricorso incidentale con rinvio ad altro giudice, con riferimento al motivo de quo. Ed invero, il rilievo del vizio di omessa pronuncia su un motivo di appello può comportare la cassazione con rinvio dell’impugnata sentenza soltanto quando la questione di diritto, posta con il suddetto motivo, sia fondata, dovendo, in caso contrario, la Corte – cui compete, nell’esercizio della c.d. funzione nomofilattica, di risolvere in via esclusiva, e definitiva, le questioni in diritto proposte nei precedenti gradi di giudizio provvedere a pronunciarsi sulla questione, per evidenti finalità di economia dei giudizi, facendo uso del proprio potere di decisione della causa nel merito (art. 384 c.p.c.) (cfr. Cass. 8561/06, 2313/10).

4.2. Ebbene, non può revocarsi in dubbio, ad avviso della Corte, che la censura mossa – in via incidentale – dal Fallimento D.A.P.S. s.r.l. all’impugnata sentenza sia del tutto infondata.

Va rilevato, infatti, che l’intimato contesta l’irrogabilità delle sanzioni deducendo esclusivamente di avere riportato nella dichiarazione per l’anno 1995 un credito, risultante dalla precedente dichiarazione, non contestato dall’amministrazione e, pertanto, di non avere posto in essere alcuna evasione.

Orbene, va premesso che l’avvenuta abrogazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 43, comma 2, che prevedeva la sanzionabilità – tra l’altro – della presentazione di una dichiarazione dalla quale risultasse un’eccedenza detraibile, o rimborsabile, superiore ad un decimo a quella spettante non ha comportato – e, del resto, non ne dubita lo stesso contribuente – il venir meno dell’illecito, essendo stati il precetto e la sanzione sostanzialmente riprodotti nel D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, che si è limitato ad abolire la suindicata soglia minima del decimo (Cass. 21155/09, 279/10).

Ebbene, l’illecito in parola postula esclusivamente la sussistenza di un’eccedenza detraibile, o rimborsabile, rispetto a quella spettante, non richiedendo la norma nè l’intenzione di frodare il fisco, e neppure che la dichiarazione inesatta abbia determinato un’evasione dell’imposta, o il conseguimento di un indebito rimborso (Cass. 20070/05, 214/02).

Per tali ragioni, pertanto, il ricorso incidentale deve essere rigettato.

5. Concorrono giusti motivi – tenuto conto della complessità delle questioni giuridiche trattate – per una compensazione integrale delle spese dei diversi gradi del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE riunisce il ricorso principale ed il ricorso incidentale; dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; rigetta il ricorso incidentale dell’intimato; dichiara compensate tra le parti le spese di tutti i gradi del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 13 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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