Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11736 del 14/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 14/05/2010, (ud. 24/03/2010, dep. 14/05/2010), n.11736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PATTERI ANTONELLA, giusta mandato in

calce al controricorso;

– ricorrente –

contro

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO

23, presso lo studio dell’avvocato DAMIZIA MARIA ROSARIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MANCINI MARCO, giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 360/2006 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 24/08/2006 R.G.N. 48/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati ricorsi poi riuniti, depositati in data 09.02.1996 dinanzi al Giudice del Lavoro di Ancona, S.S. esponeva che l’INPS gli aveva revocato la pensione di invalidità goduta dall’1.4.1975 per un preteso proficuo riadattamento al lavoro:

a seguito di ricorso giudiziario, l’INPS era stato condannato al ripristino di tale pensione. Nel frattempo, a decorrere dal 1988 il ricorrente aveva ottenuto l’assegno ordinario di invalidità. Dopo la pronuncia giudiziale, il ricorrente aveva dichiarato di rinunciare agli effetti del giudicato, chiedendo il mantenimento dell’assegno in godimento. L’INPS non aveva accettato tale rinuncia ed aveva calcolato un importo indebitamente erogato al ricorrente, di cui aveva chiesto la restituzione per gli anni 1988 al 1994.

Lamentava il ricorrente il mancato riconoscimento del diritto di scelta tra rassegno goduto e la pensione di invalidità ripristinata a seguito di provvedimento giudiziale. Sottolineava inoltre, la mancata applicazione dell’art. 52 in tema di indebiti, a norma dei quale nulla era dovuto dal ricorrente, atteso che l’indebito non si era formato per proprio dolo, ma per comportamento dell’INPS. In via subordinata, evidenziava il mancato ricalcolo della pensione al momento del ripristino, non essendo stati considerati i contributi versati sino al 1987. data definitiva della cessazione dal lavoro.

Chiedeva pertanto la dichiarazione di illegittimità della ripetizione dell’indebito e in subordine il ricalcolo della pensione.

Si costituiva e resisteva in giudizio l’INPS, eccependo l’indisponibilità del diritto alla pensione, a fronte del quale la rinuncia al giudicato non poteva avere alcun effetto. Precisava, inoltre, che non poteva essere applicato la L. n. 88 del 1989, art. 52, in quanto trattavasi di indebito oggettivo determinato in parte dal ripristino della pensione di invalidità in luogo dell’assegno ordinano, quest’ultimo di importo superiore alla prima, e in parte dal superamento dei limiti di reddito di cui alla L. n. 638 del 1983, art. 8, circostanza questa non contestata in ricorso. Insisteva per tali motivi nel rigetto delle avverse pretese. Il Tribunale con sentenza de 20 ottobre 2004 accoglieva il ricorso e dichiarava la illegittimità della richiesta di rimborso effettuata dall’INPS, nonchè l’illegittimità della soppressione dell’assegno ordinario di invalidità, condannando l’Ente al ripristino, nonchè a rimborso delle spese di lite.

Riteneva il giudice che il giudicato in materia pensionistica fosse sempre rinunziabile dall’assicurato, non esistendo alcuna disposizione in contrasto; che la immutabilità del titolo della pensione andasse verificata di volta in volta: che l’assicurato potesse scegliere ed anche rinunziare alla prestazione.

Avverso la sentenza proponeva appello l’INPS con ricorso depositato il 26-1-2005, chiedendone, con articolate argomentazioni, la riforma.

Si costituiva l’appellato e resisteva al gravame, richiamando tutte le argomentazioni già accolte dal Giudice di primo grado.

Con sentenza del 7 luglio-24 agosto 2006, l’adita Corte di Appello di Ancona rigettava il gravame.

A sostegno della decisione osservava che il S., al momento della attribuzione e percezione dell’assegno ordinario di invalidità L. n. 222 del 1984, ex art. 1, non fosse più titolare di pensione di invalidità ex R.D.L. n. 636 del 1939, perchè questa gli era stata revocata per proficuo riadattamento al lavoro; ed, inoltre, che nessuna norma stabiliva l’indisponibilità del diritto al ripristino di una pensione e l’indisponibilità del relativo giudicato favorevole concernente il diritto al ripristino.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre FINPS con un unico motivo.

Resiste il S. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un unico motivo di ricorso, l’INPS, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e del principio di indisponibilità del diritto a pensione (art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta che l’impugnata decisione, in violazione della richiamata normativa, abbia ritenuto possibile la scelta dell’assicurato di godere dell’assegno di invalidità anzichè della pensione riconosciutagli con sentenza passata in giudicato. Il ricorso è infondato.

La questione portata all’esame del Collegio riguarda l’operatività degli effetti prodotti dalla pronuncia passata in giudicato che ha accertato il diritto dell’attore al ripristino della pensione di invalidità già in godimento del medesimo in forza del R.D. 14 aprile 1939, n. 636 e revocata per ritenuto sopravvenuto recupero della capacità lavorativa.

Nella specie, occorre stabilire quale conseguenza abbia siffatta pronuncia rispetto alla quale vi è stata rinuncia da parte del rassicurato, nel caso in cui l’istante abbia proposto il ricorso giudiziario per ottenere il ripristino della suddetta pensione di invalidità successivamente a riconoscimento, in suo favore, del diritto all’assegno ordinario di invalidità ai sensi della L. 12 giugno 1984, n. 222, assegno del quale ha goduto fino a quando la sentenza ha stabilito definitivamente che l’assicurato aveva diritto, in quello stesso periodo di tempo, a godere della pensione di invalidità in base alla precedente normativa, essendo stata la prima prestazione malamente revocata.

Va puntualizzato, per meglio rappresentare la ragioni della controversia, che l’istituto di fronte alla sentenza di secondo grado che, nel gennaio 1994, lo vedeva soccombente ed aveva accertato definitivamente il diritto del S. al ripristino in suo favore della pensione di invalidità con decorrenza dalla data della revoca, vale a dire dal dicembre 1982 eseguiva la statuizione ripristinando la pensione e revocando rassegno ordinario fin dalla data della sua decorrenza risalente al marzo 1988.

Calcolate da parte dell’INPS le conseguenze economiche del ripristino risultava un indebito a carico del pensionato, che, però, visto l’esito non vantaggioso della sua vittoria in giudizio, riteneva di poter rinunciare al giudicato con dichiarazione inviata all’INPS e continuare a godere dell’assegno ordinario di invalidità, come se la sentenza a suo favore non fosse mai intervenuta.

Ad avviso della Corte di appello la pretesa del S. era da ritenersi fondata poichè, egli, al momento in cui gli era stato attribuito l’assegno ordinario di invalidità non era più titolare di pensione di invalidità ex R.D.L. n. 636 del 1939, cd. inoltre, doveva ritenersi che nessuna norma stabilisse l’indisponibilità del diritto al ripristino di una pensione e l’indisponibilità del relativo giudicato favorevole, concernente il diritto al ripristino:

così come il pensionato avrebbe potuto in ogni momento rinunziare all’azione (con effetti sostanziali) oppure agli atti del giudizio (con effetti processuali) nel corso del giudizio di accertamento del diritto suddetto, oppure addirittura non promuovere tale azione e lasciarla estinguere per decadenza o per prescrizione, così può rinunziare agli effetti del giudicato intervenuto su essa.

Tali argomentazioni, poste dal Giudice di appello a fondamento della sua decisione, vanno condivise.

Invero, questa Corte., in più occasioni, sia pure in relazione a fattispecie non de tutto sovrapponigli alla presente, ha tenuto a rimarcare che nel vigente ordinamento previdenziale non esiste un principio generale di immutabilità del titolo della pensione;- pertanto, non essendovi alcuna specifica norma, deve ritenersi consentita la conversione della pensione o dell’assegno di invalidità in pensione di anzianità, atteso altresì che la L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, si è limitato a regolamentare espressamente (ma non esclusivamente) la trasformazione dell’assegno di invalidità in pensione di vecchiaia, senza peraltro escludere l’ipotizzabilità – col concorso dei necessari requisiti – di una conversione in pensione di anzianità (Cass. 20 febbraio 1998 n. 1821); e ciò, in particolare, – in armonia anche con l’art. 38 Cost., comma 2, – allorquando l’interessato voglia optare per un titolo di pensionamento più vantaggioso, ricorrendone ovviamente i requisiti contributivi (Cass. 7 luglio 1998 n. 6603). Con ulteriore precisazione di certo non in contrasto con quanto appena espostole S.U.. con sentenza del 19 maggio 2004 n. 9492 hanno chiarito che “nel vigente ordinamento previdenziale non è configurabile nè un principio generale di immutabilità del titolo della pensione nè il principio inverso di portata ugualmente generale, del diritto al mutamento del suddetto titolo, atteso che il carattere frammentario del sistema normativo impone soluzioni diverse in relazione alla disciplina dei singoli istituti (Cass. civ. Sez. Unite 19 maggio 2004 n. 9492), evidenziando che il problema deve trovare la sua corretta soluzione nell’ambito della disciplina dei singoli istituti, tenuto conto delle specifiche caratteristiche della tutela accordata con ciascuno di essi dall’ordinamento, anche alla luce dei principi costituzionali in materia.

Il rilevato quadro giurisprudenziale mostra, dunque, per un verso, di essere cosciente della duplice prospettiva di tutela della persona e degli interessi pubblicistici connessi, e, per altro verso, – mediante il riferimento ai principi costituzionali in materia e, segnatamente, all’art. 38 Cost.- di ritenere necessario valorizzare gli obiettivi ultimi della normativa in materia, esprimendo in modo chiaro il proprio consenso all’esercizio di margini di libertà nella gestione del trattamento laddove conducano ad un miglioramento delle condizioni di vita.

La ratio della normativa, alla luce del richiamato art. 38, diviene il criterio che indirizza tale libertà verso gli obiettivi previdenziali; criterio che è chiaramente ispirato a favorire il pensionato.

La giurisprudenza ai legittimità, per prima le Sezioni unite, appare dunque rivolta a conciliare la libertà del singolo e la tutela di diritti indisponibili, riconoscendo a tali valori la possibilità di coesistenza nel sistema previdenziale, allorquando la libertà di scelta, sempre sottoponibile al vaglio del Giudicante, consenta un beneficio oggettivo per il pensionato con riguardo allo specifico contesto di fatto e di diritto in cui opera.

A tale impostazione, il Collegio intende aderire ritenendo che l’attuazione oltremodo rigida dell’indisponibilità della pensione, così come pretesa dal ricorrente, non è conciliabile nemmeno con il secondo profilo di doglianza, con cui l’Istituto ricorrente deduce di essere obbligato ad attenersi alla statuizione del Tribunale di Ancona datata 22.5.1992 confermativa della sentenza del Pretore di Ancona con la quale l’Istituto è stato condannato al ripristino della pensione d’invalidità.

Sostiene il ricorrente che dal giudicato discenda un vincolo ed un dovere di osservanza non suscettibile di deroghe per volontà delle parti; nessuna valenza potrebbe rivestire la dichiarazione di volontà del resistente di non avvalersi del giudicato e di rinunciare al ripristino della pensione.

Tuttavia, deve considerarsi che, a differenza delle pronunce costitutive o di mero accertamento, dotate di produzione automatica degli effetti giuridici nella sfera della parti interessate, il provvedimento giurisdizionale di condanna si sostanzia in un comando, che richiede la volontà della parte vittoriosa ai fini della sua attuazione.

Nella specie, la predetta sentenza di condanna è produttiva di effetti pregiudizievoli sul trattamento pensionistico; sicchè, escluso l’automatismo degli effetti del giudicato della sentenza di condanna, lo stesso obbligo dell’INPS di erogare la prestazione e subordinato al requisito della volontà di avvalersi degli effetti del giudicato manifestata dalla parte attiva, in mancanza della quale viene lasciata inalterata l’altra prestazione – riconosciuta, in via amministrativa – più favorevole all’assicurato.

Deve pertanto ritenersi che la rinuncia del S. al ripristino della pensione è atto legittimo e ciò in aderenza all’insegnamento di questa Corte che avalla un regime condizionato di libera disponibilità della pensione, se non addirittura un atto dovuto perchè l’esecuzione della sentenza si tradurrebbe in un atto lesivo dei diritti primari della persona, oltretutto senza determinare una violazione del principio di intangibilità del giudicato, invocato dall’INPS a sostegno del proprio assunto.

Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 16,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2010

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