Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11732 del 17/06/2020

Cassazione civile sez. I, 17/06/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 17/06/2020), n.11732

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34802/2018 proposto da:

K.L., elettivamente domiciliato presso l’avv. Maurizio

Lattanzio, che lo rappres. e difende, con procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di SAVONA, depositata il

20/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/01/2020 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con ordinanza del 20.9.18, il Giudice di Pace di Savona rigettava l’opposizione proposta da K.L. avverso il decreto d’espulsione emesso dal Prefetto di Savona il 13.4.18, ed il provvedimento di pari data del Questore con cui era stato ordinato allo straniero di allontanarsi dal territorio italiano entro sette giorni.

Dopo aver rilevato che i provvedimenti opposti risultavano del tutto conformi alla normativa in materia, il Giudice di Pace osservava che il mancato possesso del passaporto da parte del ricorrente non legittimava la concessione di un termine per la partenza volontaria di durata compresa tra i sette e i trenta giorni.

Il K. ricorre in cassazione con quattro motivi.

L’Amministrazione è rimasta intimata.

Diritto

RITENUTO

che:

1. Con il primo motivo, si denunzia la violazione dell’art. 165 c.p.c., comma 1, art. 182 c.p.c., comma 1, artt. 311,317 c.p.c., art. 319 c.p.c., comma 1, art. 702 bis c.p.c., comma 4; artt. 72,73,74 disp. att. c.p.c.; D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, commi 1 e 6, per avere il Giudice di Pace ritenuto regolare la costituzione della parte resistente, nonostante fosse stata effettuata con PEC in cancelleria, senza il deposito in cancelleria del fascicolo, e nonostante di fosse costituita la Questura in luogo della Prefettura, in mancanza di delega apposita, per di più attraverso un funzionario che non era comparso all’udienza. La valutazione degli argomenti difensivi, da esso svolti, era dunque inibita al Giudice di Pace.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, commi 5, 5.2, 4, 4 bis; art. 7, comma 1 e art. 4 direttiva 2008/115/CE; art. 2712 c.c., per avere l’ordinanza impugnata ritenuto erroneamente sussistente il motivo ostativo alla concessione del termine per la partenza volontaria, in ragione della mancanza di un regolare passaporto o altro documento equipollente. Il ricorrente afferma che tale circostanza non gli era stata addebitata nell’atto espulsivo, essendosi il Prefetto limitato ad affermare che il termine non era stato richiesto e che lo straniero aveva dichiarato di non voler tornare nel proprio Paese. E tali elementi esso espellendo aveva contestato, da una parte, dolendosi della mancata informazione circa la possibilità di chiedere il termine, da darsi mediante le schede informative di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5, n. 1 e dall’altra, affermando non esser mai stata acquisita alcuna sua dichiarazione scritta in tal senso.

3. Con il terzo motivo, si denunzia la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b) e comma 3; art. 12, comma 1 Dir. 2008/115/CE. Il K. ribadisce che il Giudice di Pace aveva deciso il ricorso recependo la difesa della Prefettura, relativa a fatti – la mancanza di passaporto o documento equipollente – diversi da quelli posti a base del decreto d’espulsione opposto. Così operando, afferma il ricorrente, il Giudice di Pace non solo aveva illegittimamente accertato la sussistenza di una pretesa ulteriore circostanza, non indicata nel decreto per giustificare il diniego della concessione del termine per la partenza volontaria, ma aveva, soprattutto, arbitrariamente integrato la motivazione del provvedimento impugnato.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 134,112, c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5, n. 1, art. 7 e art. 8, comma 1, della Direttiva 2008/115/CE, art. 24 Cost. e art. 6 Cedu, per avere la Questura omesso di informarlo correttamente della possibilità di chiedere un termine per la partenza volontaria, mediante le prescritte schede plurilingue, e così impeditogli una partecipazione attiva al procedimento di formazione del provvedimento impugnato.

5. Occorre premettere che, come si legge nell’ordinanza impugnata, il ricorrente ha originariamente proposto opposizione sia avverso il provvedimento d’espulsione emesso dal Prefetto, sia avverso il provvedimento del Questore di ordine di allontanamento dell’istante dal territorio italiano entro sette giorni. Nel procedimento innanzi al Giudice di Pace si è costituita la Questura, mentre l’oggetto del presente giudizio di legittimità attiene alla sola parte relativa al provvedimento di espulsione, come chiaramente affermato dal ricorrente nell’intestazione del ricorso e nelle sue conclusioni (pagg. 1 e 22).

6. Procedendo, quindi, alla valutazione dei motivi, gli stessi vanno rigettati.

7. Il primo di essi è del tutto destituito di fondamento, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione (Cass., n. 23638/16; n. 26831714). Nella specie, tale pregiudizio non è ravvisabile neppure ai fini all’asserita preclusione per il Giudice di Pace di valutare gli argomenti difensivi della parte pubblica (mancanza di un regolare passaporto, configurante rischio di fuga ed ostativa alla concessione del termine) per le considerazioni che seguono.

8. La questione dell’informazione propedeutica a consentire la formulazione di una richiesta di partenza volontaria attiene, infatti, all’esecuzione dell’espulsione e non integra un elemento costitutivo del provvedimento di espulsione medesimo, il che rende inammissibili le censure oggetto dei motivi secondo, terzo e quarto, che, sotto distinti profili, afferiscono, appunto, a tale questione. Il Collegio ritiene, infatti, di dover dare continuità all’orientamento (tra le più recenti, Cass. n. 13240/18; n. 16273 del 2018; 25413 del 2018) – che gli argomenti svolti nel ricorso non intaccano – secondo il quale l’omessa informazione in ordine alla possibilità di avvalersi di un termine per la partenza volontaria ai fini dell’esecuzione del provvedimento espulsivo, può esser fatta valere esclusivamente nel giudizio di convalida avverso il provvedimento di accompagnamento coattivo o di trattenimento (nelle ipotesi predeterminate dalla legge) emesso dal Questore, attesa la separazione in due fasi distinte del complessivo procedimento di allontanamento coattivo dello straniero, previste dal nostro ordinamento.

Ne consegue l’insussistenza della violazione della direttiva 2008/115/CE, in quanto il diritto dell’interessato a contraddire o a difendersi in merito all’alternativa tra partenza volontaria e esecuzione coattiva dell’espulsione può dispiegarsi nel predetto giudizio di convalida, ma non può esserlo in sede d’impugnazione del decreto espulsivo, sulla legittimità del quale lo straniero, che, come si è detto, ad esso solo restringe l’oggetto del presente ricorso, null’altro ha dedotto.

9. Non va disposto sulle spese, attesa la mancata costituzione della parte intimata; inoltre, dato l’oggetto del giudizio, non s’applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020

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